Archinti Ettore: Uno scultore il primo sindaco socialista di Lodi.

04 agosto 2004

di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - 21 aprile 2002 - anno 5 - numero 16

Arrestato dalla polizia fascista il 21 giugno 1944 a Lodi (all’epoca provincia di Milano), lo scultore Ettore Archinti, che fu nel 1920 il primo sindaco socialista di Lodi, prima che fosse condotto al carcere di San Vittore a Milano, ebbe il tempo di appuntare su un foglietto di carta, il suo ultimo saluto: "Coraggio miei cari, l’amore è eterno ed io per sempre resterò fra voi". Ettore Archinti, dopo l’8 settembre 1943, rappresentò il Psi nel Comitato di Liberazione nazionale di Lodi e, malgrado il peso dei suoi 65 anni, fu molto attivo nel portare in salvo in Svizzera, ex prigionieri inglesi, attraverso pericolosi ed impervi sentieri di montagna. Dopo San Vittore l’Archinti venne avviato al campo di raccolta e smistamento di Bolzano e poi tradotto nel campo di sterminio di Flossemburg, in Baviera. Nel lager resistette poco più di due mesi ed il suo martirio ebbe termine il 17 novembre 1944. Traggo queste notizie su Archinti dal volume "Alle radici del riformismo" apparso nel 1992 in occasione del centenario di "Critica Sociale" del quale fui onorato a far parte del ristretto gruppo redazionale. Ettore Archinti nacque a Lodi il 30 settembre 1878, da famiglia della piccola borghesia. Dopo le scuole elementari il giovane Ettore entrò in un laboratorio di marmi e sculture. Poi frequentò a Milano le scuole serali "artefici" presso l’Accademia di Brera. A Milano si accostò agli ambienti socialisti e della Camera del Lavoro. Congedato nel 1900 dopo aver prestato il servizio militare di leva, riprese le vecchie amicizie di Brera e si dedicò con grande passione alla scultura, senza trascurare i suoi impegni di socialista. Nel 1902, dopo aver compiuto un lungo viaggio all’estero, decise nel 1903 di stabilirsi definitivamente a Lodi. Intensa fu la sua attività di propaganda socialista nelle campagne del lodigiano. Come consigliere della Congregazione di carità, dedicò amorosa attenzione al mondo della fascia più bisognosa e debole della società. Nel 1909 visitò ancora diversi Paesi europei e, alla fine del 1910, ritornò in Italia e, a Lodi, con alacre inventiva e con l’esperienza dei suoi viaggi, riprese l’attività artistica. Un noto scultore dell’epoca, Ernesto Bazzaro, estimatore dell’Archinti, promosse con un gruppo di concittadini una mostra delle opere dell’Archinti che comprendeva ben ottanta pezzi fra statue, busti e bassorilievi. La mostra venne inaugurata nel 1911 ed ottenne un buon risultato anche finanziario che permise allo scultore lodigiano di dedicarsi con maggiore lena e minori preoccupazioni all’attività artistica. Nel 1912 partecipò ad un concorso istituito dal Comune di Milano per giovani scultori e, malgrado le critiche favorevoli, non venne premiato. L’anno successivo si ripresentò al concorso e lo vinse. Nel 1914 partecipò all’Esposizione internazionale d’arte di Venezia. In quell’anno l’Europa venne sconvolta dalla guerra. Quando venne mobilitata la sua classe e l’Italia intervenne nel conflitto, Archinti si trovò al bivio fra rispondere alla chiamata alle armi e la personale coscienza di assoluto rifiuto della violenza. Le pene per i renitenti erano gravissime e Archinti decise d’essere coerente con la propria coscienza e non si presentò. Non si nascose e si fece arrestare il 31 maggio 1915. Subì un processo per diserzione e ai giudici militari dichiarò che la fede socialista gli impediva di aderire, senza alcuna coazione di fatto, alla chiamata alle armi e che la sua mente e la sua anima d’artista, erano già conturbate e sconvolte dalle stragi e devastazioni in Francia e in Belgio. Ebbe una condanna di soli tre mesi di carcere per diserzione semplice e rimozione del grado. Scontata la pena i giudici lo mandarono in Sardegna, nell’isola di Asinara, dove erano concentrate alcune migliaia di prigionieri austriaci e dove infuriava il colera. In quest’isolotto, Archinti sperimentò quanto fossero angusti i confini delle patrie e servì gli uomini, i colerosi, gli austriaci; i nemici erano suoi fratelli. Finita la guerra si rituffò nel turbinio delle lotte sociali e politiche di quel dopoguerra e nelle elezioni amministrative del 1920 venne eletto consigliere comunale e provinciale e quindi eletto sindaco di Lodi. Il neo sindaco, senza mezzi termini, espose il suo programma con la chiara intenzione di schierarsi dalla parte dei lavoratori. Infatti venne impostata una politica di classe al fine di affrontare i gravi problemi: disoccupazione, mancanza di case popolari, assistenza sanitaria, a tal fine venne operata una elevata tassazione verso i ceti più ricchi. La borghesia rispose organizzando la protesta e invocando l’intervento del potere centrale. Infatti il governo intervenne con lo scioglimento del Consiglio Comunale. Dopo l’avvento del fascismo, Archinti continuò a professare i propri ideali socialisti; questa sua coerenza gli costò l’isolamento, qualche intimidazione, due aggressioni e, nel luglio del 1925, subì anche un attentato, da parte di un fascista della milizia, che per poco non gli costò la vita. Alla violenza si accompagnò costante l’ostracismo alla sua opera di scultore. Nel 1928 venne escluso, perché "tutt’ora esponente di una corrente politica ostile al regime", da una mostra di lavori artistici eseguiti dai soci della Società Operaia di Mutuo Soccorso. Nel 1932 fu costretto a dimettersi da consigliere della Società Operaia di M.S. Soffrì in silenzio i soprusi e le violenze. Ettore Archinti, politicamente non si piegò mai; non scese mai ad alcun compromesso; mai, nemmeno di fronte all’estremo sacrificio.

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