20 febbraio 2004 - L'ARGOMENTO EUROPA di Alberto Benzoni da “La gazzetta politica”

20 febbraio 2004

20 febbraio 2004 - L'ARGOMENTO EUROPA di Alberto Benzoni da “La gazzetta politica”

A Strasburgo ci sono i partiti e non il leaderismo. L'organizzazione del confronto politico in termini bipolari non rappresenta un modello positivo né per l'Europa nel suo insieme né per i singoli paesi dell'Unione

L'etica e l'Europa. Ecco i due argomenti principe usati dai "nuovisti" italiani (insomma, dai sostenitori del bipolarismo personalizzato) per chiudere, anzi per impedire il sorgere di qualsiasi discussione di merito sulle loro proposte.
L'argomento etico, lo abbiamo già ricordato, equivale a dire che il maggioritario, il suicidio assistito dei partiti, la contrapposizione totale tra gli schieramenti, il ruolo istituzionale del leader di turno, rappresentano una sorta di obbligo morale, di passaggio catartico dalla Mala repubblica a quella Buona. Un passaggio che può essere contestato solo da nostalgici, pavidi, professionisti dell'equivoco e dell'inciucio, se non da agenti occulti del nemico.

La corda etica
Un bellissimo esempio di terrorismo ideologico di massa. Una roba che funziona, naturalmente, solo se i destinatari si fanno intimidire. Sinora è stato così. Pochi sono disposti ad alzare la voce per difendere i partiti, i sostenitori del proporzionale ne praticano il culto in luoghi appartati, i " terzisti" e/o moderati invitano ad abbassare i toni, non a cambiare le parole. Sinora è stato così: ma non potrà esserlo ancora a lungo. Insomma, la corda etica si può suonare solo per un limitato arco di tempo.
Ma ciò non fa che conferire ulteriore validità all'argomento Europa. Perché questo funziona sempre; e da sempre. "Ce lo chiede l'Europa". "Bisogna fare come in Europa". È in nome di questo Super Io, dalle esigenze incontestabili ed irresistibili, che nel corso degli anni novanta abbiamo eliminato, con furore devozionale, ogni possibile aspetto dell'anomalia italiana. E, allora, se oggi questa stessa Europa ci chiede un più forte, e personalizzato, bipolarismo, come possiamo dirle di no? Il fatto è, però, che questa richiesta proprio non c'è. E non c'è, attenzione, né in linea di principio né in linea di fatto. Non c'è, né ci può essere, in linea di principio.
Perché i vari sacerdoti della costruzione europea possono, e debbono, sollecitarci ad applicare questa o quella regola di economia o di finanza, ma non hanno né vogliono avere voce in capitolo sul nostro ordinamento politico. Non c'è - ed è quello che conta maggiormente - in linea di fatto. Perché quello che ci viene gabellato come il " non plus ultra" della modernità europea, è un modello non solo del tutto in contrasto con quello di Bruxelles e di Strasburgo ma anche in crescente difficoltà all'interno dei singoli stati.
Cominciamo da Prodi. E dalla sua pretesa di annullare intorno a sé, in una specie di sintesi mistica alla bolognese, partiti, storie, culture, posizioni politiche: a cominciare dall'Italia; per continuare con un vero e proprio "shopping" nei paesi dell'Europa centro orientale, dove i partiti, come tutto il resto, costano ancora meno.
Inutile dire che un progetto del genere è, nel modello europeo, un vero e proprio fatto eversivo: a Strasburgo non c'è leaderismo (e men che meno leaderismo autoreferenziale); a Strasburgo ci sono i partiti e le loro famiglie organizzate; e ce ne saranno sempre di più, anche come conseguenza dell'allargamento; aggiungendo a quelle storiche quelle legate a posizioni "sovraniste", a formazioni etniche o ad interessi corporativi, come quelli del mondo contadino.
Ma del Romano nazionale non è il caso di occuparsi oltre. La sua variante di bipolarismo è chiaramente estrema e bizzarra. Accantonarla lascia, però, aperta la domanda fondamentale: l'organizzazione del confronto politico in termini bipolari rappresenta, qui ed oggi, un modello positivo per l'Europa nel suo insieme o, comunque, per i singoli paesi dell'Unione? La risposta che azzardiamo è: per l'Europa, assolutamente no; per i singoli stati, sempre di meno. L'Europa, non dimentichiamolo, si è costruita, nel corso di decenni, su di una logica che più tecnica e consociativa non si può.

