17 Novembre 2003 – “Riflessioni sul primo centrosinistra e sugli anni settanta”. Intervento di Luciano Cafagna al convegno di Italianieuropei “Riformismo socialista e Italia repubblicana. Storia e politica”.

17 novembre 2003

Questo mio intervento è piuttosto un intervento di riflessione che non un intervento di narrazione degli eventi. Prendo le mosse da dove Punzo le ha lasciate e cioè dalla vicenda del 1956 e abbiamo in quella circostanza, a seguito delle rivelazioni clamorose di Krusciov al 200 congresso la svolta nenniana. Nenni prende la palla al balzo, il processo era già in parte maturato a questo punto l’occasione è clamorosa e Nenni la coglie.
Vorrei pormi questa domanda, possiamo considerare l’operato di Nenni dal ‘56 in poi come una svolta, un operato che abbia un senso riformista. Possiamo entrare subito in merito sulla questione del riformismo socialista se c’era o no, se si manifesta o no in quella circostanza negli anni successivi?
Per poter rispondere a una domanda di questo genere bisogna per prima cosa ricordarsi che “riformismo” è parola che ha due torsioni diverse: da un lato significa credere nella validità delle conquiste graduali, delle riforme sociali, dei successi che si possono riportare nel corso delle lotte sociali e delle lotte politiche e quindi dare un peso a questo tipo di battaglie di lotte e di successi. Contro invece l’altra impostazione completamente opposta che considera le riforme qualche cosa che è una forma di trappola tesa dall’avversario di classe per ammorbidire e
fuorviare la classe operaia, le classi lavoratrici. Dall’altro canto il riformismo però ha un’altra valenza che è in polemica con l’impostazione rivoluzionaria ed è la negazione di questo. Il rifiuto di percorsi di tipo massimalistico, di tipo estremistico che hanno nel fondo la prospettiva rivoluzionaria e il successo della rivoluzione come unico possibile successo delle classe lavoratrici della classe operaia. Quindi è un altro genere di impostazione è una connotazione linguistica naturalmente, è come fosse una scelta di civiltà.
Se dobbiamo parlare del riformismo o no di Nenni e del partito socialista degli anni che seguono il 1956 dobbiamo tenerla presente questa distinzione. Io credo che dal primo punto di vista ci sia qualche debolezza, ci siano molte precisazioni da fare per quanto riguarda l’elaborazione che venne fatta da Nenni e dai socialisti in quegli anni. Dal secondo punto di vista quello della scelta di civiltà la cosa invece è chiarissima, Nenni da quest9 punto di vista fu straordinariamente esplicito fu straordinariamente vivace fu straordinariamente pedagogico. Non si può negare all’operato di Nenni in quegli anni di avere svolto un’azione in controtendenza rispetto a quello che egli aveva ritenuto di dover passare in passato quella di ricostruire un’idea democratica del socialismo e una negazione completa invece di quelle che apparivano deformazioni dell’idea socialista
sulla base di tutti gli elementi che scaturirono dalle discussioni succedute alle rivelazioni kruscoviane.
Per quanto riguarda il riformismo in senso stretto cioè la cultura delle riforme, bisogna dire che Nenni non era un personaggio particolarmente sensibile. Egli si affidava spesso a luoghi comuni a cose date per scontate, e in linea generale accadde che per quanto riguarda l’elaborazione della parte pratica, programmatica del riformismo che a questo punto si doveva cavalcare nell’operazione di centro sinistra Nenni si affidò completamente alle idee di Riccardo Lombardi.
Riccardo Lombardi assistette Nenni e fu il principale personaggio delle trattative che da questo punto di vista, non da quello strettamente politico, intervennero tra il partito socialista e la democrazia cristiana. Nenni considerava questi profili della cosa praticamente come dei profili quasi tecnici. Il fatto è che però Lombardi non era affatto un vero tecnico, era un politico, anche lui e aveva delle sue idee probabilmente il percorso che intravedeva era un percorso sostanzialmente di occidentalizzazione del partito socialista, di trasformazione del partito socialista e probabilmente nella sua idea di tutta la sinistra italiana attraverso un mutamento dei rapporti di forza che lui prevedeva o sperava tra socialisti e comunisti e probabilmente anche della possibilità di un contagio che questo avrebbe potuto determinare, provocando anche conversioni o una evoluzione nell’ala comunista del movimento dei lavoratori italiani, pensava essenzialmente in termini soggettivistici a questa trasformazione e per lui questa trasformazione aveva una grande valenza.
