Clerici Franco, una tragedia nell’esilio

04 agosto 2004

di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - anno 4 - numero 41 - 11 novembre 2001

Siamo a Parigi il 12 marzo 1934 e il socialista italiano Franco Clerici (nella foto), verso le ore sette e trenta, era uscito da casa per recarsi al lavoro. Doveva percorrere qualche centinaio di metri per raggiungere l’autobus che da Piazza Carrel portava alle Halles. Ma, aveva fatto poche decine di metri che, colpito in pieno petto da un colpo di rivoltella, cadeva a terra. Raccolto e trasportato all’Ospedale di San Luigi, vi giunse ormai morto. Il delitto rimase un mistero; la polizia brancolava nel buio.
Franco Clerici era nato a Milano nel 1897 da agiata famiglia borghese.
Il giovane Clerici tornato dalla prima guerra mondiale, vide le folle che reclamavano giustizia umana e sociale. Tutto ciò lo fece staccare dalla sua classe e nel 1919 iniziò la sua partecipazione al partito socialista. Anche nella sua attività professionale – era avvocato – impresse una forte accentuazione politica. Era generoso e coraggioso tanto da mettere a repentaglio, più di una volta, la propria vita. Infatti, fece parte del collegio di difesa nel processo contro i dinamitardi del Diana. Nel 1924 fu sul banco della parte civile nel processo contro gli assassini di Piccinini, alla Corte d’Assise di Reggio Emilia, trasformata in bivacco di camicie nere.

Franco Clerici era un giovane d’ingegno, colto, pieno di forza e di volontà, occupò quasi subito uno dei primi posti nell’organizzazione socialista.

Delegato al Congresso nazionale del Psi del 1919 a Bologna, si schierò con la mozione massimalista. Al successivo congresso del Psi a Livorno del 1921, venne eletto membro della Direzione del Partito. La sua nomina destò, data la sua recente milizia nel Psi, qualche perplessità, ma fu lo stesso proponente, Giacinto Menotti Serrati ad assicurare ai compagni che si trattava di un giovane che aveva dato, con la sua attività, sicura prova di dedizione al partito.

Malgrado l’amicizia che lo legava al Serrati, si dissociò dalle posizioni del suo autorevole amico e prese posizione contro la fusione tra Psi e Pci decisa a Mosca dal Komintern.

Dopo le leggi eccezionali fasciste, nell’autunno del 1926, come tanti compagni e antifascisti, fu costretto ad abbandonare clandestinamente l’Italia. Dopo un breve soggiorno in Jugoslavia, dove fu raggiunto dalla moglie e dalla piccola figlia, si recò a Vienna dove lavorò nella redazione dell’"Arbaiter zeitung" e dopo qualche anno andò a Parigi.

Qui, Franco Clerici divenne uno dei maggiori esponenti socialisti dell’emigrazione. Scrisse diversi articoli per l’"Avanti!", specie tra il 1927-‘29, affrontando le tematiche politiche più importanti del momento. Collaborò inoltre a "La libertà", organo della concentrazione antifascista, diretto da Claudio Treves. Fu tra gli organizzatori del congresso socialista di Parigi del luglio 1930, nel quale si attuò la riunificazione fra massimalisti e riformisti e, in quell’occasione, fu con G.E. Modigliani, relatore sulla "collocazione internazionale del partito".

Membro della direzione del partito, venne riconfermato anche dal Congresso del Psi di Marsiglia dell’aprile 1933. Sempre nel 1933, partecipò con Nenni e Modigliani, alla conferenza internazionale operaia socialista.

Ma, torniamo al fatidico 12 marzo 1934 a Parigi. Clerici venne assassinato per strada e in pieno giorno. Il perché di quel delitto rimase un mistero. Dopo alcuni giorni, durante un comizio comunista, una persona fra l’auditorio, si sparò un colpo di rivoltella. Da documenti trovati in tasca al suicida, trattavasi di certo Dante Bonfanti. Poi anche il mistero dell’assassinio di Clerici fu svelato. Nelle tasche del suicida venne trovato una specie di diario, dove, fra l’altro, era annotato: "lunedì 12 marzo 1934. Sono in cammino per distruggere Clerici – ore 7,40: il colpo contro Clerici riesce bene senza incidenti". Bonfanti venne condannato a Milano a 12 anni di carcere, perché implicato nell’ucciso del Vice presidente della Mutua panettieri. Clerici fu uno dei difensori di Bonfanti al processo. Uscito di carcere nel 1931 divenne funzionario comunista, poi il partito comunista lo mise all’indice come individuo sospetto. Dalle sue annotazioni, il criminale programma di Bonfanti era quello di uccidere diverse persone: voleva schiacciare Mussolini, Hitler, Stalin. Nel suo cervello malato, covava il sadico sentimento di vendetta contro tutti coloro che riteneva responsabili della sua tragedia. Voleva uccidere Cachin, capo del partito che lo aveva espulso; Chauvet che gli aveva rifiutato un sussidio del "soccorso rosso"; Clerici che non lo raccomandò presso la Lidu. Nell’elenco vi sono anche altri comunisti ufficiali e dei bordighiani. Era evidente che si trattava di follia derivata dalla disperazione, che cerca le sue vittime ovunque, perché l’odio del disperato è contro tutta l’umanità.

Franco Clerici che proveniva da una famiglia ricca, era riuscito a Parigi a procurarsi un modestissimo impiego presso una ditta di mercerie, dove guadagnava il pane per sé e per la sua famiglia. Nelle ore libere era a fianco dei compagni nella lotta contro il fascismo e per il socialismo. Doveva finire la sua giornata, a soli 37 anni, per la fatalità dell’incontro con un pazzo.

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