Dicembre 2002 - Ad un anno dalla presentazione delle 11 proposte sulla Giustizia dello SDI, riproponiamo ai nostri lettori le 11 proposte presentate il 10 gennaio 2002 in una conferenza stampa a Roma

10 dicembre 2002

Socialisti: dopo anni un primo esempio di azione comune parlamentare

La riforma della giustizia

Ecco le undici proposte del pacchetto-giustizia, presentate dallo Sdi nel corso di una conferenza stampa tenutasi giovedì 10 gennaio 2002 a Roma, presenti Enrico Boselli, Roberto Villetti, Ottaviano Del Turco, Enrico Buemi, Cesare Marini, Giovanni Crema e il professor Mario Patrono.
Alla conferenza stampa era presente anche Bobo Craxi, tra i firmatari di due delle dieci proposte

Le 11 proposte del pacchetto Giustizia

1. Istituzione di un'agenzia per l'assistenza ai testimoni e ai giurati.
2. Istituzione dell'obbligo della motivazione per il decreto del rinvio a giudizio.
3. Istituzione del giudice dell'esecuzione.
4. Destinazione extragiudiziaria dei magistrati eletti in uno dei due rami del parlamento terminato il mandato elettivo.
5. Reclutamento e formazione dei magistrati e valutazione della professionalità.
6. Separazione delle carriere.
7. Modifica delle norme di trattamento economico dei magistrati.
8. Norme in materia di competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati.
9. Nuove norme per l'elezione del Csm.
10. Nuova disciplina dell'onere delle spese difensive sostenute dall'imputato e dall'indagato.
11. Autorità di garanzia per la trasparenza, imparzialità ed efficienza della Pubblica Amministrazione.

La riforma della giustizia - proposta (1)

ISTITUZIONE DI UN'AGENZIA PER L'ASSISTENZA AI TESTIMONI E AI GIURATI

L'esigenza sottesa al presente provvedimento è chiara, sì come è evidente l'obiettivo che lo stesso persegue.
In altri termini, in una prospettiva adeguatrice, rispetto a quelli che sono gli standards di trattamento di coloro che sono coinvolti dall'amministrazione della giustizia nei paesi a consolidata tradizione democratica, la delega punta alla creazione presso ciascun ufficio giudiziario della Repubblica, di una apposita struttura che si curi di chi - pur non essendo parte in causa - ha l'obbligo di intervento nella procedura. Il riferimento precipuo è ai testimoni e ai giurati.
Ed infatti: se non par contestabile che i modi, le forme e i tempi di esercizio della giurisdizione siano indicativi di come - in un determinato Stato - è concepito il rapporto tra l'autorità e il cittadino, è parimenti indiscutibile che, ove non si assicuri una partecipazione priva di condizionamenti ambientali di chi è persona informata sui fatti determinanti ai fini della decisione ovvero è chiamato a contribuire alla formazione della pronuncia giudiziale, ben potrebbe affermarsi che l'esercizio della giurisdizione è viziato sin dalle sue fondamenta.
Orbene, partendo da questa considerazione, che al tempo stesso significa l'esigenza che chi è chiamato a contribuire al corso della Giustizia, debba farlo in un ambiente non ostile, ma sereno, è opportuno, con un approccio gradualista, l'assunzione da parte del Governo di un preciso impegno.
L'indifferibilità e quindi l'urgenza del provvedimento si colgono qualora - senza alcun condizionamento di tipo ideologico - si abbia a mente quanto quotidianamente accade, soprattutto nelle corti minori, ridotte, senza tema di esagerazione, a piazze di mercato, più che a luoghi ove la giustizia è amministrata; si aggiunga, poi, che il bisogno di predisporre misure idonee, a che il teste o il giurato non patisca alcun condizionamento di sorta dall'ambiente circostante nell'espletamento delle sue funzioni, è tanto più forte in ambito processual-penalistico, dove è in questione la libertà individuale.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.
1. Il Governo è delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi allo scopo di istituire, presso il Ministero di grazia e giustizia, un'Agenzia che si occupi, prima di organizzare, poi di sorvegliare il funzionamento di un servizio di assistenza, che deve funzionare presso ciascun ufficio giudiziario della Repubblica, per coloro che siano coinvolti, non quali parti, nell'amministrazione della giustizia.

Art. 2.
1. Il Governo si atterrà ai seguenti principi:
a) è istituita presso il Ministero di grazia e giustizia l'Agenzia nazionale per l'assistenza dei testimoni e dei giurati;
b) dai compiti dell'Agenzia nazionale per l'assistenza dei testimoni e dei giurati, esulano quelli afferenti la predisposizione di qualsivoglia servizio di protezione, per coloro che, per il contributo offerto all'avvio ovvero alla prosecuzione del procedimento, abbiano esposto a pericolo la loro incolumità o quella dei prossimi congiunti;
c) l'Agenzia curerà l'istituzione presso ogni capoluogo di distretto di corte di appello di una sezione distrettuale nonché sorveglierà il funzionamento e gli standard di trattamento dei testimoni e dei giurati in ciascun distretto;
d) la valutazione sul funzionamento e sugli standard di trattamento andrà compiuta avuto riguardo alle brevi relazioni che ciascun fruitore del servizio avrà l'obbligo di presentare;
e) la sezione distrettuale curerà l'istituzione di una sezione per l'assistenza dei testimoni e dei giurati presso ogni ufficio giudiziario del distretto: tribunali, tribunali per minorenni, preture, uffici del giudice di pace;
f) tanto l'Agenzia nazionale quanto le sezioni locali per l'assistenza dei testimoni e dei giurati verranno composte da personale già attualmente alle dipendenze del Ministero di grazia e giustizia, senza alcun aggravio per l'erario;
g) è obbligo dell'Agenzia nazionale dei testimoni e dei giurati predisporre una carta dei diritti dei testimoni e dei giurati;
h) è compito delle sezioni distrettuali e delle sezioni locali dell'Agenzia garantire l'effettiva vigenza e, quindi, dare esecuzione ai precetti della carta dei diritti dei testimoni e dei giurati;
i) la carta dei diritti dei testimoni e dei giurati, una volta predisposta, andrà sottoposta, sotto forma di disegno di legge, dal Ministro di grazia e giustizia alle Camere, per l'approvazione;
l) la carta dei diritti dei testimoni e dei giurati dovrà prevedere, qualora si sia chiamati a testimoniare:
1) il diritto, ove si avanzi una richiesta in tal senso, a prendere visione, precedentemente rispetto all'udienza, dell'aula ove ha a celebrarsi il processo;
2) il diritto al pagamento delle spese sostenute, entro e non oltre dieci giorni dalla celebrazione del processo, oltre che alla corresponsione dell'indennità dovuta per legge;
3) il diritto all'invio, almeno sette giorni prima rispetto al processo, di una informazione, che dovrà includere la spiegazione di come raggiungere l'ufficio giudiziario nonché l'indicazione dettagliata dei trasporti pubblici e delle aree di parcheggio limitrofe, dell'orario di apertura e di chiusura dell'ufficio, oltreché delle facilitazioni ivi esistenti;
m) qualora si sia chiamati come giurati, la carta dei diritti dei testimoni e dei giurati dovrà prevedere:
1) il diritto ad avere, almeno cinque settimane prima rispetto all'udienza, informazione della chiamata quale giurato; l'informazione dovrà indicare in modo analitico le regole di funzionamento della corte di assise nonché i modi e le forme dell'eventuale astensione;
2) il diritto all'invio, unitamente all'informazione, di un libro esplicativo dei doveri e correlativamente dei diritti connessi al ruolo di giurato;
3) il diritto al pagamento delle spese sostenute, entro e non oltre dieci giorni dalla celebrazione del processo, oltre che alla corresponsione dell'indennità dovuta per legge;
4) il diritto all'invio, almeno sette giorni prima rispetto al processo, di una informazione, che dovrà includere la spiegazione di come raggiungere l'ufficio giudiziario nonché l'indicazione dettagliata dei trasporti pubblici e delle aree di parcheggio limitrofe, dell'orario di apertura e di chiusura dell'ufficio, oltre che delle facilitazioni ivi esistenti.



