Ottobre 2003 - Matt Browne, Ripensare la democrazia sociale - articolo pubblicato su Critica Sociale

01 ottobre 2003

La Terza Via, così come è stata concepita nel 1990, è stata la risposta ad una particolare congiuntura politica ed economica oramai superata. La Terza Via aveva lo scopo di rendere la sinistra modernizzatrice rilevante politicamente in un’era in cui l’ideologia del libero mercato e la dottrina neo-liberista sembrava spazzate ogni ostacolo davanti a se’. Oggi, il crollo dell’ottimismo economico e le insicurezza del dopo 11 settembre si sono sommate ad una serie di nuove sfide che fanno apparire le certezze degli anni Novanta totalmente fuori tempo. Il centro sinistra europeo sta lottando per definire un antidoto politico alle nuove forme di populismo ed ad una Destra rinascente, con i temi dell’immigrazione e le sfide dell’integrazione sociale quale parte importante del mix. Allo stesso tempo i socialdemocratici devono prendere atto dei nuovi tipi di. diseguaglianza, nel momento in cui le vecchie ricette hanno manifestamente fallito nel restringere le divisioni sociali.
L’economia della conoscenza, nel frattempo, produce nuove diseguaglianze a livello di opportunità ed il crollo della famiglia tradizionale crea nuovi bisogni sociali.
In tale quadro la politica deve rispondere ad un pubblico meno deferente che pretende sempre di più di prendere il controllo delle proprie vite. I costi-benefici della globalizzazione sono anche troppo chiari. In questa nuova situazione, e nei confronti di queste nuove sfide, dobbiamo con sistematicità rivedere e sviluppare la Terza Via, al fine di definire la prossima tappa di una politica progressista. Uno dei dilemmi del ventunesimo secolo che la prima Terza Via ha mancato di riconoscere e di soddisfare è che se individualmente noi viviamo più riccamente, nella collettività sembriamo meno certi del nostro futuro comune. Abbiamo maggiore scelta di prodotti e servizi che acquistiamo, di opportunità di carriera, di relazioni e stile di vita che scegliamo; perfino scegliamo quando o se avere dei figli. La liberazione dell’individuo è stato uno dei principi centrali dell’originaria socialdemocrazia della Terza Via, e questi principi devono essere sviluppati. Dobbiamo incoraggiare le opportunità di crescita per tutti estendendo la scelta di prodotti e servizi disponibili nel privato anche al settore pubblico. Allo stesso tempo, dobbiamo andare oltre questo. Questa gioia per una crescita personale — o individuale — è in contrapposizione con un’infelicità collettiva che alcuni hanno chiamato “lo stato degenerativo del mondo”. L’individualismo crescente è stato accompagnato da uno sconcerto collettivo, quello che spesso si manifesta, nella forma di politiche di protesta e disimpegno, o attraverso il sostegno ai movimenti antiglobalizzazione o attraverso populismo di estrema destra e, in certe parti d’Europa anche della sinistra radicale. Ciò che questi diversi movimenti hanno in comune è il loro pessimismo. Sono pessimisti circa le opportunità che un mondo globalizzato può distribuire in parti uguali, pessimisti circa la capacità delle nostre società di mantenere le identità nazionali e culturali in un mondo sempre più interdipendente, e pessimisti verso una moderna Sinistra — che al momento appare ai propri critici niente di più che una pragmatica organizzatrice del disordine.
