LA CARTA è IDEOLOGICAMENTE IN CRISI. MEGLIO RIDARE LA PAROLA AL POPOLO, di Rino Formica, da Il Riformista del 23 dicembre 2009

17 gennaio 2010

LA CARTA è IDEOLOGICAMENTE IN CRISI. MEGLIO RIDARE LA PAROLA AL POPOLO, di Rino Formica, da Il Riformista del 23 dicembre 2009

C’è confusione nel linguaggio politico e nell’analisi delle cause che hanno generato lo scollamento nell’ordinamento costituzionale votato dai padri costituenti.
Qualcuno con ingenuità e con candore pensa che all’origine del caos, che ci avvolge, vi sia una caduta di galateo o di rispetto umano, sanabile con delle visite di cortesia e con qualche intrigante esaltazione delle antiche virtù del “connubio”.
Le cose non stanno così.
Il conflitto tra i poteri dello Stato sono preesistenti alla nascita politica di Berlusconi. De Gasperi negli anni del centrismo ed i costruttori del centro-sinistra (Moro e Nenni) negli anni ’60 infransero il principio consociativo, pilastro fondativo ed ideologico della Carta Costituzionale. L’arco costituzionale fu declassato da condizione di governo a reperto storico.
La democrazia parlamentare perdeva l’inconsistenza della democrazia fragile e cercava la via della democrazia compiuta e dell’alternativa.
Il consociativismo tornò di moda con il terrorismo e con le emergenze degli anni ’70 e fu compito del nuovo corso socialista di contrastarlo e di impedire che un’aria grigia e plumbea calasse su questo disgraziato paese dopo la morte di Moro.
E’ con la fine degli anni ’70 che il tema della grande Riforma irrompe nella dialettica politica italiana e rompe l’incantesimo: l’ideologia della Carta Costituzionale era stata demolita da una nuova società che respingeva la visione di un mondo fondato su gli schemi consociativi e che richiedeva un nuovo ordine fondato sul conflitto democratico, su la competizione e su le alternative delle sintesi politiche.
Potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario integrati e sottoposti al dominio dei grandi partiti di massa, soci unici della Repubblica, mettevano in piedi una forma di Stato incompatibile con le domande crescenti nella società di democrazia liberatrice.
L’edificio democratico nel ’47 è durato a lungo nella sua pietrificata immobilità, ma durò poco nella pratica quotidiana per la saggezza politica vivente nel corpo della società. Accanto alla Costituzione formale crebbe robusta una costituzione materiale.
Non c’è articolo della Costituzione che non sia stato stravolto dalla prassi.
Questa finzione non è più prolungabile nel tempo perchè, come previde Calamandrei, la politica con la Carta Costituzionale aveva consegnato il potere di controllo e di garanzia costituzionale ai giudici. Questi, una volta liberi dalla soggezione dei partiti hanno assunto il potere di controllori politici della Costituzione.
E’ da trentanni che la politica vede il problema e non lo risolve.
Perchè?
Perchè la Costituzione materiale in 60 anni ha prodotto una cultura dello stare insieme con compromessi sempre più scadenti; ha generato una forma di Stato quasi parlamentare e quasi presidenziale; ha costruito un impianto istituzionale quasi federato e quasi unitario; ha edificato una economia quasi dirigista e quasi liberista; ha un parlamento quasi legiferante e quasi governante; ed ha un governo che assorbe legislativo e giudiziario.
Come è possibile modificare questo piano inclinato?
Ridando la parola al popolo.
I nostri costituenti tolsero la parola al popolo quando gli impedirono di approvare con referendum la costituzione. La restituirono al popolo solo parzialmente con l’art.138, ma dal 1994 con le leggi elettorali maggioritarie i partiti cercarono di rendere impossibile il potere costituente residuo previsto dall’art. 138.
L’inciucio sarebbe la pietra tombale sul potere popolare costituente.
Ora si è aperta una discussione apparentemente bizantina su la sede da scegliere per le modifiche costituzionali: Assemblea, bicamerale, parlamento in carica.
La discussione su la sede copre una vera e reale difficoltà: l’attuale bipolarismo artificiale in questi venti anni si è sviluppato all’insegna dell’antipolitica e della fine delle grandi visioni del ‘900.
La Costituzione vigente è figlia della politica e della ideologia del ‘900.
Non è possibile sostituirla con una cultura del fare quotidiano che rifiuta il tema della costruzione del futuro.
Questa è la vera ragione che spinge le attuali forze parlamentari ad una manutenzione della Costituzione adatta solo alle piccole emergenze.
La discussione su la crisi ideologica della nostra Carta in una Assemblea costituente, darebbe voce a tutti i mondi vitali che non sono presenti in un parlamento di nominati e offrirebbe fuoco nuovo alle passioni che in questa lunga transizione si sono spente o si vanno spegnendo.

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