Nenni era un personaggio che pensava per grandi idee, si muoveva su grandi spazi, su grandi livelli ma in maniera estremamente concreta e mordente, le sue grandi battaglie furono la Repubblica, avevano queste dimensioni, la formazione di una nuova cultura socialista, di una nuova civiltà socialista in Italia. Erano di queste dimensioni le prospettive che egli tracciava, il resto gli appariva tecnico e forse anche fungibile probabilmente aveva una visione di idee come quelle delle riforme di struttura come una sorta di formula politica paritiana. Questo era il suo modo di vedere, di concepire le cose.
Per quanto riguarda tutta la parte pratica di quello che avrebbe dovuto essere il programma riformista del centro sinistra Nenni si affidò a Lombardi. Come ho detto, Lombardi era però uomo che aveva idee ideologicamente che erano diverse; probabilmente per molto tempo si ritenne che le due cose fossero compatibili in realtà poi come sappiamo dalla storia questa compatibilità ad un certo punto venne ad incrinarsi.
Quale era la natura di questo riformismo pratico di cui teneva le redini Lombardi? Non è oggi facilissimo da capire perché richiede che ci si riporti un po’ alle condizioni culturali climatiche di quel tempo. L’idea centrale del ragionamento lombardiano era quella delle riforme di struttura e Nenni la riprendeva questa formula, praticamente tutta la trattativa per il centro sinistra con la democrazia cristiana venne condotta grosso modo su questo schema: se si riescono a fare le riforme di struttura, se ci date la possibilità di fare le riforme di struttura noi entriamo nel governo, accettiamo questo tipo di collaborazione. Se questa condizione viene meno non possiamo farlo.
Probabilmente una delle ragioni per le quali Nenni forse affidò a Lombardi un credito così grande fu anche quella che egli pensava in tal modo di coprirsi a sinistra. Il fatto che le idee di Lombardi non interessavano affatto la sinistra socialista, non avevano alcuna capacità di catturarla quindi sotto questo profilo che possiamo considerare tattico, il credito fatto da Nenni a Lombardi fu un’operazione di tipo fallimentare.
In fondo, Lombardi nonostante tutto, nonostante che il suo riformismo fosse un riformismo massimalista e vedremo perché, era tuttavia un riformista e comunque tutta la sua impostazione era basata sul fatto che per poter realizzare quel tipo di programma occorreva entrare nel governo, occorreva fare con la democrazia cristiana. Questo era il punto sul quale la sinistra socialista non ci voleva sentire.
Perché io dico che il riformismo di Lombardi era un riformismo massimalista? Qui veniamo a questa strana e complicata idee delle riforme di strutture. Le riforme di strutture erano concepite nel dibattito della sinistra di quegli anni, dibattito che inizia negli anni ‘30 al tempo del fronte popolare in Francia, erano riforme diverse dalle riforme del riformismo adescativo come veniva considerato dalla sinistra rivoluzionaria. Erano riforme le quali tendevano a realizzare non tanto e non soltanto vantaggi per le classi lavoratrici ma strappare pezzi di poteri. Questa è l’idea centrale delle riforme di struttura. Le riforme di struttura erano riforme rivolte ad incidere sul potere, a strapparne pezzi alla borghesia e trasferirli all’altra parte.
Da parte dei comunisti il concetto fu sempre considerato in una maniera incerta e ambigua perché nella visione comunista la questione di riforme anche incisive era per tradizione sempre connessa al fatto che esse permettessero di fare dei passi innanzi sulla strada della rivoluzione. Questa era la tradizione ideologica comunista: fare passi innanzi sulla strada della rivoluzione in fondo con una dose maggiore di realismo rispetto a questi personaggi intermedi del socialismo europeo che credevano nelle riforme di struttura.
I comunisti non erano molto convinti che il potere potesse essere diviso quindi ritenevano che l’eredità delle riforme potesse essere accettata solo in quanto avrebbe introdotto delle mine piuttosto potenti nel meccanismo del potere esistente e quindi avrebbe permesso di fare dei passi innanzi per sgretolarlo. Comunque queste sono varianti di impostazioni ideologiche di cui bisogna tenere conto per capire come se ne potesse anche fare un uso tattico.
