12 luglio, Roma - Intervento di Rino Formica al congresso "C’è una proposta socialista per la sinistra italiana?" organizzato dall’associazione Socialismo è Libertà

02 agosto 2005

Questo nostro incontro ha come tema una domanda che può apparire ovvia e retorica, ma così non è. E’ stata formulata una provocazione che riteniamo utile per poter uscire da una condizione di rassegnata impotenza e di fatalistica rimozione della questione socialista.
C’è una domanda di Psi, che non è , allo stato attuale, una domanda esplicita di socialismo.
Non dobbiamo montarci la testa.
Siamo, piuttosto, in presenza di una richiesta spontanea e semplicistica che sancisce l’insuccesso della transizione e l’aborto della mai nata seconda repubblica.
Si dissolve la nebulosa dei generici, occasionali ed estemporanei partiti unici e l’ingannevole prospettiva dei partiti serraglio, contenitori dei più vari e contraddittori riformismi o delle ancora più generiche libertà.
Il riemergere della questione socialista nasce dalla forza delle cose, non è l’esito vittorioso di una lotta politica che ha invertito il corso di una storia avversa.
Ed è strano che la domanda unitaria dei socialisti appare in forma urgente e pressante quando i nuclei di resistenza socialista, apprezzabili per la tenacia e meritevoli di ogni elogio, stavano cedendo per stanchezza e logorio dopo una lunga guerra di trincea.
Tre sono gli elementi oggettivi più significativi che hanno aperto la strada al nostro auspicato agire:

1.La rilevanza dannosa dell’antipolitica;

2.la fragilità dei partiti artificiali nati dalla sbornia novista;

3.la subalternità al centrismo di ascendenza democratica cristiana della sinistra storica post-comunista correttamente definito da Covatta: compromesso storico realizzato.
Circoscriviamo l’analisi per necessità di sintesi espositiva.
Con il ’92-’93, si scatena l’ondata dell’antipolitica.
I partiti di governo si dissolsero.
I partiti di opposizione a destra e a sinistra sopravvissero, occultando la loro identità politica senza pagare il prezzo di una profonda revisione culturale e ideale e senza alcun rinnovo delle classi dirigenti.
La transizione ha visto la nascita ed il declino dei partiti artificiali contrapposti ai partiti tradizionali.
Tre sono i motivi che segnano la degenerazione della novità:

1.Il carisma personale come surrogato del carisma istituzionale non poteva reggere alla prova in una società moderna, articolata negli interessi e plurale nell’appartenenza per antichissime tradizioni;

2.l’insufficienza dei messaggi pubblicitari gridati in sostituzione delle grandi idee-forza;

3.il comporsi e lo scomporsi di aggregazioni elettorali su aree limitate di territorio intorno a interessi minuti, volatili ed occasionali.

