13 APRILE 2002 - CONGRESSO NAZIONALE SDI - GENOVA - INTERVENTO DI STEFANIA CRAXI

13 aprile 2002

Cari compagni, care compagne, cari amici,

vi porto il saluto della Fondazione Bettino Craxi e l’augurio che anche attraverso di voi il socialismo possa tornare a splendere, perché di un socialismo liberale e democratico l’Italia ha bisogno, perché da quando la nostra voce è diventata fioca il nostro paese non ha più visto giorni sereni e costruttivi, non ha più vissuto una sana vita democratica.
Qui a Genova Bettino Craxi ha tenuto il suo ultimo discorso pubblico, nel centenario del partito, e ha parlato ancora di unità, sia pure con lo scoramento di quei tristi giorni di fine ’92. “L’unità”- disse - “dovrebbe nascere da una rigorosa analisi e, dove è necessario, da una ferma correzione delle esperienze e degli errori compiuti in tempi recenti per giungere a gettare le basi del superamento di antiche divisioni ostilità e pregiudizi, purtroppo ancora molto radicati e ostinatamente difesi da uno spirito conservatore duro a morire e che vediamo talvolta camminare davanti a noi, confusamente in avanti ma con la testa rivolta all’indietro”.
Nei molti scritti di Bettino che la Fondazione va riordinando trovo spesso parole profetiche di una moderna Cassandra; come in quel discorso fatto nell’ ’88 a Madrid per spronare l’Internazionale Socialista a spendere tutte le proprie forze per il raggiungimento della pace nel Medio Oriente: “Io penso che l’Internazionale Socialista dovrebbe dire con molta chiarezza che la politica dell’attuale governo israeliano impedisce ogni prospettiva di pace, in più di un’occasione ha violato le leggi internazionali ed offeso i diritti umani… I palestinesi sono un popolo che aspira a divenire una nazione, ad avere una Patria ed uno Stato. I popoli quando prendono coscienza della propria identità, rifiutano il dominio straniero e ancor più le occupazioni militari che si protraggono per decenni. Presto o tardi giunge sempre l’ora della ribellione e contro le ribellioni popolari non servono né l’arresto né l’uccisione dei loro capi né la demonizzazione delle èlites politiche e delle organizzazioni militanti che interpretano la coscienza diffusa di un diritto e di una causa nazionale, anche quando esse si possono essere rese responsabili di tragici errori, e, alla lunga, come la storia insegna, non serve neppure la superiorità dei mezzi militari.”
Ho ricordato Craxi ma voglio ricordare anche Pietro Nenni, che non aveva un’origine riformista, ma che nella sua grande saggezza politica il socialismo riformista lo praticò con fermezza e perseveranza segnando tutte le conquiste sociali e civili che hanno fatto dell’Italia un paese libero e moderno.
Ho citato Nenni e Craxi perché è lì che sono le nostre radici, è lì che ritroviamo compiuta la nostra identità. Dirsi riformisti oggi non basta e a volte si sfiora il ridicolo: dopo il Congresso di Pesaro riformisti sono i ds, riformista è la Margherita, a modo suo riformista è Bossi, si dichiara riformista Fini e anche Berlusconi non fa che parlare di riforme: ma nessuno può vantare, come noi, veri e grandi campioni del riformismo sociale e civile come Nenni, Saragat e Craxi. La loro storia va difesa e rivalutata, sempre, in ogni occasione, se vogliamo rivalutare noi stessi perché nessuno ci aiuterà, tutto quello che riusciremo a fare non potrà essere altro che il prodotto di ciò che avremo fatto.
Io non parlerò né di divisioni né di errori e nemmeno spargerò lacrime sulla diaspora socialista che ha avuto dieci anni di tempo per ricomporsi e non lo ha fatto. Mi limiterò a guardare in faccia la situazione e a trarne qualche conclusione.
Il bilancio del Nuovo Psi non è un bel bilancio. La sua voce non si sente, il suo proselitismo è una macchina ferma. Berlusconi dice – ed è vero – che molti socialisti hanno votato Forza Italia ma non mi sembra che a questi elettori dia peso e spazio. Se io fossi iscritta – e voi sapete che non lo sono – al Nuovo Psi non sarei affatto contenta e non starei buona. Ma io non ho un carattere accondiscendente.