Art. 3.
1. Entro un anno dall'entrata in vigore degli emanandi decreti legislativi, è fatto obbligo al governo di adottare la disciplina attuativa del presente provvedimento.

La riforma della giustizia - proposta (2)

ISTITUZIONE DELL'OBBLIGO DELLA MOTIVAZIONE PER IL DECRETO DEL RINVIO A GIUDIZIO

Il presente disegno di legge persegue due obiettivi "generalmente condivisibili": in primo luogo tenta di porre un freno ad una prassi applicativa assolutamente irrituale; in secondo luogo "punta" a contribuire ad un riassetto della fase pre-dibattimentale, non più differibile affinché il processo funzioni.
Sotto il primo profilo, il riferimento é alla tendenza, non assoluta, ma comunque generalizzata, a concepire l'udienza preliminare come luogo processuale destinato puramente e semplicemente al "passaggio delle carte" dal giudice dell'udienza preliminare al giudice del dibattimento;
sotto il secondo profilo, si ha riguardo all'esigenza che vi sia l'approfondimento dibattimentale, solo ove lo stesso appaia assolutamente indispensabile. In proposito, vale rammentare che il modulo procedimentale accusatorio, che è dispendioso, andrebbe attivato - onde evitare un ingiustificato "ingolfamento" degli uffici giudiziari - solo rispetto alle res in iudicium deducendae di difficile soluzione e, quindi, particolarmente complesse.
Memori del brocardo "in claris non fit interpretatio", quindi, parrebbero auspicabili un più largo uso del non luogo a procedere, specialmente dopo l'intervento manipolatore della Corte costituzionale sull'articolo 425 del codice di procedura penale, nonché un più facile ricorso ai riti alternativi. Orbene, un inciso va aperto: quanto detto resta lettera morta, se non accompagnato da una riforma del diritto penale sostanziale, volta a restringere sempre piú gli ambiti di intervento della sanzione penale. In altri termini, va abbandonata l'intenzione di creare, facendo ricorso all'intervento penale, un sistema di controllo sociale alternativo rispetto a quello ordinario, che rinviene nella "supplenza magistratuale" il proprio cardine.
Tornando allo specifico disegno di legge, nella consapevolezza che non è risolutivo, in quanto misura "tampone", sembra percorrere la giusta direzione: ossia consente al giudice del dibattimento - in sede di questioni preliminari - di effettuare un controllo interno, avente ad oggetto il rituale esercizio, ad opera del giudice dell'udienza preliminare, dei suoi poteri e, quindi, della funzione allo stesso riconosciuta dalla legge processuale.



DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.
1. Al comma 1 dell'articolo 429 del codice di procedura penale è aggiunta, in fine, la seguente lettera: "f - bis) la motivazione, con l'indicazione specifica delle ragioni per cui si è ritenuta fondata la notizia di reato e non superfluo l'accertamento dibattimentale".

Art. 2.
1. Al comma 2 dell'articolo 429 del codice di procedura penale le parole: "comma 1, lettere c) e f)" sono sostituire dalle seguenti: "comma 1, lettere c), f) e f- bis)".

Art. 3.
1. Al comma 1 dell'articolo 555 del codice di procedura penale è aggiunta, in fine, la seguente lettera: "h - bis) la motivazione, con l'indicazione specifica delle ragioni per cui si è ritenuta fondata la notizia di reato e non superfluo l'accertamento dibattimentale".

Art. 4.
1. Al comma 2 dell'articolo 555 del codice di procedura penale, le parole "comma 1, lettere c), d), f)" sono sostituite dalle seguenti: "comma 1, lettere c), d), f) e h-

La riforma della giustizia - proposta (3)