Grandi famiglie
Grandi famiglie politiche - prima democristiani e liberali, poi socialisti, infine (e in parte) comunisti - che venivano associate ad un lento processo fatto di regole e di istituzioni e promosso e governato da Grandi mandarini, per definizione al di sopra delle parti. Da questo universo il bipolarismo è bandito: sarebbe una scelta pericolosa e controproducente.
E il criterio è sempre attuale. Anche oggi la costruzione europea, a tutti i livelli, può andare avanti solo nel massimo dei consensi: e non solo degli stati, ma anche delle grandi forze politiche. Ma, allora, perché i popolari, questo grande accrocco che unisce - per ora - democristiani e berlusconiani, gollisti e conservatori? Non è questo il segnale dell'affermarsi di una logica bipolare? Certo: ma si tratta di un bipolarismo perverso.
Il Ppe è un patto di mutua assistenza tra soci; all'insegna della disputa ideologica e, soprattutto, di potere con " quelli dell'altra parte", i socialisti. Ma, a parte questo, non c'è altro: né un'idea comune di Europa, né uno straccio di proposta concreta sulla politica estera o su quella economica e sociale o sulle stesse istituzioni.
E lo stesso Nulla pervade il presunto Antagonista: il partito socialista europeo. Così il nuovo modello, artificiosamente, bipolare, ostacola concretamente quel vecchio "sentire comune", e proprio quando questo sarebbe più necessario; senza sostituirvi nulla salvo furiosi contrasti su grandi, quanto sostanzialmente irrilevanti, questioni di principio (in dibattiti in cui, tra l'altro, nessuna delle due formazioni maggiori riesce ad egemonizzare il proprio schieramento).
Così, si intrecciano grandi dispute sull'Iraq o sulla pace: sull'Europa, invece, non si costruisce più nulla. E dunque le vicende europee sembrano rappresentare una smentita totale delle tesi nuoviste. Possiamo aggiungere, ora, che le cose cominciano a guastarsi anche a livello nazionale. E per ragioni di fondo, che attengono alla più generale crisi della politica. Una crisi rappresentata in maniera drammatica dai risultati di due recenti sondaggi.
Si è chiesto a cittadini francesi e tedeschi se condividessero le politiche - economiche e sociali, ma non solo - dei rispettivi governi. E la stragrande maggioranza ha risposto di no. Ma poi l'intervistatore ha fatto una seconda domanda: "cosa farebbe, secondo voi, l'opposizione se fosse al posto del governo"? E la grande maggioranza ha risposto: "farebbe le stesse cose".
Si tratta, a ben vedere, di un giudizio dirompente. Perché non nasce (o meglio, non nasce soltanto) dal qualunquismo ("sono tutti uguali", "mangiano tutti") o dal rifiuto pregiudiziale della politica, quanto piuttosto da una valutazione amara e disincantata dei suoi attuali limiti. In altre parole, non si condannano soltanto i politici perché inadeguati, corrotti o "lontani dal popolo"; si sospetta, piuttosto, o si comincia a sospettare, che la politica sia diventata inutile.

Una cara idea
Ad entrare in crisi è l'idea che i processi possano essere governati ed orientati nell'interesse generale e, soprattutto, in quello dei gruppi più deboli. Un'idea che destra liberista e sinistra antagonista contribuiscono, da orizzonti opposti, a liquidare ma che la sinistra riformista fa, nel concreto, poco o nulla per sostenere.
Un'idea, infine, che ha perso di recente tre sostanziali elementi di supporto: orizzonte ideologico del cambiamento, stato nazionale, politiche keynesiane. Ora, si dà il caso che il primato della politica sia base essenziale per il corretto funzionamento del sistema bipolare: un'area politica che esprime ed attua un suo disegno di cambiamento, un'altra che ne propone uno diverso (diverso, non alternativo); l'elettorato che sceglie.
Oggi non è più così (ammesso che lo sia mai stato…). Oggi, destra e sinistra praticano strategie collocate in un orizzonte assai simile, e sono egualmente inefficaci e impopolari. Con ciò rimettendo in questione, appunto, le ragioni di fondo del modello bipolare. Però il bipolarismo va tenuto in piedi. E, allora, il prodotto, in sé insipido, viene opportunamente condito: con la personalizzazione esasperata, con grandi mistificazioni ideologiche (come quella sulla guerra e sulla pace), con la delegittimazione costante dell'avversario e in nome di una morale superiore, con l'accentuazione dei contrasti di potere.
È quanto sta accadendo in Italia. E si sta ripetendo altrove. Passerà del tempo prima che si possano ricreare le condizioni per un corretto funzionamento del sistema. Prima tra queste, una sinistra dotata di un qualche respiro progettuale: e quindi non costretta nell'alternativa tra imitare la destra o maledirla. Per l'intanto, i modelli "bipartisan", praticati con successo, del resto, in un numero sempre maggiore di paesi europei (oltre che norma fondante del processo europeo), potrebbero essere una soluzione non ignobile.
Ignobile, anzi senz'altro stupida, è invece l'idea, tanto cara ai novisti di ogni risma, che per curare i mali del bipolarismo, basti semplicemente aumentarne la dose.


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