Voi dello Sdi avete, a vostra volta, tentato varie strade: la “Cosa 2” che è fallita come la “Cosa 3”, il Girasole, ora la Margherita, l’Ulivo, e tutti schierati a distillare dalle parole di Bertinotti la possibilità di una nuova intesa che non potrà che essere un nuovo cappio al collo di quel riformismo annunciato a Pesaro e già sommerso dall’ondata massimalista e giustizialista, cioè dai due mali che sono stati, il primo il dramma del vecchio socialismo e il secondo il dramma del nuovo socialismo.
Ma questa non è politica, è solo l’illusione di avere a portata di mano la rivincita sulla sconfitta di giugno, rivincita che andrebbe preparata con ben altra serietà e ponderazione.
Ma torniamo a noi socialisti, ai nostri interessi, alle nostre possibilità di futuro, agli spazi – se ci sono – per noi disponibili.
Mi dispiace che voi non siate intervenuti alla commemorazione di San Macuto perché la rivalutazione dell’opera di Craxi fa bene a tutti noi sia quando viene da Amato e Violante, sia quando viene da Casini e Berlusconi. A San Macuto, dicevo, Intini ha voluto ricordare che Craxi era un uomo della sinistra. Verissimo. Ma di quale sinistra?
Quella che abbiamo oggi di fronte è quella che Craxi non voleva, che ha combattuto assieme a tutti voi. E’ quella che ci nega e ci rinnega, che non vuol farci parlare e non vuole ascoltare, guidata da quegli stessi intellettuali che Berlinguer aizzò contro il sacrosanto revisionismo di Craxi rompendo quello spirito unitario che pur fra aspri dissensi e polemiche era sempre esistito fra socialisti e comunisti. E’ lì che si è determinata quella frattura che molti sforzi non sono riusciti a sanare e che ora è stata riproposta con una violenza che ha zittito e annullato “il buon inizio” – la frase è di Boselli – del congresso di Pesaro. Quali spazi, quale funzione potremo avere in questa sinistra se prima non ritroveremo noi stessi?
Cari compagni, care compagne,
io vedo chiaramente, e lo dico con assoluta sincerità, che sono ormai spariti davanti ai socialisti anche quei modesti vantaggi, quella magra rendita di posizione che la legge elettorale maggioritaria aveva concesso alle due formazioni socialiste rimaste sul campo. Ormai è chiaro che ognuno conterà solo per le proprie forze e niente più. La legge elettorale maggioritaria oggi pesa come un macigno sui socialisti esasperando le differenze e annientando i punti in comune, che ci sono e non sono pochi. E’ una legge ingiusta, una vera camicia di forza applicata al tradizionale pluralismo della politica italiana, con i danni e i rischi che ogni giorno abbiamo sotto gli occhi. Io spero vivamente che le proposte già avanzate per un ritorno a un sistema di tipo proporzionale abbiano tutto il vostro appoggio.
Cari amici, care amiche, cari compagni,
non credo di dissentire dal vostro pensiero affermando che l’attuale scena politica non ci piace affatto. A sinistra vediamo la politica correre dietro alla piazza, incapace di guidarla, di contrapporre un’idea, una proposta, un programma all’estremismo infantile che si raccoglie sempre in una massa che non ha una bandiera: moralismi inconsulti, velleitarismi d’ogni tipo, voglia di distruzione, incapacità di capire e di costruire.
Applausi per il giustizialismo di Di Pietro, per la rinnovata presunzione dei vecchi intellettuali organici, per il narcisismo degli uomini dello spettacolo che scambiano il mondo per il loro palcoscenico. Un panorama davvero desolante con tutti i quadri della Quercia, dell’Ulivo, della Margherita messi sotto accusa e invitati a sloggiare.