ISTITUZIONE DEL GIUDICE DELL'ESECUZIONE

Già agli albori della vigenza della nuova procedura, letteratura autorevole sottolineò che le scelte operative del legislatore tecnico delegato, abiuravano - in modo parziale ma decisivo - i princìpi direttivi impartiti dalla legge di delegazione (legge 16 febbraio 1987, n.81) con riguardo agli interventi giurisdizionali in executivis. Il riferimento era - oltre ai criteri 96 e 98, per cui il nuovo codice di procedura penale doveva assicurare "garanzie di giurisdizionalità nella fase della esecuzione, con riferimento ai provvedimenti concernenti le pene e le misure di sicurezza", nonché doveva coordinare con i princìpi della delega i "procedimenti di esecuzione e di sorveglianza anche attraverso la regolamentazione delle competenze degli organi" - alla "direttiva di chiusura" di cui al n. 104, ove era richiesto l'adeguamento "di tutti gli istituti processuali ai princìpi e criteri innanzi determinati". L'esecutivo legiferante, quindi, aveva il compito di realizzare uno sforzo adeguatore generalizzato, teso a fornire copertura giurisdizionale ad ogni modulo procedimentale, principale o incidentale, cognitivo o esecutivo, contemplato dalla legge processuale penale. Si contestava - apprezzate comunque le innovazioni "portate" al tema dell'esecuzione - che al ribaltamento degli schemi classici del processo penale di cognizione, non fosse seguita - corrispondentemente - la revisione di tutti i meccanismi esecutivi, in armonia con le scelte accusatorie della delega, individuandosi, tra i momenti di più evidente "cedimento" rispetto alle "imposte" "garanzie di giurisdizionalità nella fase della esecuzione" (Gaito, L'evoluzione dell'esecuzione penale, Il giusto processo, 1990, p.52), l'aver dettato i criteri di individuazione del giudice "copiando fotostaticamente" il primo comma dell'articolo 628 e l'articolo 629 del codice di procedura penale del 1930. Questo il problema: è effettivamente terzo - rispetto alla res deducta in sede esecutiva - il giudice che ha deliberato il provvedimento, contenente il "comando" che si porta ad attuazione? Punto di inizio di qualsivoglia "ricostruzione", che - pur non potendo essere in questa sede esauriente - aspiri ad esser considerata seppur in via tendenziale - "valida", è la presa d'atto di un problema, quello del difetto di terzietà del giudice dell'esecuzione rispetto alla pregressa vicenda processuale di merito, che esiste. Muovendo da ciò, ma soprattutto constatato che i compilatori del codice di rito ne avevano contezza, la quaestio litigiosa sembra esser un'altra: è effettiva in tale sede l'esigenza di evitare fenomeni di parzialità del giudice? Parrebbe un fuor d'opera negare l'esigenza segnalata, facendo leva sulla circostanza che la giurisdizionalità non ha un contenuto unitario ed omogeneo ma può essere realizzata a livelli diversi, e che - di conseguenza - si ritenne sufficiente, a che potessero considerarsi realizzate le prescritte "garanzie di giurisdizionalità", riconoscere un giudice "qualunque" titolare della giurisdizione esecutiva cosiddetta in senso stretto.
Parimenti priva di "consistenza specifica" sarebbe la posizione di chi perduri nell'affermazione che la fase esecutiva "punti" simpliciter "alla fedele attuazione del giudicato" osta a tale visione "fuori tempo" la possibilità, riconosciuta dal legislatore al giudice dell'esecuzione, di formulare giudizi, funzionali all'esercizio di poteri decisori di merito.
Quanto detto assume, poi, particolare "utilità marginale", a seguito delle numerose sentenze costituzionali che hanno dato avvio al doveroso ampliamento dei confini dell'incompatibilità, sì come disegnati originariamente dall'articolo 34 del codice di procedura penale (si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 432 del 15 settembre 1995). Gli svolgimenti della sentenza n. 432 del 1995 chiarificano, innanzitutto, che "ogni giudizio di responsabilità dell'imputato...vale a radicare l'incompatibilità" e che "l'articolo 34 mira ad impedire..." l'elaborazione di un giudizio, a chi abbia già compiuto una valutazione sul merito dei medesimi fatti: in altri termini risulti condizionato dalla cosiddetta forza della prevenzione, leggi "naturale tendenza a mantenere un giudizio già espresso o un atteggiamento già assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento". Orbene: v'è in executivis l'esigenza tratteggiata che è elementare della giurisdizione? Evidentemente! Va da sé, infatti, che è da evitarsi che decida chi abbia - seppur da un angolo prospettico parzialmente diverso - già deciso. Mette conto, comunque, sottolineare, che l'urgenza del problema - si tratta in altri termini di estendere al giudice dell'esecuzione gli effetti dell'articolo 34 del codice di procedura penale - ha trovato conferma in una decisione del Supremo collegio che, a chiare lettere, ha statuito che "anche in materia di esecuzione sussiste l'esigenza di assicurare un controllo imparziale ad opera di un giudice davvero terzo rispetto alle pregresse vicende del giudice di merito e la necessità di impedire che nella medesima vicenda interloquisca reiteratamente il magistrato che ha già preso parte allo stesso procedimento giudicando nel merito; perciò se l'organo dell'esecuzione può essere lo stesso che ha emesso il provvedimento di merito, di contro non può esercitare le funzioni di giudice dell'esecuzione il medesimo soggetto che abbia già giudicato della stessa vicenda pronunciando il provvedimento di merito della cui esecuzione si tratta"
(decisione Cass. III, 5 dicembre 1996, Angelucci ricorrente, in Giurisprudenza italiana, 1997, II, p.454; contra Cass. I, 25 marzo 1996, Lembi, in Cassazione penale, 1997, p. 1425). Ad ogni buon conto, si mutua quanto si ebbe a dire dalla dottrina a commento della specifica pronuncia: "si profila... come non improbabile l'eventualità che i giudici dell'esecuzione comincino ad astenersi e che le parti private facciano ricorso alla ricusazione... è chiaro che siffatti espedienti tecnici non potrebbero trovare applicazione generalizzata in riferimento a qualsiasi contestazione - anche meramente formale - sul titolo esecutivo, bensì limitatamente alle sole questioni che comportino l'esercizio di poteri decisori di merito da parte del giudice dell'esecuzione. Dove, per dirla con chiarezza, i settori nevralgici in cui deve essere assicurato a tutti gli interessati il diritto ad un "giudice persona" diverso da quello delle precedenti fasi, sono tipicamente quelli del reato continuato e del patteggiamento in esecuzione e dell'abolitio criminis, ma non potrebbero essere trascurate le misure di coercizione reale, comprese quelle in funzione di confisca antimafia adottate nell'ambito del procedimento di prevenzione". (Gaito, Nel segno dell'imparzialità del giudice. Verso l'assimilazione della fase esecutiva alla fase del giudizio, Giurisprudenza italiana, 1997, II, p. 455).
Ad ogni buon conto, onde evitare la riduzione di quanto detto a sterile critica - con il presente disegno di legge si tratteggia una "riforma possibile" del giudice dell'esecuzione. In proposito due i punti fermi: innanzitutto, va abbandonata la prospettiva per cui le modalità d'intervento del legislatore debbano comunque patire i condizionamenti della "ragion pratica" - rectius le scelte non devono essere "fuorviate" nella loro interezza da un'ottica pseudo-efficientista - dato che, è la prassi che ha da "appiattirsi" sui princìpi e non viceversa.
(Relazione al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale Gazzetta Ufficiale n. 250 del 24 ottobre 1988, supplemento ordinario n. 93).
In secondo luogo, recisa - al comma 4 dell'articolo 665 codice di procedura penale - l'indifferibilità del collegamento tra il provvedimento e il giudice che lo ha deliberato - pur se nella limitata prospettiva del concorso di pene - due ipotesi si "contendono il campo": l'istituzione - analogamente a quanto avvenuto per il giudice per le indagini preliminari - di un ufficio del giudice dell'esecuzione ovvero l'"affidamento unitario della titolarità delle attribuzioni decisorie su tutte le questioni esecutive ad una struttura giudiziaria autonoma qual è la magistratura di sorveglianza". Al riguardo, il gradualismo riformista impone l'adesione all'ipotesi "soffice" di istituzione dell'ufficio del giudice dell'esecuzione, nella consapevolezza che - pur se inidonea a risolvere il problema della incompatibilità ambientale - pare la più agilmente praticabile.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.
1. Presso ciascuna pretura, tribunale e corte d'appello è istituito l'ufficio del giudice dell'esecuzione.

Art. 2.
1. Il giudice dell'esecuzione ha sempre composizione monocratica.

Art. 3.
1. L'articolo 665 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente: "Art. 665. - (Giudice competente). - 1. Salvo diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell'esecuzione di un provvedimento è il giudice dell'esecuzione presso il giudice che lo ha deliberato.
2. Quando è stato proposto appello, se il provvedimento è stato confermato o riformato soltanto in relazione alla pena, alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili, è competente il giudice dell'esecuzione presso il giudice di primo grado; altrimenti è competente il giudice dell'esecuzione presso la corte di appello.
3. Quando vi è stato ricorso per cassazione e questo é stato dichiarato inammissibile o è stato rigettato ovvero quando la corte ha annullato senza rinvio il provvedimento impugnato, è competente il giudice dell'esecuzione presso il giudice di primo grado, se il ricorso fu proposto contro provvedimento inappellabile ovvero a norma dell'articolo 569, e il giudice dell'esecuzione indicato nel comma 2 negli altri casi. Quando é stato pronunciato l'annullamento con rinvio, è competente il giudice dell'esecuzione presso il giudice di rinvio.
4. Se l'esecuzione concerne più provvedimenti emessi da giudici diversi competente è il giudice dell'esecuzione presso il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo. Tuttavia, se i provvedimenti sono stati emessi dal pretore e da altro giudice ordinario, è competente in ogni caso il giudice dell'esecuzione presso quest'ultimo, se sono stati emessi da giudici ordinari e giudici speciali, è competente il giudice dell'esecuzione presso il giudice ordinario.

Art. 4.
1. All'articolo 34 del codice di procedura penale, dopo il comma 3 é aggiunto il seguente:
"3 -bis . Il giudice che ha pronunciato ordinanza nei modi di cui all'articolo 667, comma 4, non può esercitare funzioni di giudice dell'esecuzione nel procedimento che eventualmente si instauri a seguito di opposizione".


Art. 5.
1. Il Governo è delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo contenente le norme di attuazione della stessa, sulla base dei princìpi e dei criteri in essa contenuti.