I comunisti accettarono questa teoria delle riforme di struttura con granu salis, con cautela, non parlandone molto. Bisogna dire per chi conosce la storia del comunismo dagli anni ‘30 in poi, che erano spesso legati a delle incertezze perché da un lato c’erano le teorizzazioni e le prese di posizione ideologiche e dall’altra parte, però, nell’impostazione comunista c’è sempre stato un realismo storico cioè un’appropriazione a rendersi conto che le cose cambiavano, che la storia si muoveva e si muove, quindi sarebbe stato possibile e necessario a un certo punto cambiarle determinate posizioni. Sta di fatto che appunto su questo terreno si viene costruendo questa sorta di mitologia delle riforme di struttura.
Che forma prese in concreto questo nella programmatica del partito socialista nel corso delle trattative per il centro sinistra? Le forme fondamentali furono queste si dava la maggiore importanza fu quello della nazionalizzazione dell’energia energia, poi ci furono altri elementi programmatici di una certa importanza. A un certo punto venne fuori l’importanza della legge urbanistica per esempio; un altro tema importante che atteneva al quadro istituzionale politico era quello della istituzione delle Regioni previsto dalla Costituzione; c’erano problemi scolastici, il motivo della scuola unica era considerato certamente un importante passo in avanti dal punto di vista sociale nella impostazione dei problemi scolastici; poi vi era l’elemento che aveva una derivazione diversa da quella socialista - questo non è stato mai sufficientemente messo in evidenza - cioè quello della programmazione economica. L’idea della programmazione economica è un’idea che in Italia venne introdotta piuttosto in ambienti cattolici. Il primo esempio di questo fu certamente il “piano Vanoni” (ministro delle finanze democristiano> che però fu redatto da un economista cattolico che definirei un cattolico socialista, anche per ragioni di famiglia e di storia - sia Saraceno che Vanoni possono essere ascritti a una filiera di questo tipo -. Saraceno aveva una grande pratica di queste cose perché aveva cominciato fin dagli anni del dopoguerra a stendere progetti e programmi che erano di tipo piuttosto concreti perché erano connessi ai modi di utilizzo delle risorse che venivano fornite dagli Stati Uniti per la ricostruzione.
Questo elemento venne prendendo corpo in una maniera più ideologica, arricchita ideologicamente quando entrò nel corpo degli elementi che si mettevano in trattativa nelle conversazioni e negli incontri per il programma del centro sinistra avendo appunto una provenienza che era un pochino diversa. Del resto Saraceno ebbe una parte importante in tutti quegli anni e anche in quelle trattative e direi introducendo spesso elementi di buon senso di cui non si tenne sufficientemente conto.
Questo era il panorama delle questioni principali dell’impostazione programmatica riformista dei socialisti. In realtà il vero riformismo era quello dell’ispirazione nenniana. Questi elementi furono oggetto di trattativa ed avevano dal punto di vista politico, ed ebbero nelle trattative, un valore fortemente simbolico perché è qui che si misurava se l’altra parte cedeva qualche cosa o non cedeva; coloro i quali dall’altra parte volevano che l’accordo si facesse lo volevano per ragioni che evidentemente non erano quelle stesse dei socialisti.
In linea generale da parte della democrazia cristiana il governo di centro sinistra doveva farsi un pochino obtorto collo perché c’erano questioni di numeri: non si riusciva a costruire una maggioranza parlamentare. Una vecchia storia che è la storia del trasformismo italiano, quindi c’era un problema di fare alleanze diverse e lì si trattava di scegliere se farle a destra o a sinistra, e le alleanze di destra che pure tentarono fortemente la democrazia cristiana vennero poi scartate.
In alcuni uomini della democrazia cristiana non si può negare che ci fossero anche delle motivazioni più forti per fare la scelta verso sinistra. Certamente c’erano i Fanfani almeno il Fanfani di quegli anni che era uomo di volitiva personalità desideroso di costruire, di fare effettivamente con una ispirazione sociale abbastanza robusta che riteneva che nell’accordo coi socialisti si sarebbe potuto trovare la base per realizzare governi dinamici f attivi e costruttivi.
Fanfani aderì all’idea della concessione ai socialisti sul punto della nazionalizzazione dell’energia elettrica e praticamente è sotto il governo da lui presieduto che si elaborò e si presero le decisioni relative.
Dall’altro lato c’era anche Moro di cui si è sempre considerato con una certa perplessità l’atteggiamento; Moro era per natura un personaggio politico estremamente cauto e riflessivo addirittura ultraprudente e quindi poteva sembrare che lui non avesse una vera volontà positiva propria nel senso della creazione del centro sinistra.
In realtà invece c’era probabilmente in Moro, come si capi meglio nel corso degli anni, che sotto le sue incertezze che erano poi legate alle difficoltà che lui incontrava per portare su queste posizioni tutto il suo partito, si capi.