In breve, la Terza Via ha fallito nell’inspirare e nell’entusiasmare. Ha promesso competenza e in verità nel Regno Unito il Governo Blair si è prodotto in questo: più posti di lavoro che mai prima e più alti standards di vita con una situazione migliore per tutti, inclusi i poveri. Ma non vi è stata tuttora una trasformazione, in parte perché i risultati non hanno raggiunto le aspettative create dalla retorica, specialmente nei servizi pubblici. Altro motivo perché il Governo non ha fatto seguire alla teoria un forte senso di missione che incontrasse i nuovi profondi bisogni e le insicurezze dei nostri tempi. La Terza Via ha offerto una migliore ammimstrazione e ha sofferto del fatto che in molte aree il management - non ha raggiunto la più alta qualità. Inoltre è passata un’immagine parziale ed inadeguata, troppo superficiale a fronte dei reali problemi nella vita della gente. Combattere il pessimismo ed aiutare i cittadini ad affrontare il futuro con ottimismo è la sfida chiave per i moderni socialdemocratici, e per fare ciò la prossima tappa delle politiche progressiste deve coinvolgere il futuro ed offrire un’immagine che catturi i cuori e le menti dei disillusi o disimpegnati. 11 dilemma essere in grado di agire/essere sconcertati, a dispetto della sua complessità, può essere facilmente risolto se noi distinguiamo tra l’individuo consumatore e l’individuo come cittadino. Maggiore prosperità e informazione ci arricchiscono come consumatori. Abbiamo più prodotti o servizi tra cui scegliere, e siamo più consapevoli delle scelte che facciamo. La maggiore ricchezza ci ha liberato dai vecchi legami di parentela e di famiglia che spesso limitavano la nostra libertà di scegliere il nostro proprio stile di vita. Questi sono tutti successi della socialdemocrazia tradizionale e anche della Terza Via. Ma, mentre molti si sentono liberati nella loro sfera privata e nelle loro azioni e scelte private, l’ambito pubblico o collettivo spesso appare remoto, distante, estraneo. All’alba del ventunesimo secolo, la politica, come è di solito gestita, “sta diventando uno sport minoritario”. Ai livelli massimi, le istituzioni della politica, la sua cultura, le procedure’ ed i linguaggi, stanno allontanando il pubblico che cercano di servire. Ciò non vuoI dire che i cittadini non siano più politicamente motivati. Sappiamo che questa non è la verità. Le proteste quali quelle di cui siamo stati testimoni a Seattle contro il WTO, contro Jean Marie Le Pen a Parigi, o perfino contro i sottopassaggi e gli aeroporti da parte delle comunità locali in tutta la Gran Bretagna, testimoniano questo. Quello che ciò suggerisce, tuttavia, è che la natura dell’attivismo politico, sta cambiando. Come possono moderne socialdemocrazie rispondere a questo?
La soluzione è essere ottimisti e guardare al futuro. Dobbiamo dimostrare che l’unica possibilità non è quella di rispondere passivamente ai cambiamenti, ma che possiamo anticiparli, identificare i grandi temi, reagire e condizionarli. Come Bill Clinton ha dichiarato alla Progressive Governance Conference in luglio “dobbiamo sempre avere un progetto per il futuro”. Dobbiamo stare attenti a non gettare via il bambino insieme all’acqua sporca. I socialdemocratici devono continuare a proteggere i cittadini contro quei rischi tradizionali dai quali non possono proteggersi da soli — crimine, disoccupazione a lungo termine e problemi di salute. Ma a questi dobbiamo ora aggiungere quei nuovi rischi, degrado ambientale, conflitti violenti e terrorismo, e incapacità di rispondere alla rivoluzione tecnologica in un’economia globalizzata — che minacciano la sicurezza dei cittadini nelle società contemporanee. Rinforzare la gente contro questi rischi era forse l’obiettivo centrale della Terza Via socialdemocratica. Tuttavia, la formulazione originale di questa politica si concentrava su aree come salute ed istruzione. Noi dobbiamo ora approfondire questo programma, mettendo in grado la gente di partecipare nel processo politico, di avere più controllo sulla propria vita sia nella sfera pubblica che in quella privata. Naturalmente per abbracciare il futuro dobbiamo prepararci ad esso in un modo mai previsto prima. Le sfide del futuro — sviluppo tecnologico e scientifico quale la nanotecnologia, i cambiamenti climatici ecc. — ci richiedono, se non “di pensare l’impensabile” almeno di prepararci all’imprevedibile. Qui di seguito vengono identificate cinque aree nelle quali la moderna socialdemocrazia dovrebbe continuare a sperimentare e a far circolare idee.