La riforma della giustizia - proposta (4)

DESTINAZIONE EXTRAGIUDIZIARIA DEI MAGISTRATI ELETTI IN UNO DEI DUE RAMI DEL PARLAMENTO TERMINATO IL MANDATO ELETTIVO

Il fenomeno dei magistrati eletti in uno dei due rami del Parlamento è diventata una costante ed è comune alle diverse forze politiche. L'attività politica dei giudici ha fatto nascere, negli ultimi anni, perplessità in un numero crescente di cittadini sull'effettiva terzietà dei titolari della giurisdizione. Il principio statuito dal comma primo dell'art. 104 della Costituzione che recita: "La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere", è disatteso allorquando si verifica la commistione tra attività giurisdizionale ed esercizio politico. Il giudice che, seppure per un periodo limitato, rappresenta uno schieramento politico in un ramo del Parlamento, indubbiamente partecipa ad un impegno di parte facendo proprie idee e programmi.
Il cittadino imputato non si sente sufficientemente tutelato sapendo di dover essere giudicato da un magistrato che ha militato in un campo politico-ideologico, avendo cioè difeso idee e programmi anche confligenti con altri. L'attività giurisdizionale esercitata da un giudice già parlamentare perde quella sacralità rappresentata dalla diffusa convinzione del popolo di essere tutelato da magistrati custodi della giustizia giusta.
Prevedere l'impedimento per il magistrato, terminato il mandato parlamentare, di riprendere le funzioni giurisdizionali, significa affermare il principio della divisione dei poteri e rafforzare la fiducia che in democrazia i cittadini debbono avere per l'amministrazione della giustizia.

DISEGNO DI LEGGE

ART. 1
1. I magistrati eletti in uno dei due rami del Parlamento, terminato il mandato, non possono più esercitare le funzioni proprie della giurisdizione, e vengono destinati ad incarichi extragiudiziari.




La riforma della giustizia - proposta (5)

NORME IN MATERIA DI RECLUTAMENTO E FORMAZIONE DEI MAGISTRATI E VALUTAZIONE DELLA PROFESSIONALITÀ

La presente proposta di legge concerne l'istituzione della "scuola della magistratura".
Gli articoli 1-4 definiscono natura e funzioni della scuola, mentre gli articoli 5-17 riguardano gli organi della stessa. Di particolare rilievo è la funzione del Consiglio scientifico che svolge anche la funzione di commissione d'esame. Di essa fanno parte tre magistrati, di cui almeno uno con funzioni giudicanti e almeno uno con funzioni requirenti.
L'articolo 18 riguarda il tirocinio e l'esame degli aspiranti uditori giudiziari. In virtù del principio della distinzione delle funzioni del magistrato, il candidato, due mesi prima della prova d'esame deve indicare espressamente se intende intraprendere la carriera di magistrato con funzioni giudicanti ovvero di magistrato con funzioni requirenti. Tale opzione deve essere confermata subito dopo lo svolgimento della prova d'esame. La commissione, infatti, nel valutare l'idoneità del candidato dovrà tener conto della rispondenza tra l'opzione espressa dallo stesso e le attitudini manifestate nel corso di studi e nella prova. La commissione, dunque, può eventualmente consigliare il candidato a optare per un ruolo diverso da quello indicato nella prima opzione. Il confronto tra il candidato e la commissione sull'opportunità dell'opzione espressa dal candidato costituisce a tutti gli effetti elemento di valutazione della prova d'esame.
Le modalità tecniche di esame e di valutazione vengono stabilite dal Governo (art. 19). Gli articoli 20-22 regolano i concorsi e il tirocinio sulla base della nuova normativa di formazione.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1
1. È istituita la Scuola nazionale della magistratura, di seguito denominata: Scuola superiore per la formazione dei magistrati.
2. La Scuola è dotata di personalità giuridica e gode di autonomia amministrativa, finanziaria e contabile. Essa è soggetta alle regole di bilancio e di rendiconto previste per tali organismi.
3. La dotazione economica annuale della Scuola è iscritta in un apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero della Giustizia.
4. L'azione di formazione professionale della Scuola è esercitata nel quadro ed in conformità degli indirizzi enunciati annualmente dal Consiglio superiore della magistratura.



Art. 2.
1. Sono compiti primari della Scuola:
a) organizzare e gestire il tirocinio degli aspiranti uditori giudiziari;
b) curare l'aggiornamento e la formazione professionale dei magistrati durante l'esercizio delle funzioni giudiziarie;
c) contribuire alla formazione di magistrati stranieri o aspiranti tali, nel quadro degli accordi internazionali di cooperazione tecnica in materia giudiziaria;
d) organizzare incontri di studio e ricerche, o comunque promuovere iniziative culturali su argomenti giuridici e sull'organizzazione di sistemi e di uffici giudiziari.

Art. 3.
1. Costituiscono entrate della Scuola:
a) la dotazione annuale di cui all'articolo 1, comma 3, ed eventuali dotazioni supplementari alla stessa assegnate nel bilancio dello Stato;
b) eventuali somme ad essa destinate dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministero di Grazia e Giustizia per l'espletamento di compiti di interesse dell'istituzione richiedente;
c) donazioni o legati fatti a suo favore;
d) gli utili derivanti da pubblicazioni curate dalla Scuola o dalla prestazione di servizi;
e) ogni altra risorsa ad essa attribuita dalla legge o da atto avente forza di legge.

Art. 4.
1. Costituiscono uscite della Scuola:
a) le spese necessarie al suo funzionamento;
b) le remunerazioni, le borse di studio od i sussidi dovuti a docenti, ausiliari, partecipanti alle sessioni ed uditori giudiziari;
c) il rimborso di spese di viaggio e di trasferta inerenti le attività di formazione, incluse quelle del proprio personale per missioni strettamente attinenti i compiti di istituto;
d) le spese di pubblicazione di atti e di gestione dei servizi sussidiari.

Art. 5.
1. La Scuola è articolata in due sezioni.
2. La prima sezione della Scuola, si occupa dei compiti elencati alle lettere b),c) e d) del comma 1 dell'articolo 2, nonché comma 1 dell'articolo 2, nonché della formazione complementare degli uditori giudiziari ai sensi dell'articolo 18.
3. La seconda sezione della Scuola si occupa del tirocinio ai sensi della lettera a) del comma 1 dell'articolo 2.



Art. 6.
1. Gli organi della Scuola sono:
a) il consiglio scientifico;
b) il consiglio di amministrazione;
c) il direttore;
d) il direttore del tirocinio;
e) i comitati di gestione di ciascuna sezione di cui all'articolo 5;
f) il servizio di segreteria di ciascuna sezione.

Art. 7.
1. Il consiglio scientifico svolge le seguenti funzioni:
a) elabora il piano annuale delle attività teorico-pratiche e ne orienta l'esecuzione, nel quadro degli indirizzi enunciati annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e nel rispetto dei vincoli di bilancio;
b) redige il regolamento interno e ne approva le eventuali modifiche;
c) nomina i componenti dei comitati di gestione delle due sezioni della Scuola;
d) approva la relazione annuale sulle attività della Scuola e la trasmette al Consiglio superiore della magistratura con le sue eventuali osservazioni;
e) delibera su ogni questione attinente il funzionamento della Scuola, che non sia di competenza di altri organismi o che sia ad essa sottoposta dal direttore o dal Consiglio superiore della magistratura.

