15.09.2000 – RILANCIARE LA LIRICA PUNTANDO SULLA QUALITA’ E SUL PUBBLICO – Roberto BISCARDINI, Gli amici della Lirica

15 settembre 2000

Da tempo il termine globalizzazione va molto di moda e molti settori inseguono questo miraggio come l’unica soluzione possibile per realizzare maggiori profitti. Insieme alla globalizzazione si scimmiottano “alla bella e meglio” i modelli economici ed aziendali di stampo liberista pensando che le concentrazioni, le partnership, la produttività e il mercato risolvano ogni problema.
Che questo possa avvenire nel settore della cultura è però del tutto discutibile, così come è discutibile che si usino a pretesto questi modelli per nascondere politiche culturali diverse e per tacitare i dissensi.
Non vado oltre queste poche considerazioni economico- politiche perché tradirei gli amici melomani come me, ma tre episodi mi sembrano degni di considerazione.
Mi riferisco al seminario sulle tendenze dello spettacolo svolto nei mesi scorsi a Lisbona organizzato dai Ministeri alla Cultura dei Paesi dell’Unione Europea.
Mi riferisco alle coproduzioni e alla recente “querelle” tra il Teatro della Scala ed i loggionisti, che ha dato il via a questa mia riflessione.
Dal seminario di Lisbona sembrerebbe, per quanto riguarda lo spettacolo musicale dal vivo, che il teatro in Italia viva in una impasse totale e che occorrerebbe qualcosa di consistente per rivitalizzarlo. Ma cosa? Sulle coproduzioni, nate con il nobile quanto fallimentare intento di ridurre i costi e di aumentare la qualità (vedasi il caso del circuito lirico lombardo e quello dell’Emilia Romagna) si sta finalmente incominciando a riflettere per evitare che siano trasformate esclusivamente in “trappole produttive” che alla lunga non intercettano nuovo pubblico né trovano il suo consenso. La vicenda dei loggionisti per la sua particolarità è persino la più emblematica: il Teatro alla Scala ha soppresso 200 posti in piedi, acquistabili mezz’ora prima dello spettacolo, addebitando l’inevitabilità della decisione alla precaria agibilità del Teatro. Un assurdo: se si tiene conto che è dal 1984 quel teatro non è a norma di sicurezza e che tra un anno la Scala chiuderà per restauro.
Di fronte a questi pochi esempi la domanda che dobbiamo porci è se le medicine che si stanno introducendo hanno come finalità la salute dello spettacolo o se non sono invece lo strumento per piegare il rapporto essenziale con il pubblico ad una logica tutta aziendalistica. La nascita delle Fondazioni, ad esempio, con l’ingresso degli sponsor privati nei teatri, oppure la proposta della Scala di mettere in vendita via internet, telefono o sportelli bancari i 139 posti della seconda galleria sono un reale passo avanti? Affrontano il nodo centrale del rapporto fra teatro e pubblico?
A me sembra che i teatri tendano a produrre sempre più per un sistema che non gli è proprio (quello massmediologico dei giornali e delle TV) e sempre meno per il pubblico, snaturando talvolta persino il prodotto e costruendolo per chi lo guarda da casa anziché per chi va a teatro.
L’ingresso degli sponsor nei teatri, se meritevole da un certo punto di vista, ha incominciato a cambiare la composizione del pubblico, la logica dei biglietti e degli abbonamenti gratis per i propri clienti, rivolti ad un pubblico spesso distratto, porta sempre più a confondere la qualità artistica dello spettacolo con la visibilità e la notorietà dello stesso, sviluppando l’equazione: tanta pubblicità, l’interprete è noto anche se inadatto, lo conosco, ha un nome e quindi è bravo.
Così facendo, a parte la difficoltà sempre maggiore per il pubblico tradizionale di reperire biglietti, si è creata sempre più una frattura con quel pubblico competente ed esigente che garantiva la qualità dello spettacolo e la serietà del teatro.
Stante così le cose, il pubblico giovane non viene stimolato da nessuno, né tantomeno formato ed educato. Questo si evidenzia anche nelle pagine dedicate dai giornali agli spettacoli. Esse privilegiano di più l’evento che la recensione, più la mondanità che la critica. Sulle coproduzioni c’è poco da dire: esse hanno perso il loro significato iniziale l’idea di mettere insieme più soggetti per produrre più spettacoli si è totalmente capovolta: più soggetti si mettono insieme per produrne di meno offrendo al pubblico di una stessa area regionale sempre lo stesso prodotto. Perché non utilizzare le risorse diversamente? Certo si può realizzare insieme un’opera di particolare importanza per cast e costo, senza comprimere la produzione autonoma dei singoli teatri, così che il pubblico di una stessa area regionale, muovendosi di città in città, come avveniva una volta, abbia un’offerta sempre maggiore.
Da ultimo la Scala e la vicenda dei loggionisti. Già era nato il sospetto che la Scala si trasferisse in occasione dei restauri più per sostenere il progetto discutibile di una periferica Scala 2 che non per necessità intrinseca, oggi sembrano persino legittimi i sospetti di chi in questi giorni ha sostenuto che con l’operazione loggionisti si voglia allontanare dal Teatro il suo pubblico più affezionato, informato, competente e amante del melodramma? O forse, come hanno già sostenuto altri, si ha paura dei loggionisti nell’imminente apertura della stagione interamente dedicata alle celebrazioni verdiane con la messinscena della trilogia Traviata, Trovatore e Rigoletto?
Quello che è certo è che i fenomeni di modernizzazione del teatro non lo stanno riportando nella direzione di restituire al Teatro stesso la sua centralità sociale e la sua funzione di cuore pulsante delle realtà culturali delle nostre città. E questo vale soprattutto per il melodramma che è un’espressione tipicamente italiana che tutto il mondo ci invidia e che noi non sappiamo valorizzare, allargare e promuovere come si dovrebbe. Cosa fa il Paese del melodramma per coinvolgere le scuole, per aumentare le produzioni dei teatri anche quelli cosiddetti minori e per dare più possibilità a cantanti, direttori e registi?
Allargare le opportunità, ricostruire lo spirito del confronto e persino della competizione fra teatri diversi, moltiplicando le possibilità espressive e creative, uscendo dalla logica sempre più oligopolistica nella quale si trova l’attuale teatro lirico, significa ridare al pubblico il gusto e la voglia di partecipare, consentendo di esprimere oltre i plausi anche i dissensi, in quel miscuglio di passioni e sentimenti che rendono esaltante il binomio pubblico e spettacolo.

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