CONDIVIDERE IL POTERE CON GLI ALTRI

La condivisione del potere era considerata un anatema per- i socialdemocratici. Noi credevamo che l’unico modo di costruire una società che riflettesse i nostri valori fosse di controllare le leve del potere in uno stato centralizzato che regolasse anche la vita economica. Tuttavia, come ho già argomentato altrove, vi è un senso nel quale la condivisione del potere deve divenire sia un principio di governo per i socialdemocratici sia un fine in sé stesso. Un discorso di questo tipo è però superficiale se non si offrono contemporaneamente ai cittadini gli strumenti e le istituzioni attraverso le quali essi possono esercitare del potere politico. Tuttavia, se un effetto ci
deve essere, vanno anche studiate nuove forme di responsabilità e di finanziamento alle comunità locali. Naturalmente, questa forma di responsabilità non è applicabile solamente all’ambito politico. I progressisti devono esaminare anche come responsabilizzare le direzioni delle grandi aziende, sia nei confronti dei loro clienti, attraverso l’apertura dei mercati, sia nei confronti degli azionisti, aumentandone le competenze. Nella sua relazione alla Progressive Govemance Conference John Kay ha sostenuto che un moderno approccio socialdemocratico alla relazione stato/mercato si basa sull’incoraggiamento di forme di pluralismo disciplinato. Nuove forme di responsabilità devono essere applicate ai servizi pubblici per aumentare la “contestabilità” dei consumatori affinché questi ultimi abbiano maggiore scelta nel settore pubblico. Le comunità devono avere un forte diritto di parola nel giudicare. come i loro servizi pubblici sono gestiti, sia attraverso l’elezione degli alti gradi della polizia e degli ispettori, sia con forme di autogovemo di scuole ed ospedali. Questo nuovo localismo richiede non solo che le comunità dispongano di questi poteri responsabilizzati ma anche che noi cerchiamo un modo per trasferire potere decisionale e controllo dal centro alla comunità. Nello stesso modo, se noi desideriamo imprenditorialità da parte delle comunità locali (particolarmente per le più svantaggiate) dobbiamo dare loro le risorse per farlo. Queste realizzazioni, specie quelle che probabilmente non attireranno fondi privati, dovranno avere accesso a quello che potremmo definire ”capitale sociale d’impresa”. La distribuzione di fondi pubblici deve pertanto diventare più flessibile. Dovremo avere più discrezione ed assumerci maggiori rischi. Questo implica un profondissimo cambiamento culturale nel settore pubblico: funzionari pubblici che prendano decisioni rapide che possono poi risultare sbagliate e che si assumano responsabilità per denaro pubblico così speso.

METTERE IN PRIMO PIANO LA COLLABORAZIONE PUBBLICO-PRIVATO PER AUMENTARE L’EQUITA’

Nella sua formulazione originale la Terza Via aveva già accettato che lo stato centrale non potesse più tenere i beni pubblici “in isolamento”. Le collaborazioni) pubblico-privato, ad esempio, erano una esplicita ammissione che il settore privato ha molto da offrire in termini di efficienza e innovazione nonostante le legittime preoccupazioni sulla possibilità di trattamenti disuguali.
Il programma sui diritti e responsabilità partiva anche dalle premesse che si può promuovere il bene pubblico anche attraverso cambiamenti del comportamento individuale. Ora, 1’“agenda” sul nuovo localismo ci richiede di sviluppare nuove forme di partnership, dal momento che esiste un potenziale conflitto tra decentralizzazione ed equità. Nel momento in cui il controllo dei servizi pubblici è trasferito alla comunità e vi è una devoluzione di autorità manageriale verso la “prima linea”, vi è un aumento della diversità dei servizi offerti.
La forza di questa grande innovazione è la capacità di fornire servizi più “su misura” ai bisogni individuali e adattarli per incontrare particolari diseguaglianze e situazioni di svantaggio. Per esempio diversificare i programmi scolastici per offrire strumenti migliori ai figli degli immigrati o pensare strutture di igiene mentale rivolte a gruppi esposti a particolari rischi.
Naturalmente sappiamo che per una certa sinistra una diversità di servizi porta inevitabilmente alla disuguaglianza, ma ci è anche ben noto che il sistema della “taglia unica per tutti non ha nemmeno sempre prodotto uguaglianza.
I progressisti devono organizzare al meglio le relazioni fra centro e periferia per essere sicuri che la devoluzione non risulti in ciò che Dan Corry ha definito una “libertà Darwiniana”.
Come hanno dimostrato le esperienze di Olanda, Svezia e Danimarca è possibile promuovere una maggiore scelta nel sistema pubblico di sanità ed istruzione alzando nel contempo l’intero standard nazionale. Ai pazienti, ad esempio, può essere garantito il diritto di curarsi all’estero o in cliniche private se le liste di attesa sono troppo lunghe o il servizio è insoddisfacente.
Nello stesso modo i genitori possono essere autorizzati a creare le loro proprie scuole in zone carenti e a questo scopo andranno messi a disposizione fondi pubblici.
Il valore di questo programma localistico è che esso può stimolare le capacità produttive, sia dei cittadini che della società nel suo complesso.
Una maggiore cooperazione tra Stato, Regioni e settore privato è anche centrale nella nuova strategia progressiste di generare crescita ed innovazione nelle aree più deboli dell’economia. Lo Stato dovrebbe sostenere — come parte di una moderna strategia industriale - la crescita in settori chiave come la nanotecnologia, la ricerca energetica e l’informatica più avanzata.
In questi campi è fondamentale il finanziamento diretto dello Stato dei singoli progetti.
In media gli europei dedicano solo l’1,9% del prodotto interno lordo a ricerca e sviluppo. Negli USA è il 2,7% e il 3% in Giappone. Se le nazioni europee devono restare competitive dovranno anch’esse raggiungere questi livelli.
Insieme a queste strategie i progressisti dovrebbero contestualmente incoraggiare forme di collaborazione fra aziende private e centri universitari di ricerca per migliorare i sistemi con i quali le scoperte tecnologiche sono messe a disposizione degli usi commerciali.
Inoltre, queste forme di cooperazione garantiranno le basi per una rigenerazione locale e regionale, generando nuovi poli di crescita economica in aree depresse che assicurino che i benefici di questa strategia siano distribuiti il più equamente possibile.