Art. 8.
1. Il consiglio scientifico opera presso la sezione di formazione permanente di cui all'articolo 5, comma 2, ed è costituito da:
a) il direttore della Scuola, che lo presiede;
b) il vicedirettore;
c) tre componenti del Consiglio superiore della magistratura, di cui due togati;
d) tre magistrati ordinari, di cui uno dell'ufficio del pubblico ministero, ed almeno uno avente qualifica non inferiore a quella di magistrato di Cassazione;
e) due professori ordinari di università in materie civilistiche;
f) due avvocati patrocinanti in Cassazione, con almeno dieci anni di esercizio;
g) un rappresentante del Ministero della Giustizia.
2. I magistrati di cui al comma 1, lettere c) e d), sono designati dal Consiglio superiore della magistratura, fra quelli in servizio od in quiescenza da non più di due anni.
3. I professori di cui al comma 1, lettera e) sono designati da un apposito collegio formato da tutti i prèsidi delle facoltà di giurisprudenza.
4. Gli avvocati di cui al comma 1, lettera f) sono designati dal Consiglio nazionale forense.
5. L'incarico di componenti del consiglio scientifico dura quattro anni e non può essere rinnovato.
6. I componenti del Consiglio superiore della magistratura cessano dall'incarico con la scadenza del Consiglio dal quale sono stati nominati.
7. Il consiglio scientifico si riunisce almeno una volta ogni tre mesi, ed ogni volta che il direttore lo convochi ovvero ne facciano richiesta almeno cinque componenti.
8. Il consiglio scientifico delibera validamente con la presenza di almeno nove componenti. Le risoluzioni sono adottate a maggioranza dei presenti e, in caso di parità di voti, prevale quello espresso dal direttore.

Art. 9.
1. Il consiglio di amministrazione:
a) elabora il bilancio annuale di previsione;
b) presenta il rendiconto annuale;
c) organizza la contabilità e controlla la sua tenuta;
d) esercita le altre funzioni ad esso attribuite dalla legge o dai regolamenti.

Art. 10.
1. Il consiglio di amministrazione opera presso la sezione di formazione permanente di cui all'articolo 5, comma 2, ed è costituito da:
a) il direttore della Scuola, che lo presiede;
b) il segretario;
c) un rappresentante del Ministero della Giustizia;
d) un rappresentante del Ministero del Tesoro;
2. Il consiglio di amministrazione si riunisce ordinariamente una volta ogni tre mesi, ed in via straordinaria quando è convocato dal direttore ovvero ne fanno richiesta almeno due componenti.
3. Il consiglio di amministrazione delibera validamente con la presenza di almeno tre componenti. Le delibere sono adottate a maggioranza dei presenti e, in caso di parità di voti, prevale quello espresso dal direttore.

Art. 11.
1. Il direttore della scuola:
a) rappresenta la Scuola all'esterno a tutti gli effetti;
b) dirige e coordina tutte le attività della Scuola, indirizzandole ai fini ad essa assegnati, e compie tutto quanto è necessario per il loro perseguimento;
c) sovrintende alla sezione di formazione permanente, di cui all'articolo 5, comma 2, e ne dirige il relativo comitato di gestione;
d) provvede all'esecuzione delle delibere del consiglio scientifico e del consiglio di amministrazione;
e) adotta le delibere d'urgenza, con riserva di ratifica se esse rientrano nella competenza di un altro organo;
f) redige la relazione annuale sull'attività della Scuola, con l'ausilio, ove lo ritenga, dei comitati di gestione;
g) esercita le competenze a lui eventualmente delegate dal consiglio scientifico o di amministrazione;
h) si avvale del personale addetto alla Scuola;
i) esercita ogni altra funzione conferitagli dalle leggi o dai regolamenti.

Art. 12.
1. Il direttore della Scuola è nominato dal Consiglio superiore della magistratura, sentito il Ministro della Giustizia, fra i magistrati ordinari aventi qualifica non inferiore a magistrato di Cassazione.
2. Il direttore è collocato fuori del ruolo organico della magistratura e dura in carica quattro anni.
3. L'incarico di direttore può essere rinnovato per una sola volta, e può essere revocato dal Consiglio superiore della magistratura, con provvedimento motivato, nel caso di grave inosservanza degli indirizzi enunciati dallo stesso.

Art. 13.
1. Il direttore del tirocinio opera presso la sezione addetta al tirocinio, di cui all'articolo 5, comma 3, ed ha funzione di vicedirettore della Scuola.
2. Il direttore del tirocinio opera nella sezione di sua competenza con lo stesso grado di autonomia del direttore della Scuola.
3. Al direttore del tirocinio nella qualità di vice-direttore della Scuola spettano le seguenti funzioni:
a) sostituire il direttore nel caso di sua assenza od impedimento;
b) dirigere la sezione preposta al tirocinio e compiere quanto occorra al perseguimento dei fini ad essa assegnati;
c) partecipare alle attività del consiglio scientifico;
d) svolgere i compiti corrispondenti a quelli assegnati al direttore della Scuola, in quanto applicabili alla sezione di sua competenza.
4. Al direttore del tirocinio si applicano le disposizioni di cui all'articolo 12.

Art. 14.
1. Presso ciascuna delle due sezioni di cui all'articolo 5 è costituito un comitato di gestione.
2. Il comitato di gestione provvede a:
a) dare attuazione alle direttive didattico-scientifiche enunciate dal Consiglio superiore della magistratura e dal consiglio scientifico;
b) programmare, per quanto di rispettiva competenza, le sessioni di formazione e le attività di tirocinio, sia presso la Scuola sia presso gli uffici giudiziari e le altre sedi;
c) definire il contenuto analitico di ciascuna sessione o fase di tirocinio ed individuare i relativi docenti;
d) organizzare momenti di coordinamento fra i docenti, e reperire ogni materiale utile al miglior funzionamento delle attività di formazione;
e) fissare i criteri di ammissione alle sessioni di formazione, informare i magistrati, ammettere i richiedenti;
f) offrire ogni sussidio didattico che si riveli utile, e sperimentare formule didattiche, di intesa con il comitato scientifico;
g) seguire costantemente lo svolgimento delle sessioni e presentare relazioni consuntive sull'esito di ciascuna di esse; seguire direttamente il tirocinio nelle fasi effettuate presso la Scuola, e, con le adeguate modalità, nelle fasi svolte all'esterno della stessa;
h) adempiere ogni altro compito ad esso affidato dal Consiglio superiore della magistratura o dal consiglio scientifico.

Art. 15.
1. Il comitato di gestione di cui all'articolo 14, è composto da:
a) il direttore della rispettiva sezione, che lo presiede;
b) cinque magistrati nominati dal Consiglio superiore della magistratura, e collocati fuori ruolo.
2. In seguito alla prima nomina effettuata dopo la data di entrata in vigore della presente legge, i magistrati di cui al comma 1, lettera b), cessano dall'incarico uno dopo tre anni, due dopo quattro anni e due dopo cinque anni. L'individuazione del momento di cessazione di ciascuno, ove non ci sia accordo, è effettuata per sorteggio.
3. Dopo la prima nomina effettuata ai sensi del comma 2 l'incarico dura quattro anni. In nessun caso esso può essere rinnovato.

Art. 16.
1. Presso ogni sezione della Scuola di cui all'articolo 5, è costituito un servizio di segreteria.
2. Il servizio di segreteria provvede:
a) al disbrigo degli affari, di rispettiva competenza, relativi al consiglio scientifico, al consiglio di amministrazione, al direttore ed al comitato di gestione;
b) a dare esecuzione ad ogni delibera concernente l'attività della rispettiva sezione;
c) a gestire l'archivio, le installazioni, la biblioteca e le altre dotazioni della sezione;
d) ad effettuare le ricerche ad esso demandate dal direttore di sezione;
e) ad assolvere ad ogni altro compito ad esso demandato dalla legge o dai regolamenti.

Art. 17.
1. Il Servizio di segreteria di cui all'articolo 16 è costituito da:
a) un segretario, con qualifica non inferiore a quella di dirigente di cancelleria, con funzione di coordinamento dell'intero servizio, e con responsabilità della sezione di formazione permanente;
b) un vicesegretario, con qualifica non inferiore a quella di direttore di cancelleria, e responsabile della sezione addetta al tirocinio;
c) un assistente giudiziario per ciascuna sezione;
d) due coadiutori di cancelleria per ciascuna sezione;
e) quattro operatori amministrativi per ciascuna sezione;
f) quattro commessi giudiziari per ciascuna sezione.
2. Al reperimento del personale di cui al comma 1 si provvede con decreto del Ministro della Giustizia, nelle forme e nei modi che saranno disciplinati dal regolamento di attuazione di cui all'articolo 19.


