La tassa sul macinato

04 agosto 2004

di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica -12 maggio 2002 - anno 5 - numero 19

L’approvazione da parte del Parlamento della tasse sul macinato, avvenuta nel maggio 1868, venne accolta con dimostrazioni ostili in tutta Italia. Questa nuova legge veniva attuata con l’applicazione di contatori meccanici nei mulini, per cui con il conteggio dei giri veniva calcolata la tasse sulle granaglie macinate. La nuova tassa rappresentava un elemento importante di entrata fiscale per il ministero delle Finanze che mirava di giungere al sospirato pareggio di Bilancio.
Erano passati solo otto anni dall’unità del Paese, mancava ancora Roma, ma il malcontento serpeggiava ovunque per come, specie dal punto di vista fiscale, della coscrizione militare obbligatoria, ed altro, si andava via via costruendo lo stato unitario. Inutile sottolinearlo, la tassa sul macinato fu talmente impopolare che in molti ambienti della democrazia radicale, fra i repubblicani e i clericali, avversari del governo, non mancarono di far suscitare, nei comuni rurali, sommosse che, specie nell’Emilia, si manifestarono in proporzioni allarmanti. Nel celebre romanzo "Il mulino del Po" di Riccardo Bacchelli, viene spiegato cosa rappresentava la rivolta delle popolazioni rurali contro questa odiosa tassa.
"… contro il macinato – scrisse Bacchelli – operava anche un altro sentimento tradizionale in Italia, quello che sempre aveva fatto avverso il popolo ad ogni rincaro del grano, per ogni e qualsiasi ragione o motivo. La quale avversione poteva essere stata in molti casi erronea a causa di molti errori, ma ciò non toglie il fatto che nella nostra costituzione di popolo mangiatore di grano non si sia mai potuto dare prosperità con farina cara…".
E sarà così anche trent’anni dopo, e non solo fra le popolazioni rurali. Quintino Sella, prestigioso ministro delle Finanze del governo della "destra", indubbiamente aveva il sacro terrore del disavanzo nel bilancio dello Stato e pur di raggiungere il pareggio, Sella fu inesorabile nell’escogitare tutti i mezzi di tassazione, anche quelli che erano i più tremendi e crudeli. Perciò fu un ministro impopolare, anzi, fu il ministro più odiato della nazione. Le sommosse popolari, specie nei comuni rurali, dell’Emilia, ebbero, tra il 1868 e l’inizio del ’69, carattere di insurrezioni violente cui intervenne, per sedarle, la forza armata.
Braccianti, contadini e popolani delle province emiliane, chiamati dal suono delle campane, scesero in piazza armati di vecchi fucili, forche, randelli, zappe, pali e roncole, dimostrarono davanti ai municipi, in alcuni casi invasero le residenze municipali mettendo a fuoco archivi e registri. Fecero a pezzi i congegni che nei mulini segnavano il numero dei giri della macina per stabilire la tassazione; in alcuni casi imposero alle autorità locali, la libera macinazione, in altri casi saccheggiarono le case dei ricchi e si arrivò ad erigere barricate. A Borgo San Donino e nel parmigiano, per collisione con la forza pubblica si ebbero non pochi morti e feriti. Nella zona del bolognese i disordini più rilevanti accaddero a Pianoro, San Lazzaro, Budrio, San Giorgio di Piano e San Giovanni Persiceto; in questa ultima località i dimostranti devastarono il municipio, saccheggiarono le case dei notabili, gridando: "Abbasso il macinato", "abbasso il re", "Viva Pio Nono". Si trattò allora della prima grande e corale protesta contro il governo da parte del mondo contadino. Il moto fu spontaneo; il proletariato non era organizzato, ancora non esistevano né sindacati, né cooperazione, né partito socialista, l’unico organismo sociale (ma non di lotta né di resistenza) era rappresentato dalle società operaie di mutuo soccorso. Fu quindi un moto irrazionale, con risvolti persino reazionari, dettato soprattutto da quella iniqua tassazione, detta anche "tassa sul pane". Il governo per ristabilire l’ordine in Emilia, mandò con pieni poteri, il generale Raffaele Cadorna, il quale esercitò la sua autorità militare con l’azione delle sue truppe. Alcune centinaia di morti, un migliaio di feriti e 3788 gli arrestati; questo fu il tragico bilancio di quella feroce repressione. Quella protesta, che somigliò più ad una "Jaquerie", va ugualmente annoverata fra le esperienze di lotta del movimento contadino che, più tardi, in quelle stesse zone dove negli anni 1868-’69 si svolse, sia pure in modo irrazionale e disorganico i moti contro la tassa sul macinato, che tuttavia denunciò una latente potenzialità rivoluzionaria fra le masse rurali, in quelle stesse zone si sviluppò e si potenziò una forte organizzazione proletaria, che, attraverso le lotte sociali, guidate dai socialisti, poté conquistare nuove posizioni di emancipazione, di educazione e di responsabilità.
Il 18 marzo 1876 avvenne la caduta della "destra" che guidava il governo e si verificò l’avvento della "sinistra" al potere. La caduta della "destra" fu dovuta alla sua impopolarità non solo per l’opposizione a qualsiasi riforma democratica ma anche – come illustra la vignetta dell’epoca che pubblichiamo – per il peso insopportabile delle gravi imposte, fra cui quella addirittura crudele del macinato e per la ferrea esazione di esse. La storia dei contadini italiani, dai moti del macinato alla Resistenza, è parte rilevante della storia del nostro Paese; ignorata nelle scuole; troppo spesso non valorizzata dagli storici, essa si allinea degnamente alle grandi lotte del socialismo per il riscatto dei lavoratori.

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