L’unica cultura di sinistra che abbia retto il confronto con la storia è la cultura del riformismo liberale e socialdemocratico. Di questo vediamo l’esempio in tutta Europa e anche in Italia dove ogni tappa del progresso è segnata dalle lotte del riformismo, dalle prime conquiste delle otto ore di lavoro alla disciplina del lavoro minorile e delle donne, fino alle conquiste più recenti, lo Statuto dei lavoratori, il servizio sanitario nazionale, la riforma del diritto di famiglia, il divorzio, la parità fra i sessi e tutte le altre riforme economiche e civili che voi ben conoscete.
Sono tutte conquiste del socialismo riformista. Delle tante altre culture che hanno albergato per più o meno tempo nella sinistra non c’è traccia nelle leggi e negli istituti delle società moderne.
Eppure abbiamo ancora oggi piene le orecchie dei fischi che dalla platea di piazza San Giovanni si sono levati contro quella cultura riformista, fatta di concretezza, di tolleranza, di impegno continuo e paziente, di proposte e di lavoro. Un subisso di fischi toccati a Luciano Pellicani che incautamente voleva ricordarla a una folla ormai priva di controllo, animata solo da sentimenti ostili, da velleità di una rivincita che non sta dietro l’angolo e nemmeno si intravede da lontano.
C’era l' identità di una sinistra massimalista, a piazza San Giovanni; ma la più vecchia, la peggiore, quella del velleitarismo parolaio, delle spallate che non aprono nessuna porta, delle scorciatoie che non sono mai esistite; con l’aggiunta e l’aggravante di un ingrediente estraneo alla tradizione della sinistra, quel giustizialismo forcaiolo, da processi in piazza che dovrebbe costituire oggi la via della rivincita e che è invece semplicemente la causa prima della sconfitta del 13 maggio, la causa prima della deplorevole condizione in cui oggi versa la politica italiana.
Tutto sembra dimenticato: gli errori non rimossi continuano a pesare come macigni; i veleni non combattuti intossicano ancora l’aria che respiriamo. C’è un lavoro immenso da fare per tutti gli uomini di buona volontà, da qualsiasi parte essi stiano.
Noi siamo impegnati a restituire meriti e onori a Bettino Craxi, un grande socialista, un uomo di Stato che ha speso la sua vita per il bene dell’Italia ed è stato ignobilmente infangato, costretto all’esilio, condotto a morte prematura lontano dalla sua patria, costretto alla più dura delle pene, il distacco dal partito, dalla politica, dai suoi amici, dalla sua città, da tutto ciò per cui aveva vissuto.
Ma vogliamo anche restituire agli italiani un patrimonio di idee e di esperienza capace di dare frutti nell’ambito più vasto della società italiana, oggi confusa, frastornata.
Siamo convinti che occorre ricominciare da capo e andare avanti. Il passato non basta, non basterebbe nemmeno la ricomposizione della diaspora socialista, se fosse possibile.
Dobbiamo interrogarci sul presente e sul futuro senza preconcetti, senza idee fatte, senza vecchie parole d’ordine e schemi superati, al di fuori di linguaggi consolidati e usurati, consapevoli che stiamo vivendo una nuova stagione e che occorrerà prima di tutto capire il cambiamento. E' inutile parlare di Casa dei Riformisti se prima non si immagina un nuovo Progetto riformista.
Cari compagni, care compagne,
il metodo del riformismo comporta un lavoro lungo e paziente che trasforma in leggi e provvedimenti i nuovi diritti che man mano maturano nella coscienza dei cittadini. E’ il metodo con cui i socialisti di Nenni e di Craxi hanno vinto le tante battaglie che hanno modernizzato l’Italia.
Tra poco ricorrono venti anni dalla Conferenza Programmatica di Rimini del 1982, quella che aprì al partito socialista le porte del governo. E’ l’esempio di come la legittimità a governare si guadagni non attraverso vie improprie, ma con l’iniziativa politica e giusti programmi. Se solo guardiamo alle parole d’ordine lanciate in quella conferenza vedremo la distanza abissale che ci separa dal presente, con un Pds che è andato al governo per via giudiziaria e un centro destra che ci è andato gridando al pericolo comunista, e portando al governo una forza politica improvvisata.
Fu quello il momento in cui Craxi indicò, prima in Italia ed in Europa, compiutamente i compiti di una moderna forza riformista. Oggi il nostro compito, la nostra ambizione non dovrebbe essere quella dell’82 (lo slogan di quella conferenza era: “Governare il cambiamento”), ma ci basterebbe per il momento di capire il cambiamento.