Art. 18.
1. In seguito alla istituzione della scuola, il tirocinio degli aspiranti uditori giudiziari ha una durata di due anni.
2. Il tirocinio di cui al comma 1 inizia il 16 settembre di ogni anno e si articola in quattro sessioni semestrali, svolte alternativamente presso la scuola e presso gli uffici giudiziari od altre sedi individuate nel programma di tirocinio.
3.Il tirocinio si conclude con un esame sostenuto davanti al Consiglio scientifico.
4. Le modalità di svolgimento dell'esame vengono stabilite dal Governo.
5. Entro due mesi dalla data dell'esame, il candidato deve comunicare alla Commissione d'esame la propria opzione per il ruolo della magistratura giudicante ovvero per il ruolo della magistratura inquirente.
6. L'opzione di cui al comma precedente, se confermata al momento in cui si sostiene l'esame, risulta vincolante per lo svolgimento della carriera di magistrato.
7. L'attestato di abilitazione viene rilasciato dalla Commissione scientifica, tenendo conto del tirocinio e dell'esito dell'esame e contiene l'opzione vincolante di cui al comma precedente.
8. Nei primi cinque anni successivi all'assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati devono partecipare ad almeno una sessione all'anno di formazione professionale, per essi predisposta dalla sezione di formazione permanente della scuola, di cui all'articolo 5, comma 2.
9. Ulteriori disposizioni sul tirocinio di cui al presente articolo sono dettate dal Consiglio superiore della magistratura.
10. L'articolo 129 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è abrogato.

Art. 19.
1. Il Governo adotta, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, e sentito il parere del Consiglio superiore della magistratura, le norme regolamentari attinenti lo stato giuridico di tutto il personale della scuola, le procedure amministrative, la contabilità ed il bilancio.

Art. 20
L'articolo 124 dell'ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni è sostituito dal seguente:
"Art. 124 - 1. Al concorso per uditore giudiziario sono ammessi i laureati in giurisprudenza in possesso dell'abilitazione rilasciata dalla 'scuola della magistratura' e che soddisfino alle condizioni previste dall'articolo 8 del presente ordinamento ed abbiano altri requisiti richiesti dalle leggi vigenti.
2. Non sono ammessi al concorso coloro che, per le informazioni raccolte, non risultano secondo l'apprezzamento insindacabile del Consiglio superiore della magistratura, di moralità incensurabile".

Art. 21
1. L'articolo 123 dell'ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni. è sostituito dal seguente:
"Art. 123. - (Concorso per uditore giudiziario). - 1. La nomina ad uditore giudiziario si consegue mediante concorso per esame al quale sono ammessi, in numero triplo rispetto ai posti da coprire, i candidati che conseguano il maggiore punteggio sulla base del voto di laurea e del voto conseguito nell'esame di abilitazione sostenuto presso la 'scuola della Magistratura'.
2. Al fine di procedere alla selezione per l'ammissione alle prove scritte il punteggio si calcola in proporzione al voto conseguito nel diploma di laurea e al voto conseguito nell'esame di abilitazione.
3. L'eventuale lode del diploma di laurea è valutata due punti. Sono, comunque, ammessi a sostenere le prove scritte un numero maggiore di candidati rispetto al triplo dei posti messi a concorso se si verifichino situazione di parità di punteggio con l'ultimo dei candidati utilmente collocato in graduatoria.
4. La valutazione è operata dal Ministero della Giustizia. L'esame per gli ammessi consiste in tre prove scritte di contenuto teorico-pratico sulle seguenti materie:
a) diritto civile, diritto romano e procedura civile;
b) diritto penale e procedura penale;
c) diritto amministrativo.
5. La prova orale verterà sulle materie previste per le prove scritte nonché sul diritto costituzionale, diritto internazionale, diritto ecclesiastico, diritto del lavoro, legislazione sociale e normativa comunitaria.
6. Sono ammessi alla prova orale i candidati che ottengono non meno di 12/20 dei punti in ciascuna prova scritta. Conseguono l'idoneità i candidati ammessi alla prova orale e che la superino con un punteggio non inferiore a 6/10 e saranno classificati e dichiarati vincitori secondo i punti che riporteranno".

Art. 22
1. Gli uditori giudiziari, dichiarati vincitori di concorso, devono compiere un periodo di tirocinio della durata di almeno due anni presso le preture o tribunali e in tale periodo non possono essere destinati a svolgere funzioni giurisdizionali autonome.

2. Sono abrogate tutte le norme in contrasto col presente articolo.

La riforma della giustizia - proposta (6)

NORME IN MATERIA DI SEPARAZIONE DELLE CARRIERE TRA GIUDICI E PUBBLICI MINISTERI E LORO STATO GIURIDICO

Il principio di responsabilità è il cardine del moderno costituzionalismo. Esso però, in Italia, appare spesso disatteso nell'ambito dell'esercizio della funzione giudiziaria, il che contribuisce ad allontanare pericolosamente le istituzioni dai cittadini. In particolare si avverte l'esigenza di un sistema che, al fine di garantire un perfetto equilibrio processuale, eviti contaminazioni tra la funzione di chi giudica e la funzione di chi accusa. Strettamente connesse a questo problema si pongono altre due esigenze, quella di un'adeguata formazione dei magistrati e quella di una carriera non dettata solo da meccanismi burocratici ma regolata sui principi del merito e della professionalità.
Per quanto riguarda il primo punto, si propone l'istituzione di una scuola di formazione dei magistrati che avvii anche, in modo vincolante, all'esercizio del ruolo giudicante ovvero del ruolo requirente.
Per quanto riguarda il secondo punto, si propone una nuova disciplina per il reclutamento degli uditori giudiziari e una nuova normativa della carriera dei magistrati.
L'articolo 1 della proposta di legge distingue la magistratura in giudicante ed inquirente. La norma è dettata dalla necessità di soddisfare esigenze di ordine tecnico, essendo diversissime, fra di loro, le funzioni giudicanti ed inquirenti che rendono, pertanto, necessarie diverse specializzazioni.
Gli articoli 2 e 3 stabiliscono le modalità con cui avviene l'assegnazione ai ruoli ed i criteri con i quali risolvere le situazioni di esubero.
Gli articoli 4, 5 e 6 stabiliscono i tempi e le modalità di applicazione delle presenti norme.
L'articolo 7 stabilisce il divieto di mutamento delle funzioni, con il passaggio dall'uno all'altro ruolo.
L'articolo 8, che modifica l'articolo 188 dell'ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e l'articolo 9 eliminano la deleteria corsa agli incarichi direttivi in magistratura e le scelte del Consiglio superiore della magistratura, stabilendo che, nelle funzioni direttive, si avvicendino, per due anni, tutti i magistrati del medesimo ufficio, aventi grado di magistrato di Corte d'Appello o grado superiore, nell'ordine di anzianità, ovvero, per gli uffici direttivi, di cui all'articolo 120 dell'ordinamento giudiziario, di magistrato di Corte di Cassazione, con idoneità alle funzioni direttive superiori. La rotazione è rigorosamente limitata ai magistrati appartenenti al medesimo ufficio, onde escludere qualsiasi mutamento di sedi, che vanificherebbe, di fatto, il principio costituzionale dell'inamovibilità dei magistrati. Infine l'articolo 10 modifica la legge n. 195 del 1958, nel senso di riconoscere, avverso le decisioni della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, il ricorso al tribunale amministrativo regionale ed, in seconda istanza, al Consiglio di Stato. La normativa vigente, in effetti, si risolve in una capitis diminutio per il magistrato rispetto agli impiegati civili dello Stato, cui sono garantiti due gradi di giudizio avverso i provvedimenti disciplinari: il ricorso al TAR ed in seconda istanza al Consiglio di Stato.
L'articolo 11 stabilisce le incompatibilità delle funzioni di magistrato.
L'articolo 12 regola l'avanzamento della carriera sulla base dei posti disponibili e per quanto riguarda la promozione da magistrato di tribunale a magistrato di Corte di Appello e da magistrato di Corte di Appello a magistrato di Corte di Cassazione, dei meriti acquisiti in appositi concorsi.
Infine all'articolo 13 si stabiliscono i doveri del magistrato in merito ai luoghi e ai tempi dello svolgimento della propria funzione ed al luogo della propria residenza.
DISEGNO DI LEGGE

