PROPOSTE E IDEE PER SALVARE LA DEMOCRAZIA - LETTERA APERTA AL SEGRETARIO SULL’APPELLO PER LA RICOSTITUZIONE DI UN’AREA SOCIALISTA di Alberto Benzoni dall’Avanti della Domenica del 17 giugno 2012

19 luglio 2012

PROPOSTE E IDEE PER SALVARE LA DEMOCRAZIA - LETTERA APERTA AL SEGRETARIO SULL’APPELLO PER LA RICOSTITUZIONE DI UN’AREA SOCIALISTA di Alberto Benzoni dall’Avanti della Domenica del 17 giugno 2012

Caro Riccardo, so che hai lanciato, assieme a Covatta, un appello per la ricostituzione di un’area socialista, in una prospettiva italiana ed europea. Ma lo so perché ho partecipato all’elaborazione del testo. Non perché questo sia stato discusso in qualche sede istituzionale. Non vorrei, allora, che questa iniziativa rappresentasse l’ennesimo “messaggio nella bottiglia”, lanciato dalla nostra isola, nella speranza che qualcuno lo raccolga e ci risponda.
E però tu sai, e meglio di ogni altro, e ciò mi rassicura, che questa pratica è irripetibile. Perché, almeno sinora, nessuno ha risposto ai nostri messaggi; o, ci ha offerto una sede per lanciarli.
Siamo così stati cancellati dai “media”. E non perché la nostra voce sia stata considerata “scomoda” o addirittura “pericolosa” per qualcosa o qualcuno. Ma perché è stata ritenuta, pregiudizialmente (un termine che uso a ragion veduta), irrilevante.
Infatti, il silenzio che ci circonda e non è dovuto alla irrilevanza delle nostre opinioni e nemmeno allo scarso peso del nostro partito o della sua leadership. In realtà, la nostra tara irrimediabile sta nel nostro nome; nel fatto di voler esistere in un “sistema” - quello della seconda repubblica - basato sul ripudio, esplicitamente enunciato o tacitamente accettato, del socialismo come relitto inutilizzabile del passato.
Abbiamo detto “socialismo”. Ma avremmo potuto, più concretamente, parlare di “socialdemocrazia”, anzi di “socialdemocrazia reale”. Intendendo con ciò non una ipotetica “dottrina” (messa alla gogna da tanti intellettuali da strapazzo) ma una costruzione concreta sedimentata dall’azione di generazioni. E basata non su “valori” (un termine che lasciamo volentieri a Di Pietro e agli operatori di borsa) ma su obbiettivi e strumenti precisi. La riduzione delle disuguaglianze e la formazione di un “welfare”generalizzato, con l’azione del fisco e della spesa pubblica. L’inclusione, con l’estensione, interna e internazionale, dei diritti di cittadinanza. La partecipazione, con lo sviluppo degli spazi e degli strumenti della democrazia. Insomma, da una parte l’obbiettivo della costruzione di una società di liberi e di uguali e, a fronte di questo, la responsabilità dell’azione collettiva nel promuoverlo.
Sappiamo tutti che, negli ultimi decenni del secolo scorso, questo meccanismo si è spezzato. Perché il suo sviluppo richiedeva un uso di risorse sempre maggiore in vista di obbiettivi ulteriori sempre più difficili da raggiungere. Ma sappiamo anche che, dopo, si è aperto un processo di riflusso potenzialmente senza limiti. Si comincia con l’affidare ai privati compiti che il “pubblico”non è più in grado di espletare; si constata, successivamente, che imprese e mercati si muovono in una prospettiva che, con gli obbiettivi e gli strumenti della socialdemocrazia reale non hanno nulla a che fare; si finisce con il rinunciare agli uni e agli altri, rimettendo così in discussione la nostra stessa ragion d’essere.
Verifichiamo, allora, che questo processo è arrivato in Italia ai suoi limiti estremi sino a portarci sui bordi del precipizio. Abbiamo infatti completamente distrutto i pilastri della democrazia di massa, sostituendo: al welfare generalizzato l’assistenza ai “poveri” pagata dai ceti medi; alla solidarietà collettive la guerra di tutti contro tutti; alla questione meridionale il rancore del Nord; al ruolo dello Stato come garante delle regole e dei diritti l’arrembaggio sfacciato delle lobby. Di più, siamo arrivati a considerare “inutili” tutti i protagonisti e i garanti del sistema democratico; partiti, parlamento, istituzioni. A sostituirli col populismo e i populisti.
A questo punto delle due l’una. O si continua a subire passivamente questo andazzo e la narrazione che l’accompagna; e allora si arriverà al definitivo disastro. O lo si contrasta, nelle proposte e nelle idee; e allora si devono fare i conti con l’eredità avvelenata della seconda repubblica. E sino in fondo.
Tu stesso, caro Riccardo, ne hai promosso il pubblico processo. Un “evento” che deve, ora, diventare una iniziativa politica e culturale generalizzata e continuativa. Fare capire alla gente la natura e le cause del disastro. E, insieme, ragionare, rendendole visibili, sulle possibili vie d’uscita; lungo il percorso obbligato della ricostruzione del ruolo, degli strumenti e delle istituzioni dello stato sociale e dell’avvio di iniziative, a livello europeo, che questo percorso rendano possibile.
Ne saremo capaci? Il dubbio è francamente improponibile. Perché, in prospettiva, gli sviluppi della nostra proposta politica dipenderanno da altri, in un processo che nessuno può pretendere di gestire e di controllare. Mentre qui e oggi ci troviamo di fronte a una domanda potenziale forte e crescente cui nessuna forza politica o sindacale si è degnata di offrire una risposta; e men che meno quel Pd tutt’al più disposto, in parte del suo gruppo dirigente, ad operare per la Cosa socialdemocratica, ma guardandosi bene di usare la Parola…
Un vuoto pericoloso; tentare di riempirlo non è per noi un’esigenza autoreferenziale, ma piuttosto un dovere collettivo.

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