Ai giovani e ai non più giovani, agli italiani liberi che appartengono alla civiltà della critica e della ragione è necessario offrire, come a Rimini nell’82, innanzitutto, una analisi dei cambiamenti in atto, nuove chiavi di lettura, una nuova visione. E tutto ciò insieme all’emozione di una verità storica che riemerge con forza.
Da qui, dai cambiamenti in atto, partì Rimini 82, da qui è forse possibile ripartire oggi, 20 anni dopo.
E’ tutto enormemente più complicato.
§ Nell’82 c’era un partito e un grande leader.
§ I cambiamenti di allora non sono paragonabili a quelli di oggi.
§ Il 2002 ha alle spalle (alle spalle?) una stagione che ha devastato la politica, il suo ruolo, la sua credibilità.
E’ però, forse, partendo dall’analisi dei cambiamenti che è possibile trovare le ragioni di un nuovo impegno, scoprire dinamiche sociali, domande politiche nuove, sofferenze e disponibilità umane, bisogni e meriti.
Io penso che, organizzare tutti insieme, socialisti e laici, venti anni dopo Rimini, una conferenza sulle idee e contenuti per ricominciare a leggere il cambiamento, sarebbe una buona cosa.
Se ad interrogarsi sul futuro fosse una nuova generazione di uomini liberi, sarebbe una cosa altrettanto buona.
Se lo si facesse al di fuori di convenzioni e schemi, linguaggi consolidati (sinistra, destra, riformismo, ulivi con una, due, tre gambe, no global, etc…) sarebbe cosa ancor più buona.
Tutti possono e dovrebbero portare il loro contributo, la Fondazione Craxi con i circoli, lo Sdi e il Nuovo Psi, le leghe socialiste, i compagni che stanno nei sindacati, le associazioni, le fondazioni, tutti coloro che sentono ancora l’orgoglio di essere socialisti, liberali, riformisti, gli uomini e le donne libere che ci seguivano e che, se chiamati alla costruzione di un progetto nuovo, non si tireranno indietro.
Cari compagni, care compagne,
il corso della storia dei nostri ultimi dieci anni non è stato quello logico, normale, naturale. E’ stato violentato, distorto radicalmente, artificialmente mutato: i perdenti della storia hanno distrutto i vincenti; ma oggi quella loro artificiosa vittoria sta diventando la loro catastrofe. I socialisti dispongono di poche, pochissime forze; ma penso che il nostro dovere sia quello di cercare che la storia riprenda il suo corso logico, naturale restituendo al socialismo liberale la funzione di progresso e di guida che la storia stessa gli aveva assegnato.
Penso che il tema oggi sia non più destra o sinistra, perché private dei loro contenuti politici e programmatici destra e sinistra sono solo definizioni di luogo.
Non ci interessa la sinistra se è giustizialista e socialmente conservatrice; non ci interessa la destra se segue interessi di parte, se è forcaiola con l’immigrazione, dimentica dei deboli, incapace di allargare la protezione sociale per non danneggiare certi particolari interessi cattolici.
Siamo socialisti libertari riformisti, progressisti e sempre rimarremo socialisti, riformisti, progressisti, libertari.
Il problema è di convincere e di essere convincenti circa la propria sincerità, circa la propria serietà, circa il fatto che si sta facendo qualcosa di costruttivo, di duraturo, di stabile, di nuovo, negli uomini, nelle idee, nei programmi; diversamente tutte le formule che si fanno circolare, sono formule che rimarranno appiccicate per poco.
C’è di fronte a noi, non lontano nel tempo, un appuntamento di verità: le elezioni europee, con il loro sistema proporzionale. Io per il momento mi limito a ricordare la data, in questo momento non ci sono i presupposti per un passo avanti. Pensiamoci tutti. C’è il rischio di scomparire, se andremo avanti come abbiamo fatto sinora, ma anche l’ultima possibilità di riemergere. Insieme, con un nuovo Progetto: pensiamoci.
Vi auguro un buon lavoro e buona fortuna.
W Craxi, W i socialisti!

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