Art. 1. - (distinzione tra magistratura giudicante ed inquirente)
1. La magistratura è distinta in due ruoli: magistratura giudicante e magistratura inquirente.
2. I magistrati di entrambi i ruoli si distinguono in: uditori giudiziari, magistrati di tribunale, magistrati di Corte d'Appello, magistrati di Corte di Cassazione.

Art. 2. - (modalità assegnazione dei magistrati nei ruoli)
1. L'assegnazione dei magistrati nei ruoli avviene, da parte del Consiglio superiore della magistratura, all'atto del conferimento delle funzioni di uditore giudiziario, sulla base dell'opzione vincolante per il ruolo di magistratura giudicante ovvero per il ruolo di magistratura requirente e su domanda degli uditori stessi.

Art. 3. - (criteri di collocazione nei ruoli in situazioni di esubero)
1. I magistrati che già esercitano le funzioni, alla data di entrata in vigore della presente legge, si intendono inquadrati nel ruolo corrispondente alle funzioni esercitate.
2. Per i magistrati che intendono essere collocati nel ruolo diverso da quello corrispondente alle funzioni esercitate è fatto salvo il diritto di farne domanda al Consiglio superiore della magistratura, entro il termine di giorni trenta, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3. Qualora, attraverso tali domande si dovessero verificare situazioni di esubero nell'uno o nell'altro ruolo, il Consiglio superiore della magistratura procede alla collocazione nei ruoli, avuto riguardo esclusivamente ai seguenti criteri, considerati nell'ordine:
a) computo dell'anzianità nelle funzioni esercitate nel corso della carriera;
b) grado rivestito dal magistrato;
c) anzianità nel grado;
d) età del magistrato.

Art. 4. - (termine presentazione domande)
1. Nel termine di mesi tre dalla scadenza del termine fissato per la presentazione delle domande, il Consiglio superiore della magistratura, nel rispetto dei requisiti di cui al comma 3 dell'articolo 3, provvede alla istruzione di tutte le domande presentate, alla formazione e alla pubblicazione dei ruoli, nonché alla pubblicazione dei posti vacanti in entrambi i ruoli.

Art. 5. -(domande per assegnazione sedi)
1. Nel termine di quindici giorni dalla pubblicazione del bollettino delle sedi vacanti, i magistrati di cui al comma 2 dell'articolo 3, devono inoltrare domanda per l'assegnazione della sede.
2. Se più domande vengono presentate per il medesimo posto, ai concorrenti esclusi è fatto obbligo di presentare domanda per posti vacanti di sedi diverse dello stesso ruolo.
3. All'assegnazione delle sedi vacanti possono concorrere anche i magistrati di cui al comma 1 dell'articolo 3, nell'ambito del ruolo di appartenenza.

Art. 6. - (tempi riproposizione domande non accolte)
1. I magistrati di cui al comma 2 dell'articolo 3, la cui domanda non sia stata accolta, possono riproporla nel quinquennio successivo.
2. Per i magistrati di cui al comma 1 resta riservata una quota pari al cinquanta per cento dei posti che si rendano vacanti in entrambi i ruoli, nel corso del quinquennio successivo.

Art. 7. - (divieto mutamento delle funzioni)
1. L'assegnazione nei ruoli giudicante o requirente, effettuata dal Consiglio superiore della magistratura ai sensi della presente legge, non è suscettibile di ulteriore tramutamento, con passaggio dall'uno all'altro ruolo.

Art. 8. - (avvicendamento funzioni direttive)
1. L'articolo 188 dell'ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, è sostituito dal seguente:
"Art. 188. - 1. Gli uffici direttivi, di cui all'articolo 119 sono conferiti dal Consiglio superiore della magistratura, per anzianità, ai magistrati di Corte di Appello o grado superiore.
2. Gli uffici direttivi, di cui all'articolo 120, sono conferiti dal Consiglio superiore della magistratura, per anzianità, ai magistrati di Corte di Cassazione con idoneità alle funzioni direttive".

Art. 9 - (tempi di esercizio delle funzioni)
1. Le funzioni previste dall'articolo 188 dell'ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall'articolo 8 della presente legge, sono conferite, seguendo l'ordine di grado e di anzianità, a tutti i magistrati del medesimo ufficio, in possesso dei requisiti richiesti dalla predetta norma, che ne facciano domanda.
2. Le funzioni di cui al comma 1 vengono esercitate da ciascuno dei magistrati per un periodo non superiore ad anni due, così alternandosi tra di loro nella direzione dell'ufficio.

Art. 10. -(metodologia dei ricorsi su provvedimenti disciplinari)
1. Il terzo comma dell'articolo 17 della legge 24 marzo 1958, n. 195, è sostituito dal seguente:
"Contro i provvedimenti in materia disciplinare è ammesso il ricorso, in primo grado, al tribunale amministrativo regionale. Contro le decisioni di prima istanza è ammessa l'impugnazione al Consiglio di Stato. Il ricorso ha effetto sospensivo del provvedimento impugnato".


Art. 11 - (Incompatibilità delle funzioni di magistrato)
1. La funzione di magistrato è incompatibile con qualsivoglia incarico di natura pubblica o privata.
2. L'eventuale accettazione di tali incarichi comporta la decadenza della funzione giudiziaria.
3. Per i magistrati attualmente in servizio la rinunzia agli eventuali incarichi dovrà avere luogo entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Art. 12 -(Avanzamento della carriera)
1. Sono ripristinati i ruoli organici dei magistrati di tribunale, Corte d'Appello e Corte di Cassazione.
2. Il Governo della Repubblica è delegato a determinare con apposito decreto legislativo il numero dei posti d'organico dei magistrati per ciascuna funzione.
3. La promozione della funzione di magistrato di tribunale a magistrato della Corte di Appello e da magistrato di Corte di appello a magistrato della Corte di Cassazione avviene per esami scritti ed orali secondo le norme che il Governo della Repubblica è delegato ad emanare con decreto legislativo e comunque entro i limiti dei posti vacanti in organico.
4. I Magistrati attualmente in servizio al momento dell'entrata in vigore della presente legge conservano il loro status giuridico ed economico anche in soprannumero rispetto agli organici che il Governo andrà a determinare.

Art. 13 -(Doveri del magistrato)
1. Il magistrato deve svolgere le funzioni attribuitegli nei locali della sede giudiziaria alla quale è stato assegnato osservando l'orario d'ufficio.
2. È fatto obbligo al magistrato di risiedere stabilmente nello stesso comune dove ricade l'ufficio giudiziario al quale è assegnato.