INVESTIRE NEI GIOVANI

I cambiamenti nella struttura famigliare e nello stile di vita, sommatisi con l’emergenza di una nuova globalizzata economia della conoscenza, hanno creato nuove, aree di rischio, nei confronti delle quali, fino ad ora, i progressisti non hanno adeguatamente indirizzato le proprie risorse. Come Gosta Esping Andersen ha sostenuto nella sua relazione di quest’anno durante la Conferenza della Progressive Governance, mentre non è una novità che le capacità individuali siano cruciali per le possibilità della propria vita, l’economia della conoscenza mette a nudo i problemi “a monte”. Negli Anni d’Oro, i lavoratori meno specializzati potevano normalmente far conto su lavori stabili e pagati decentemente. Non è più così.
Se noi dobbiamo preparare i cittadini al futuro offrendogli la sicurezza e le capacità con le quali abbracciare le opportunità della nuova economia della conoscenza e dell’età post-industriale, dobbiamo riformare radicalmente il modo in cui investiamo nelle nostre società. La prima ondata delle politiche della Terza Via era volta a mettere la propria enfasi su un attivo welfare e strategie per promuovere la formazione permanente. Sfortunatamente, negli anni iniziali, essi non hanno dato priorità agli investimenti. Oggi, dobbiamo promuovere lo sviluppo cognitivo dei giovani laddove gli anni prescolastici sono di grandissima importanza. I progressisti devono stare attenti a promuovere una universale scuola materna, e metterla al centro di un nuovo approccio per supportare le giovani famiglie. Per aiutare a combattere la povertà infantile ed accrescere le cognizioni educazionali questa strategia deve essere supportata da una più flessibile e sicura cultura della vita lavorativa, sostenuta dai diritti sul luogo di lavoro che rendono la famiglia ed il lavoro più compatibile tra loro, come la fiducia e la redistribuzione delle disponibilità, e prestiti senza interessi per i neo genitori. Naturalmente, questo implica una drastica riorganizzazione del welfare state che allarghi i propri orizzonti nelle aree chiave della spesa. Come questo può essere finanziato?
Primo, i progressisti devono riprendere i loro sforzi per un pieno impiego — rendendo il lavoro e la vita famigliare compatibile per le ragazze madri, promuvendo una maggiore integrazione dei disabili nei luoghi di lavoro, e incoraggiando gli over 50 a rimanere attivi. Quindi, è essenziale che noi troviamo sistemi più efficienti per promuovere l’integrazione sociale degli immigrati all’interno del mercato del lavoro. Questo può comportare la promozione di un atteggiamento positivo verso gli immigrati altamente qualificati che riconoscono i propri benefici economici e che vanno oltre la tradizionale comprensione della diversità e della multi culturalità. Ciò implica inoltre che le nostre politiche sociali di integrazione sono sensibili alle diverse capacità e alle differenti possibilità che gli immigrati possono avere, e che l’apprendimento della lingua diventa un obbligo per gli immigrati.
Secondo, l’aumento dell’investimento nei primi anni deve essere accompagnato da una maggiore responsabilizzazione nella vita adulta. I progressisti devono trovare nuovi modi per finanziare
l’istruzione superiore e un apprendimento permanente.
Terzo, una politica progressista dovrebbe anche cercare di aumentare i redditi. I moderni socialdemocratici dovrebbero anche ricercare i modi e le forme per introdurre delle “tasse di scopo” per particolari servizi pubblici, quali pedaggi per trasporto pubblico o una “green tax” da imporre a chi danneggia l’ambiente. Tutto ciò possibilmente su una base europea affinché venga limitato l’impatto di queste particolari tasse sulla competitività nazionale.

