17 giugno 2003 - MA ORA, CON I CO.CO.CO, È IN ARRIVO UN ALTRO TERREMOTO DI PIETRO ICHINO

17 giugno 2003

Il referendum sull’articolo 18 va dunque in archivio con un vistoso nulla di fatto; e con sollievo di molti, a destra, ma ancor più a sinistra. Sbaglierebbe, però, chi pensasse che possa considerarsi archiviata anche la questione di fondo da cui l’iniziativa era nata: la questione, cioè, di un sistema nel quale tutto il peso della flessibilità di cui c’è bisogno è portato da metà soltanto della forza-lavoro. Giunta al suo prevedibile epilogo la vicenda referendaria, a riproporre la stessa questione provvede ora, dal versante politico opposto, niente meno che il governo, con una norma del decreto attuativo del patto stipulato lo scorso anno con Cisl e Uil (articolo 61).

Una norma che tende a parificare drasticamente al lavoro subordinato ordinario tutte le collaborazioni autonome a tempo indeterminato (i famosi «co.co.co»). Il «sì» al referendum avrebbe esteso a 3 milioni di dipendenti di piccole imprese il solo articolo 18 sui licenziamenti. La nuova norma del decreto Maroni riguarda all’incirca 2 milioni di collaboratori autonomi a tempo indeterminato, ma con un effetto assai più incisivo: verranno loro estese nel giro di un anno non soltanto la disciplina dei licenziamenti, bensì l’intera disciplina del lavoro, dalla quale essi sono oggi esclusi; e la loro contribuzione previdenziale (oggi al 14%) verrà conseguentemente tr iplicata. L’impatto di questa norma sul tasso complessivo di rigidità del nostro sistema non sarà certo inferiore a quello che sarebbe stato prodotto dal prevalere del «sì» al referendum: essa amplierà l’area di applicazione integrale del diritto del lavoro del 15% circa, ma con un aumento del costo orario complessivo, nel settore interessato dall’ampliamento, superiore al 30%. E per molte imprese marginali la trasformazione dei rapporti di collaborazione comporterà il superamento della soglia fatidica dei 15 dipendenti. La cosa più sorprendente è il silenzio totale tenuto su questa rilevantissima riforma dai protagonisti maggiori del duro conflitto sindacale in corso. Tace la Cgil, che pure vede in sostanza accolta la propria rivendicazione (riassorbimento della maggior parte dei «co.co.co» nell’area del lavoro dipendente protetto), formalizzata nel maggio 2002 e allora giudicata da molti «estremista»: in Corso d’Italia, sede del sindacato di Epifani, non si può approvare nulla di ciò che fa il governo e quindi si ignora totalmente questa parte del decreto Maroni, che pure tende a stabilizzare 2 milioni di lavoratori; si proclama invece uno sciopero contro lo stesso decreto, denunciato come «eversivo del diritto del lavoro», per le maggiori flessibilità disposte da altre norme che riguarderanno al massimo 2 o 300 mila posti. Per il motivo simmetricamente opposto tace la Confindustria, la quale per l’intera legislatura passata ha fatto le barricate contro il disegno di legge Smuraglia sulle collaborazioni autonome continuat ive, riuscendo a bloccarlo, ma ora per fedeltà al governo trangugia senza un lamento una riforma enormemente più incisiva, che estremizza quanto previsto su questo punto dal «patto per l’Italia» dello scorso anno. In Viale dell’Astronomia, sede dell’organizzazione di D’Amato, ci si consola minimizzando: le imprese si arrangeranno, i «co.co.co.» si trasformeranno in «lavoratori a progetto» e a termine (ma nella grande maggioranza dei casi questa trasformazione sarà assai difficile e comunque molto rischiosa ). Nessuno si domanda quanti di questi 2 milioni di rapporti cesseranno, o si trasformeranno in «lavoro nero», per l’aumento repentino del costo e dei vincoli imposti dalla riforma. Ancora una volta, oportet ut scandala eveniant . Finalmente ci stiamo accorgendo dell’iniquità e inefficienza di un diritto del lavoro squilibrato, come è il nostro, che divide i lavoratori in serie A (gli inamovibili del pubblico impiego e quelli delle imprese medio-grandi), serie B (i meno protetti delle piccole imprese) e serie C (i «co.co.co.», totalmente non protetti). Finora l’iperprotezione ha potuto essere offerta ai lavoratori di serie A solo in quanto il sistema fruiva del polmone di flessibilità offerto dalle due serie inferiori. Un regime d i protezione più equo e veramente universale, se vuole essere concretamente praticabile, presuppone evidentemente una redistribuzione delle tutele fra le tre categorie; ma per ora né il governo, con il decreto Maroni, né l’opposizione, con la «Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori» di Giuliano Amato e Tiziano Treu, hanno avuto il coraggio di proporla.

Vai all'Archivio