La riforma della giustizia - proposta (7)

NORME IN MATERIA DI TRATTAMENTO ECONOMICO DEL PERSONALE DI MAGISTRATURA

Con la presente proposta di legge si affronta un tema importante all'interno di un più generale riassetto del sistema giustizia nel nostro Paese; la questione del trattamento economico del personale di magistratura. Mentre nel passato il trattamento economico del personale di magistratura era adeguato alla funzione ed ai compiti, da esso svolto, nella fase attuale la disparità, ad esempio, con chi svolge incarichi direttivi nella pubblica amministrazione si è andata evidenziando. È evidente che ad un migliore funzionamento del sistema giustizia nel nostro Paese deve corrispondere un riconoscimento, anche da un punto di vista economico, del lavoro delicato e fondamentale che dal personale di magistratura viene svolto.
Con la presente proposta di legge quello che si propone è l'adeguamento del trattamento economico recuperando il ritardo sin qui registrato.
DISEGNO DI LEGGE

Art. 1
1. Nell'articolo 1, commi 1 e 3, della legge 25 luglio 1966, n. 570, le parole "undici anni" sono sostituite dalle parole "otto anni".

Art. 2
1. Nell'art. 4, comma 1, della legge 20 dicembre 1973, n. 831, le parole "sette anni" sono sostituite dalle parole "otto anni".

Art. 3
1. Nella tabella ammessa alla legge 19 febbraio 1981, n. 27, relativa alla magistratura ordinaria, è soppressa la voce "magistrati di tribunale dopo tre anni dalla nomina" e il relativo stipendio annuo lordo sostituisce quello attribuito alla voce "magistrati di tribunale".

Art. 4
1. Nell'articolo 5, comma 1, della legge 5 agosto 1998, n. 303, le parole "venti anni" sono sostituite dalle parole "diciotto anni".

Art. 5
1. Le disposizioni di cui agli articoli precedenti hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2003, senza diritto di corresponsione degli arretrati.

Art. 6
1. Gli effetti economici derivanti dall'applicazione delle statuizioni dei primi quattro articoli della presente legge, operano previa riduzione di corrispondenti importi attribuiti a titolo di riallineamento stipendiale ai sensi delle norme soppresse dal decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359.
2. Identico criterio si applica, altresì, con riferimento all'articolo 50, comma 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, per la parte relativa al personale di magistratura.

Art. 7
1. Gli stipendi iniziali relativi alle varie qualifiche del personale di magistratura sono, in funzione perequativa, rideterminati come indicato nella tabella in allegato.
2. Nei confronti del personale di magistratura che essa dal servizio con diritto a pensione nel periodo 1° gennaio 2003 - 31 dicembre 2004, i miglioramenti previsti nella tabella in allegato (?) si applicano nella misura integrale, alle scadenze e negli importi indicati.



Art. 8
1. Per il personale di magistratura che ha fruito del beneficio del riallineamento stipendiale, il miglioramento conseguente all'applicazione delle nuove misure degli stipendi iniziali di cui al precedente art. 7, non produce effetti sulla parte di trattamento economico in godimento derivante dal suddetto beneficio, che rimane pertanto invariato negli importi.

Art. 9
1. Sono fatti salvi il sistema di progressione economica di cui all'art. 3 della legge 6 agosto 1984, n. 425, nonché quello di adeguamento triennale di cui agli artt. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, e 24, comma 4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448.

Art. 10
1. L'adeguamento triennale di cui all'art. 9, relativo agli esercizi finanziari 2003, 2004 e 2005 resta sospeso, concorrendo le conseguenti economie di bilancio alla copertura degli oneri derivanti dall'applicazione della seguente legge.

Art. 11
1. Gli Organi di autogoverno delle magistrature, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, danno attuazione ai criteri generali, stabiliti con legge, di valutazione periodica di professionalità del personale di magistratura finalizzati all'efficienza, efficacia ed economicità dell'amministrazione della giustizia.

Art. 12
1. Alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'applicazione della seguente legge si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002-2004, nell'ambito dell'unità, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del ministero dell'Economia e delle Finanze, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al ministero della Giustizia.
2. Il ministro dell'Economia e delle Finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

La riforma della giustizia - proposta (8)

NORME IN MATERIA DI COMPETENZA PER I PROCEDIMENTI RIGUARDANTI I MAGISTRATI

Il problema della competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati è uno dei più delicati della nostra giustizia. Esso riguarda sia il buon andamento della giustizia sia la vita interna dell'ordine giudiziario. Attualmente la competenza a condurre l'inchiesta quando un magistrato assuma la qualità di imputato o di persona offesa o danneggiata dal reato, spetta all'ufficio giudiziario del capoluogo del distretto di Corte d'Appello più vicino al territorio. Questa norma instaura di fatto un meccanismo di "reciprocità", poiché il più delle volte sussiste una biunivoca tra le Corti "più vicine", nel senso che se l'ufficio giudiziario di Messina è competente per i magistrati di Reggio Calabria, a sua volta la corte di Reggio Calabria è competente per i magistrati di Messina. L'esempio che abbiamo fatto non è casuale, poiché proprio tra i magistrati di Messina e quelli di Reggio Calabria, in un passato non lontano, si sono registrati conflitti che hanno gettato un'ombra sull'immagine della magistratura.
In un sistema bene ordinato il meccanismo dei controlli "reciproci" non è mai fondato sulla dialettica tra due soli soggetti, competenti in modo esclusivo l'uno sull'altro. Nel caso della magistratura, la reciprocità potrebbe essere tollerata qualora i magistrati rispondessero del loro operato a un corpo elettorale: quest'ultimo, in tal caso, avrebbe la funzione del "terzo" nel meccanismo dei controlli reciproci. Ma ciò è al di fuori sia del nostro ordinamento sia della nostra cultura giuridica, sviluppatasi nel solco della tradizione euro-continentale e romanistica, dove il magistrato non è espressione diretta della società civile, ma figura fondamentale dello svolgersi della funzione dello Stato. D'altra parte, l'attuale meccanismo della reciprocità minaccia seriamente l'esercizio della funzione giudiziaria. I magistrati delle due corti "più vicine" stanno gli uni di fronte agli altri, potenzialmente come possibili inquirenti e possibili inquisiti. Ciò non può non creare tensioni fra di loro e possibili quanto inconsapevoli complicità.
Con la presente proposta di legge si prevede di mantenere il principio della vicinanza, ma di evitare che questo inneschi a sua volta un meccanismo di reciprocità. Perciò, nel caso di due distretti in posizione di "reciprocità", la competenza a giudicare i magistrati che appartengono al distretto più consistente dal punto di vista numerico sarà spostata ad un terzo distretto immediatamente più vicino per territorio.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1
1. All'articolo 11 del codice di procedura penale, dopo il comma 1, è inserito il seguente:
"1-bis. Nel caso in cui , poi, due capoluoghi sedi di distretto di Corte d'Appello siano tra loro i più vicini procedimenti di cui al comma 1, la competenza, per quanto riguarda i procedimenti riguardanti magistrati appartenenti al distretto con maggior numero di magistrati in organico, è attribuita al giudice che ha sede nel capoluogo del distretto di Corte d'Appello immediatamente successivo per territorio




La riforma della giustizia - proposta (9)

RIFORMA IN SENSO UNINOMINALE E MAGGIORITARIO DEL SISTEMA ELETTORALE DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

L'obiettivo di questa proposta di legge consiste nell'introduzione del voto maggioritario uninominale, a turno unico, per la elezione dei membri togati del CSM, legandoli alle preferenze raccolte immediatamente e direttamente sul loro nome, in base al loro prestigio ed alle loro capacità personali.
Da questo punto di vista occorre ricordare che secondo la Costituzione, il CSM è l'organo che deve garantire l'indipendenza della Magistratura da ogni influenza esterna per tutto ciò che attiene la sua organizzazione (carriere, trasferimenti, provvedimenti disc

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