La regressione civile è sotto gli occhi di tutti: dal consenso del popolo maturo si è regrediti alle cangianti suggestioni di una plebe emotiva.
E’ così che la politica torna come domanda urgente per un bisogno prioritario: fronteggiare l’insicurezza e la debolezza di sistema.
Perché si diffonde la sensazione che oggi tutti sono più deboli che nel passato
Perché l’Europa si frantuma e diminuisce la forza persuasiva del vincolo estero.
Perché il disarmo ideologico porta ad una superficialità nelle analisi di medio periodo, necessaria per attrezzarsi ai mutamenti politici e sociali, improvvisi ed inediti.
Perché cambia a ritmo imprevedibile la geografia della ripartizione del lavoro nel mondo, e la produzione dei beni materiali e l’accumulazione dei beni immateriali della conoscenza creano sacche di depressione e picchi di sviluppo fuori di ogni ragionevole previsione.
Perché nascono nuovi conflitti nelle religioni tra fondamentalismi e spirito di tolleranza, che sconvolgono i vecchi confini tra politica e religione.
Perché la localizzazione e la identificazione della forza di cambiamento non è più certa e distinguibile come per il passato.
Perché se è vero che la divisione ideale tra destra e sinistra, è un dato strutturale non eliminabile in un tempo breve, è anche vero che la nuova destra e la nuova sinistra non hanno confini certi: la nuova destra, è un’area con prevalenza dei caratteri propri della destra, e la nuova sinistra, è un’area in cui si formano grumi a carattere conservatore che resistono ad un nuovo umanesimo socialista.
Se tutti si sentono più deboli c’è già una ragione sufficiente per giustificare il bisogno della politica.
Ma c’è un’altra ragione che diviene sempre più pressante: l’intreccio tra l’insicurezza di futuro indotta dall’economia globale e l’insicurezza di vita che l’inafferrabile terrorismo diffonde in ogni luogo della terra.
La paura per deficit di sicurezza provoca delle tentazioni, a volte irresistibili: una limitazione di libertà e una compressione di diritti già conquistati, una più ampia licenza di difesa armata anche individuale; una centralizzazione e una verticalizzazione dei poteri decisionali.
Insomma si può aprire un varco, difficile poi a richiudersi, verso un diritto fondato sull’ineguaglianza e sull’accettazione tacita del principio di autorità senza controllo, che può incidere con il passare del tempo su conquiste fondamentali della nostra civile convivenza.
Siano così giunti al punto centrale della crisi nella quale siamo immersi:
si può produrre politica di largo e solido consenso dopo aver demolito gli strumenti democratici delle organizzazioni politiche?
Le risposte che le oligarchie politiche riescono a dare sono di una sconcertante banalità. Si offrono, analisi da sondaggio e soluzioni per passatempi quotidiani. Questa politica miserevole serve a selezionare capi prepotenti, a sperimentare i giochi dei plebisciti truccati, a rimuovere le grandi culture tradizionali e a sostituirle con sfacciati e rozzi stili di vita.
La democrazia italiana, che è cresciuta sotto la protezione della Costituzione Repubblicana, fu costruita dai partiti politici; dalle grandi organizzazioni degli interessi sociali; da una intermittente disponibilità della Chiesa a superare la frattura della “questione romana” e da una collocazione internazionale nettamente occidentale ed atlantica, attenuata solo da un accettato tasso di ambiguità richiesto dalla condizione di paese di doppia frontiera: con l’Est comunista e con il Mediterraneo in guerra.
I tre grandi partiti di massa: la Dc, il Pci ed il Psi ricercarono, per adempiere ad un compito costituzionale, di conciliare le ragioni di parte con una essenziale ragione di sistema. Questa fu chiamata funzione nazionale dei partiti, indipendentemente dalla loro collocazione al governo o all’opposizione.
La Dc assolse ad una funzione nazionale costruendo una grande area di rappresentanza per mediare i forti conflitti civili e sociali legati al passaggio dell’Italia da paese agricolo a paese post-industriale e per ricomporre il dissidio Stato-Chiesa all’interno di una concezione moderata dello Stato laico riconciliato.
Il Psi fu il partito della democratizzazione repubblicana dello Stato, della ricerca permanente della unicità delle due libertà, quella politica e quella dal bisogno; della individuazione di un punto di equilibrio tra intervento pubblico in economia e libertà di mercato; e della visione dinamica di una politica estera fedele alle alleanze ma rispettosa della sovranità nazionale
