3 luglio 2002 - Camera dei Deputati - Dibattito dopo le comunicazioni del Governo sui recenti sviluppi relativi all'omicidio del Professor Marco Biagi - Intervento del Presidente dello SDI on. Enrico Boselli

03 luglio 2002

Dopo le dimissioni del ministro degli Interni
Chiuso il caso Scajola rimane il caso Biagi

La discussione che si svolge oggi avviene dopo le dimissioni del ministro Scajola e la nomina dell’onorevole Pisanu, al quale è stata affidata la guida del Viminale. Qui colgo l’occasione per rivolgergli gli auguri di buon lavoro. Tutta questa vicenda incresciosa non poteva finire altro che come è terminata se si voleva tutelare la dignità ed il prestigio delle nostre istituzioni repubblicane. Non voglio insistere ancora sull’argomento, perché la questione era e resta chiara: le parole pronunciate dall’onorevole Scajola erano e rimangono gravissime.
Prendiamo atto con soddisfazione che tutti hanno avuto la consapevolezza di quanto era avvenuto e che si è arrivati, infine, all’unica soluzione possibile. Le dimissioni del ministro significano, innanzitutto, che le istituzioni confermano il pieno rispetto verso il professor Biagi, caduto per aver servito lo Stato, e per la sua famiglia, colpita da una vera e propria tragedia. Anzi, voglio ringraziare il Presidente della Camera, onorevole Casini, per le parole che, a questo proposito, ha pronunciato ieri a Bologna. Tutti noi, maggioranza e opposizione, dobbiamo mantenere un atteggiamento comune nella lotta al terrorismo e nella difesa di chi con sacrificio serve lo Stato.
Signor Presidente, non è possibile in questa occasione ignorare il fatto che nel corso di questo anno - come ha affermato l’onorevole D’Alema - il suo Governo ha perso pezzi importanti: ricordo il dottor Ruggiero, oggi l’onorevole Scajola e poi i casi di Taormina e di Sgarbi. In un altro contesto si sarebbe parlato di una latente situazione di crisi della compagine governativa, perché lo stato di salute del suo Governo non è buono e le cose non vanno come dovrebbero su molti piani, dall’ordine pubblico all’economia. Il Governo - è inutile negarlo - si è fortemente indebolito, la sua credibilità è in netto calo e i suoi ministri vanno in ordine sparso. Un’opposizione potrebbe rallegrarsi di questo stato di confusione e di sbandamento; al contrario, siamo preoccupati per la situazione che si è creata, perché è negativa per il nostro paese. Oggi si chiude il caso Scajola, ma rimane aperto il caso Biagi e la pubblicazione di alcune delle sue lettere lo ha riproposto con molta forza. Sulle inutili richieste di tutela che il professor Biagi aveva formulato si è innestata una polemica che non ha né capo né coda, che è del tutto fuorviante. In ogni caso, non ha alcun fondamento il tentativo di addebitare, sia pure in forma indiretta, a Sergio Cofferati, solo perché la CGIL aveva polemizzato con il professore bolognese, una qualche responsabilità morale nella sua morte.
Sicuramente Marco Biagi era addolorato per le polemiche della CGIL nei suoi confronti, che sentiva gravare come minacce volte a farlo apparire come un traditore del mondo del lavoro. Tuttavia, da qui a creare un nesso tra le parole che si dicono in una polemica e le pallottole che sono sparate ai terroristi ce ne corre.
Come ha scritto Paolo Franchi sul “Corriere della Sera”, il conflitto sociale, se ne condividano o no le motivazioni, è il sale della democrazia e dello stesso riformismo, non l’anticamera del terrorismo. Il compito principale che spetta allo Stato e che spetta a tutti noi è quello di individuare e di assicurare alla giustizia gli assassini del professor Biagi. Non voglio dire che finora ci siano state inefficienze, né della magistratura né delle forze dell’ordine. Sento, tuttavia, il dovere di dire che si deve fare di più, che bisogna mettere in campo più intelligenze e più mezzi, che è necessario un impegno davvero straordinario. Qui sorge quella che noi consideriamo la questione principale riproposta da queste lettere. Nonostante il professor Biagi avesse chiesto di essere tutelato, avendo avvertito un pericolo che si è rivelato tragicamente fondato, lo Stato lo ha lasciato da solo di fronte al fuoco dei terroristi.
Eppure, dopo l’assassinio del professor D’Antona e, ancora prima, dopo quello del professor Tarantelli non era difficile capire che Biagi era nel mirino dei terroristi e mi chiedo per quale motivo, invece che rafforzare le scorte che aveva, gli sono state tolte.
Quando parliamo dello Stato ci riferiamo ad una responsabilità collettiva. Tuttavia, quando ci riferiamo ad una decisione, come quella di abbandonare a se stesso il professor Biagi, ciò implica una o più responsabilità che possono e devono essere individuate.
L’onorevole Scajola ha detto in questi giorni e ha ripetuto di non aver preso lui questa decisione. Vi è stata un’indagine interna affidata al prefetto Sorge e anch’io le chiedo, signor Presidente - come hanno fatto molti colleghi - di far conoscere immediatamente al Parlamento questa relazione. Penso che le responsabilità siano dovute ad errori di omissione, ad una grave sottovalutazione ed a pesanti inefficienze, mentre rifiuto qualsiasi dietrologia che sarebbe offensiva per le forze dell’ordine la cui lealtà alla Repubblica è fuori discussione.
Voglio, tuttavia, a nome dei deputati Socialisti, con l’amore che abbiamo per la verità, chiedere a lei, signor Presidente del Consiglio, in riferimento alla decisione che ha lasciato Marco Biagi solo ed indifeso, chi è stato. La famiglia Biagi, il Parlamento, l’opinione pubblica hanno il diritto di sapere. Lo ripeto ancora: chi è stato? Chiuso il caso Scajola, questa domanda, signor Presidente del Consiglio, non può restare senza risposta.

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