OLTRE LA DIVISIONE POLITICA INTERNA, POLITICA ESTERA

Da Jean Jaures in poi la sinistra è sempre stata internazionalista. Nel ventunesimo secolo non è tanto questione se noi siamo internazionalisti quanto che la tradizionale distinzione fra politica estera ed interna è scomparsa. Tony Giddens ha sostenuto che i socialdemocratici della Terza Via sono stati i primi ad accettare la globalizzazione come un fenomeno reale. Oggi la sfida per una nuova politica progressista non è solo riconoscere la globalizzazione quanto mostrare Ghe essa può essere governata in modo che le opportunità che essa offre possano essere sfruttate dai molti e non solo dai pochi. Inoltre, dopo l’11 settembre, questa non è solo una posizione morale quanto una riflessione sui nostri interessi nazionali e di sicurezza. Povertà ed esclusione generano risentimento e disperazione e questi sentimenti sono terreno fertile per i terroristi. Cosa dovremmo dunque fare?
I progressisti devono elaborare dei protocolli sul commercio che vadano oltre lo screditato accordo di Washington. Dobbiamo rinforzare e sostenere regole sul commercio che siano davvero multilaterali e dare un maggiore accesso ai paesi in via di sviluppo ai nostri mercati agricoli e tessili. Per dare un’idea pratica di ciò si pensi che un accordo agricolo darebbe all’Africa un ritorno economico cinque volte superiore agli aiuti internazionali e dieci volte maggiore ai debiti cancellati finora.
Inoltre si dovrebbe garantire l’opportunità ai paesi più poveri di usare effettivamente istituzioni quali il WTO più efficacemente, in particolare nelle loro dispute con i paesi ricchi.
In particolare i progressisti dovrebbero anche concentrarsi sulla capacità di costruire buone istituzioni.
Nei paesi sviluppati noi diamo per scontate condizioni economiche, sociali, legali che sostengono lo sviluppo socio economico. Queste includono il ruolo della legge, i diritti di proprietà, politici responsabili, un sistema giudiziario indipendente, libertà dei mezzi di informazione, organizzazioni sindacali ecc. L’importanza di queste condizioni non può essere sottovalutata.
Il Fondo Monetario Internazionale ha recentemente elaborato una stima secondo la quale se il Camerun disponesse di istituzioni quali quelle appena citate il suo reddito pro capite quasi si quintuplicherebbe passando da 600$ a 2760$.
E’ nostro interesse promuovere il buon governo, non solo perché una volta sviluppati questi paesi saranno nuovi mercati per i nostri prodotti, ma principalmente perché questo processo di democratizzazione creerebbe un sistema globale più stabile. Ciò non può essere imposto, ma solo raggiunto con la collaborazione fra noi e loro. E mentre il nostro scopo è costruire un mondo con più “partners” e meno terroristi, i progressisti non devono commettere l’errore di voltare la testa dall’altra parte di fronte al terrorismo.
Avere un approccio ambiguo o debole verso il terrorismo farebbe a noi progressisti oggi gli stessi danni che ci ha arrecato negli anni ‘70 e ‘80 il nostro rifiuto di lottare a fondo contro il crimine così come abbiamo lottato contro le sue cause.
Il conflitto iracheno ha messo a nudo le tensioni nel nostro movimento politico in merito alla questione dell’ “intervento”.
Nondimeno, come ha sostenuto Javier Solana, ogni crisi è un’opportunità e sarebbe ora che si definissero criteri comunemente accettati su come e quando intervenire militarmente sia per proteggere noi stessi che per proteggere coloro che non possono farlo da sé stessi.
Ma, così come dobbiamo essere chiari sulle condizioni che richiedono un intervento dobbiamo esserlo altrettanto sulle responsabilità che ci si deve assumere dopo.
Qui un’Europa forte e unita avrebbe da giocare un ruolo chiave. I progressisti dovrebbero mettere mano ad un protocollo comune di politica estera e della sicurezza attraverso il quale Europa e Stati Uniti possano muoversi insieme sulla base di una reale “partnership”.
Come ha sostenuto Laurent Fabius l’unica base su cui si può costruire un nuovo internazionalismo di sinistra è attraverso una Unione Europea più forte.