Il Pci fu il partito più forte nel controllo sociale, seppe lottare contro la deriva della violenza nella contesa politica e cercò, anche con spiegabili ma non giustificabili ritardi, margini di autonomia dal campo comunista internazionale.
I tre grandi partiti privilegiarono sempre il momento della funzione nazionale a quello strettamente partigiano. Tanto che con il finire degli anni ’80, con il mutamento di quadro internazionale, i partiti di massa si trovarono depotenziati nella forza di parte ed inadeguati ad aggiornare la loro funzione nazionale, che doveva assumere il carattere di una inedita funzione sopranazionale ed europea.
Queste insufficienze aprirono le strade ad un novismo senza principi, ad un bipolarismo artificiale, e al ricorso all’ingaggio di personale politico, spesso ricco di mezzi e povero di sana cultura politica.
Il bipolarismo non poteva portare alla soluzione naturale del bipartitismo, perché il presupposto fu la distruzione dei partiti storici e l’avvilimento della politica intesa come l’ozio di un ceto parassitario.
La domanda di Psi e di Dc, non nasce quindi da un bisogno nostalgico di rivedere un film antico, ma esprime la necessità che forze politiche simili siano capaci di assolvere, oggi, a quella funzione nazionale che fu assolta ieri dalla Dc e dal Psi.
Insomma si cercano di ricostituire i ruoli e le funzioni che furono della Dc e del Psi, e di trasferirli all’interno della dialettica nuova della democrazia dell’alternativa.
Perché la sinistra ha più problemi della destra?
La sinistra storica italiana (Pci e Psi) ebbe una funzione nazionale integrata pur dovendo essere divisa tra governo ed opposizione. Essa doveva garantire la governabilità ed assicurare, con il controllo sociale, che l’opposizione non superasse la soglia democratica.
La transizione ha distrutto il Psi ed ha svuotato la funzione del Pci, perché il controllo sociale, bene o male, è passato nelle mani del sindacato e perché la sua antica potenza sul territorio è ormai data in prestito alle vecchie volpi del doroteismo del defunto sistema consociativo.
La liquidazione del Psi ha eliminato la forza di cerniera dell’equilibrio repubblicano.
Il Psi ha rappresentato una felice sintesi tra fedeltà alla tradizione classista della sinistra italiana e interpretazione corretta della spinta moderna dei ceti sociali intermedi dinamici, produttivi e creativi, non sempre acquisiti in via definitiva alla sinistra storica.
Com’è possibile trasformare la domanda di ruolo del Psi da desiderio ad esigenza?
Non si tratta di aggiornare in un ufficio studi la dottrina e la cultura della secolare tradizione socialista, comunista e democratica radicale della sinistra italiana.
Questa opera salutare ed essenziale sarà proficua se individuiamo le forze che dovranno sostenerle e se fissiamo i tempi necessari per una così ardita operazione.
Dov’è il potenziale popolo di sinistra?
E’ innanzitutto un popolo senza frontiere religiose, senza ideologie totalizzanti, senza modelli di società perfette e senza le aberranti velleità di essere la fabbrica dell’uomo nuovo.
Questo popolo vive in tutte le formazioni politiche e nelle vaste aree della indecisione elettorale.
Tutto ciò è vago ed insufficiente se non cerchiamo dove vive e lotta, sia pure nella confusione e, spesso, nella frustrazione.
Esso è certamente nei Ds, nei partiti socialisti (Sdi e N.Psi) nei gruppi territoriali socialisti, nelle associazioni socialiste, nelle fondazioni socialiste, nelle riviste socialiste, ma è anche nelle aree-rifugio del centro e molti indossano ancora le camicie azzurre.
Unità socialista contiene una grande suggestione di base, ma a volte una abile astuzia dei gruppi dirigenti, serve solo per aggirare ostacoli personali.
Per valutare bene le difficoltà dobbiamo guardare senza sospetti ai proponenti, ma dobbiamo essere molto esigenti nel definire le coordinate politiche per la definitiva soluzione della questione socialista.
Sdi e N.Psi ed altre formazioni socialiste sono facilmente unificabili, per volerlo seriamente basta mettere sul tavolo con generosità la personale disponibilità di tutti a rinunciare ad un abile lavorio di costruttori di organigrammi.
Aprire una casa senza chiavi.
La unificazione di questo nucleo è la pre-condizione per ogni altro progetto di più largo fronte socialista.
Questa unificazione implica che tra i soggetti vi sia una chiarificazione politica fondamentale:
Bisogna portare nei Ds un confronto senza ambiguità. Nessuna operazione tipo Cosa2. I Ds hanno risolto molti problemi con la ideologia comunista, perché molti di questi ostacoli sono svaniti per effetto dell’implosione del socialismo reale.
Ma restano per i Ds almeno tre questioni mai affrontate sino in fondo:

1. La caduta della pregiudiziale unitaria che condiziona la vita interna di partito.

2. La caduta della pregiudiziale unitaria esterna, fondata sul presupposto che non si deve avere nessun nemico a sinistra.

3. La rimozione del principio che il rapporto con il centro di matrice cattolica è organico e permanente. Invece con questo centro il socialismo di tipo europeo deve avere un confine con frontiera mobile.

L’altra chiarificazione politica necessaria è portare nei confronti dell’elettorato di destra, una crisi di coscienza per isolare le forze intrise di livore reazionario e razzista, dalle forze del moderatismo sociale, e dai molti rifugiati del pentapartito. Queste ultime forze vanno strappate dal centro-destra solo con una garanzia socialista che la stagione della violazione giacobina dello stato di diritto non potrà ripetersi perché su questo tema la sinistra non si sarebbe divisa più.
Noi pensiamo che la questione socialista non sia la questione della limitata unità dei segmenti socialisti, ma sia la questione di tutta la sinistra italiana, da ricollocare definitivamente sul terreno storico del socialismo italiano.
Finita l’illusione della contaminazione dei cosiddetti riformismi, crollata la speranza che un demiurgo potesse sostituire con il carisma personale la caduta del carisma istituzionale, restano cose semplici. Ma esse sono di difficile soluzione perché abbiamo lasciato trascorrere inutilmente tanto tempo.
Le scadenze elettorali impongono di frequente il dovere di prendere decisioni con poco respiro. Ma dobbiamo uscire da questa spirale pericolosa.
Ridiamo le giuste dimensioni al problema che ci sta a cuore: questione socialista come questione della sinistra è cosa diversa da un accordo di governo.
L’accordo di governo richiede un programma, un leader ed una squadra di governo ed una intesa leale tra forze di governo per la durata della legislatura. Devono essere fuori dall’accordo di governo tutte le questioni di ordine costituzionale, le leggi elettorali, e le leggi o gli atti che incidono su le convinzioni religiose dei parlamentari.
Altra e diversa questione è l’impegno per la prospettiva storica in cui sono chiamati i partiti di ispirazione socialista.
Il socialismo come speranza dell’umanità non è morto con il socialismo reale e non si è esaurito con il compromesso socialdemocratico della seconda metà del novecento. Il socialismo è chiamato alle nuove sfide: la giusta ripartizione del reddito, la piena occupazione, una istruzione di base e l’esercizio dei diritti democratici per l’elezione della rappresentanza non bastano più. Tutto assumerà un carattere sovranazionale mentre le dottrine politiche sono state piegate alle visioni nazionali delle forze politiche.
Vi è un male oscuro che ha attraversato per un secolo il socialismo: una visione idilliaca ed astratta di una lontana società degli uguali in contrasto con una visione pessimistica e catastrofista del presente.
Dobbiamo tornare ad essere più ottimisti nel costruire il presente e meno sognatori di un futuro millenaristico.
Ricollocare tutta la sinistra storica ed il moderatismo dinamico della società in un area socialista vuol dire una revisione della dottrina in chiave ottimistica, e un agire quotidiano per far uscire dall’insicurezza e dalle paure tutta la società.
L’unità socialista o è al servizio di un grande progetto politico di nuova redenzione e di più ampia libertà o attraverserà un periodo grigio di subalternità culturale e pratica al moderatismo dei più forti. Qualcuno potrà anche chiamarla unità dei riformisti, ma si sa già che è tutta altra cosa rispetto al riformismo socialista.
L’unità socialista è lotta su due fronti: il massimalismo inquieto della sinistra e le tendenze reazionarie di una destra irresponsabile è il fuoco che cova sotto la cenere quando si spegne il fuoco vivo del socialismo riformista.
Mai come oggi vale l’antico ammonimento: La politica o la fai o la subisci.
La nostra unità socialista è l’unità di chi non vuole subire la politica altrui.
Vogliamo vivere e, se possibile vogliamo far vincere la sinistra con i nostri colori.

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