In fondo c’era una sua visione che probabilmente era molto diversa da quella di Fanfani, molto meno operativamente f attiva ma più desiderosa di realizzare un piano più vasto di ampliamento del consenso democratico in questa società italiana in crescita secondo una visione democratico cristiana di tipo serio e avanzato.
Questo è il clima nel quale queste trattative si svolsero e questi i temi sui quali la trattativa si svolse sotto il profilo programmatico dei grandi punti del programma riformista dei socialisti, sappiamo che alcuni di questi furono realizzati prima ancora che i socialisti entrassero nel governo. In quella prima fase del centro sinistra che a mio avviso si deve considerare a pieno diritto il governo di Fanfani con sostegno socialista, praticamente si diede il via alla nazionalizzazione dell’energia elettrica, si realizzò la scuola media unica e si fecero parecchi passi.
Dopo questo primo governo Fanfani ci furono altre battute d’arresto. Nel complesso, per ragioni che cercheremo di vedere fra un minuto, le difficoltà crescevano nel Paese soprattutto crescevano le resistenze all’interno della democrazia cristiana. Non era estraneo a tutto questo, la natura dell’impostazione programmatica data dai socialisti non era estraneo a tutto questo le reazioni che questo cominciava a suscitare nella società civile.
A questo punto vorrei chiedermi questo, il primo è questo.
Quale era il clima generale internazionale e interno nel momento in cui dopo questa lunga gestazione che parte dal ‘56 e arriva ai primi anni ‘60, quale era il clima per quanto riguarda se favorevole o sfavorevole alla svolta di centro sinistra? Credo che la svolta di centro sinistra si sia venuta a trovare in un clima storico eccezionalmente favorevole. Sotto il profilo interno l’economia andava avanti a tutto vapore, c’era in pieno sviluppo il miracolo economico e questo significativa accrescimento delle risorse del Paese quindi disponibilità delle risorse per fare delle cose, perché tra l’altro i mezzi finanziari dello Stato sono sempre commisurati ai tassi di sviluppo.
Sul piano internazionale i fattori erano molto favorevoli, si era arrivati alla presidenza Kennedy e negli ambienti dell’amministrazione statunitense si considerava con favore e ci furono prese di posizione interessanti da parte dell’amministrazione, cosa non priva di interesse.
Anche per quello che possiamo considerare vn problema che si pone a metà strada tra il piano interno e quello internazionale, cioè l’atteggiamento del Vaticano, sono gli anni del pontificato di Giovanni XXIII che considerava con favore, con piacere, con interesse questo tipo di prospettiva. Nei diari di Nenni sono interessanti le pagine nelle quali si parla dei rapporti a distanza che c’erano fra questi due personaggi.

Quindi le condizioni e le circostanze erano sostanzialmente positive e favorevoli, eppure - questo è il secondo punto che volevo accennare - noi consideriamo tutti i segni di cui possiamo disporre e soprattutto quelli dati dalle cifre elettorali di questi anni, non possiamo assolutamente permetterci di ritenere che l’avanzata verso il centro sinistra, il progresso verso il centro sinistra, il movimento verso il centro sinistra fosse accompagnato da un consenso popolare in questo Paese.
Il centro sinistra nacque e direi visse, il primo centro sinistra, in condizioni di sostanziale impopolarità. Il partito socialista passò da una delusione all’altra nonostante tutti gli sforzi di Nenni, da una consultazione elettorale all’altra. Andò al governo nel 1963 dopo una consultazione elettorale che fu sostanzialmente umiliante per un partito che si stava presentando come un nuovo protagonista della storia italiana. Per non dire della elezione del 1968 che conclusero il priirp periodo la prima esperienza del governo di centro sinistra che furono addirittura catastrofiche perché come tutti sanno il partito socialista e il partito socialdemocratico unificati presero nel 1968 complessivamente meno voti sommandosi di quando si erano presentati separati nel 1963.
Il centro sinistra non fu accompagnato da un consenso popolare e questo è stato spiegato con due grandi teorie. Da un lato si è detto il centro sinistra non si è presentato con un programma effettivamente popolare che abbia colpito l’opinione pubblica e abbia ottenuto il consenso popolare perché si trattava di cose che apparivano esterne, sostanzialmente tecniche e tecnocratiche. E l’altro tipo di spiegazione che è stata data è quella adita alle responsabilità della sinistra comunista che non avrebbe dato il sostegno anzi, avrebbe remato contro e condotto una campagna costante per screditare il governo di centro sinistra, per presentare tutto sommato il passaggio dei socialisti nell’area governativa come una sorta di tradimento, anche se poi le dichiarazioni ufficiali erano magari di tipo diverso, quindi praticamente per sottrarre voti al partito socialista.