SALVAGUARDARE LA FIDUCIA

“Todos los politicos son iguales”. “No se puede confiar en los politicos”.
Non sempre abbiamo bisogno dei sondaggi d’opinione per dirci che qualcosa non va. Quando due delle voci principali nella sezione politica del vocabolarietto latino Americano della Lonely Planet recitano “Tutti i politici sono uguali” e “Non puoi mai fidarti dei politici”, la disillusione nei confronti della politica è già dolorosamente chiara.
Per i progressisti, sfortunatamente, questa è una doppia preoccupazione. Primo, se la gente crede che la politica non importi nulla ciò danneggerà i moderni socialdemocratici più che le destre. Noi siamo percepiti come
promotori del cambiamento; i nostri avversari professano un laissez faire politico.
Secondo, se le opinioni sopra esposte riflettono quelle della gioventù di oggi, cioè della gente che noi vogliamo cercare di impegnare, allora la necessità di un ripensamento diventa più urgente. Come possono rispondere i socialdemocratici?
I progressisti devono stare attenti a non promettere troppo. Questa è una tendenza naturale; dal momento che la gente si orienta verso una politica progressista per trasformare lo status quo, essa si aspetta il cambiamento.
Ma, creare eccessive aspettative circa il cambiamento che può effettivamente essere operato nel breve termine ha un effetto controproducente.
Qui il punto chiave è di dimostrare un collegamento fra le trasformazioni che stiamo effettivamente compiendo e la nostra più ampia visione per un futuro progressista.
Naturalmente, non vi è una garanzia a priori che questo nuovo localismo da solo porti ad una società più progressista, dal momento che è una condizione necessaria ma non necessariamente sufficiente.
Tradizionalmente i partiti socialdemocratici hanno affidato ai propri scritti semplicemente il compito di comunicare un messaggio. Tuttavia, è forse ora di stabilire una relazione più produttiva tra il partito e la sua dirigenza.
Ora invece dobbiamo reinventare e ristrutturare il partito addestrando ed organizzando i suoi membri a realizzare il cambiamento nelle comunità locali. Ciò causerà un maggior coinvolgimento dei membri del partito, genererà nuove idee e attrarrà un maggior numero di persone verso di noi. Se la gente sente di contare, di essere ascoltata, è più probabile che ci segua per una strada che sarà inevitabilmente lunga. Come ha sostenuto Wouter Bos una delle ragioni dei recenti successi del partito laburista olandese è che esso è tornato nelle strade e ha ascoltato le preoccupazioni della gente nei piccoli consigli comunali. Così come ci prepariamo ad abbracciare il futuro dobbiamo anche essere consci di dove e come le cose sono andate storte nel passato.


ABBRACCIARE IL FUTURO

Le sfide che sono davanti ai moderni socialdemocratici non sono affatto insignificanti, ma non vi è ragione per essere pessimisti. Perché, se lo fossimo, non saremmo convincenti nel presentare la nostra visione del futuro. In ogni modo è sempre più chiaro che i punti centrali della prossima fase della politica progressista stanno cominciando a prendere forma.
Il mio scopo non è stato in questa sede fornire una sintesi di un programma già pienamente formato per questa nuova fase, ma piuttosto di illustrare che la Terza Via, come originariamente formulata, ha ormai fatto il suo tempo e di indicare le strade sulle quali dobbiamo muoverci per cercare nuove politiche progressiste.
I partiti di sinistra devono continuare ad avere una mente aperta all’autoriforma, ed essere in grado di definire se stessi positivamente partendo dai propri valori. Nei mesi e negli anni a venire il dialogo che abbiamo iniziato alla Progressive Governance Conference di luglio dovrà essere continuato. Policy Network intende essere un fattore attivo, un motore di questo dialogo.
Abbiamo bisogno di scambiare esperienze fra di noi su come gestire e dare forma al capitalismo globale per venire incontro alle necessità dei più e condividere il potere con più efficacia per raggiungere i nostri scopi economici e sociali.
In breve, essere il più efficaci possibili nel preparare i nostri cittadini al futuro, intanto continuando a seguire i nostri obiettivi tradizionali di libertà personale e solidarietà, realizzazione individuale e ruolo pubblico.

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