Queste sono le due linee di spiegazione alle quali grosso modo ci si è ispirati nel cercare di spiegare questa mancanza di consenso di cui soffri il primo centro sinistra negli anni ‘60. Io penso che a tutte e due si debba rispondere positivamente, credo che sia l’una che l’altra spiegazione che non sono incompatibili fra di loro abbiano fondamento. Il programma riformistico era un programma arido e lontano dalle esigenze.
Non è detto che in quegli anni non ci fossero aspirazioni sociali, c’erano. Erano connesse alle stesse conseguenze sociali del miracolo economico; sono gli anni nei quali si crea nel mondo in genere ma in Italia in particolare, quel clima che è stato chiamato “delle aspettative crescenti”. Si tratta di aspettative che sono estremamente connesse a dei vantaggi materiali. Sono anni nei quali la richiesta sociale del lavoratore comune è essenzialmente quella di un incremento dei salari, della possibilità di avere condizioni favorevoli. Era quello che con una formula icastica di cui si parlò molto ma che non ebbe alcun successo politico, aveva espresso Giuseppe Saragat al momento della formazione del centro sinistra, parlò e disse: “Adesso occorre un programma di case, scuole ed ospedali”. Questo programma non fu il programma del centro sinistra, il centro sinistra si era messo per altre strade e per altre strade si mosse.
Che cosa accadde? Accadde di questo insuccesso di cui ho fatto cenno e una cosa estremamente singolare.
Se noi distinguiamo la vicenda del centro sinistra in alcune fasi, cioè la prima fase quella fanfaniana senza la partecipazione dei socialisti, una seconda che è quella del primo governo Moro che è una fase breve e intensamente drammatica, alla quale succede una fase che chiamerei “morotea” che è quella che dura fino all’elezione del 1968 con il secondo governo Moro che cambia e ammorbidisce tutte le impostazioni programmatiche e rallenta completamente i suoi ritmi di attività e di realizzazione che chiamerei “motorea” fu allora che si creò questa espressione ironica, ricondurre all’espressione doroteismo che circolava allora per parlare della democrazia cristiana ostile al centro sinistra. Abbiamo poi una quarta fase che potrei chiamare dorotea che è quella dell’agonia del centro sinistra che segue alle elezioni del 1968, ebbene è singolare e curioso che è proprio all’inizio di questa fase agonica che si realizzano forse le più importanti riforme del centro sinistra e forse si realizzano in un campo e in un’area che comincia a essere diversa da quella dell’impostazione tradizionale. Sono gli anni a cavallo della elezione del ‘68; in due tempi si realizza una importante riforma pensionistica, se ne potrà discutere per i profili e le conseguenze finanziare ma certamente fu dal punto di vista sociale un enorme successo. Sono i mesi nei quali si realizza lo statuto dei diritti dei lavoratori. E’ l’anno del divorzio. Quindi è proprio a ridosso della sconfitta del ‘68 che finalmente si fanno febbrilmente le cose che parlano alla gente ma è troppo tardi.
Se vogliamo concludere dobbiamo secondo me cercare di chiederci, forse lo possiamo fare a distanza di tanti anni, che lezione possiamo trarre da quella vicenda? Io credo che sia presto fatto.
Una cosa che ho dimenticato di accennare e mi pare importante cioè quando si parla della possibilità di un appoggio comunista, non avrebbe fatto che aggravare i difetti che aveva il centro sinistra senza appoggio comunista.
Quali sono le conclusioni che possiamo forse trarre? Il giudizio che dobbiamo dare che certamente il centro sinistra ebbe una colpa gravissima, cioè quello di non essersi presentato al Paese sin dall’inizio - quella fu certamente la fase decisiva - con un programma che fosse effettivamente popolare capace di raccogliere il consenso popolare, che avesse qualche cosa di ispirato alle idee socialdemocratiche del welfare state. Non ci fu questo. I pezzi di welfare state che furono costruiti nella fase agonica furono di tipo disordinato contraddittorio e sostanzialmente insostenibili, perché il vero problema che si sarebbe dovuto porre sin dall’inizio il centro sinistra e il riformismo socialista in quegli anni, era quello di realizzare un programma di riforme popolari da un lato e sostenibili economicamente dall’altro.

Vai all'Archivio