10 ottobre 2005 – SCUOLA: RIFORMARE LA RIFORMA! Del Prof. Mario Caronna da Gli argomenti umani (Pensare il mondo nuovo)

10 ottobre 2005

L’Italia certo non è un paese del tutto “normale” come aveva – ahimé vanamente – auspicato il Presidente D’Alema, ormai fa un lustro. E’ un paese anomalo se, a ogni cambio di maggioranza ogni nuovo governo, elettoralmente avallato, si affretta a cancellare del tutto le riforme attuate dell’aborrito governo precedente. Tali riforme sono considerate, spessissimo, qualcosa di obbrobrioso da cancellare in toto, quanto prima.
In questo, che pare essere divenuto sport nazionale, è particolarmente stata messa al centro la scuola, visto che, dopo decenni di immobilismo, ha subito negli ultimi anni notevoli cambiamenti, a vicenda attuati dai due schieramenti politici, consulibus prima Berlinguer, Moratti poi.
I cambiamenti maggiori sono stati attuati soprattutto nella scuola secondaria superiore, in cui si attendeva una riforma da circa ottant’anni, cioè dai tempi della riforma di Giovanni Gentile.
Per intenderci meglio, vorrei prendere in considerazione l’esame di stato, elemento di riferimento essenziale di tutta la scuola secondaria superiore, essendone il punto terminale.
Ebbene il ministro Moratti si è affrettata ad azzerare i notevoli miglioramenti che il precedente ministro Berlinguer, esponente dell’odiato governo di centrosinistra, aveva apportato all’esame finale.
Berlinguer, infatti, dopo decenni di “sperimentazione” del cosiddetto esame Codignola (risalente al lontano 1969) aveva reso l’esame di stato più serio – con una verifica più ampia e in più materie – sia più rassicurante per i candidati, stabilendo nelle commissioni d’esame una presenza di cinque commissari interni su dieci. Il precedente esame Codignola vedeva la presenza di un solo insegnante interno, il famoso o famigerato “rappresentante di classe”. La riforma Berlinguer non era priva di difetti, come tutto ciò che è umano. In particolare nella valutazione apparve un atteggiamento che sembrò ad alcuni a dir poco ragionieristico perché ne prefigurava i principi in maniera troppo rigida togliendo molte possibilità di giudizio discrezionale alle singole commissioni. In tal modo si rovesciava nel suo opposto (vige sempre la cosiddetta legge del pendolo) l’eccessiva discrezionalità che in precedenza le commissioni possedevano, dato che il concetto di “raggiunta maturità” era talmente ampio da consentire sbavature in ogni direzione, a volte addirittura abusi.
Cosa prudentemente avrebbe dovuto fare il nuovo Ministro della Pubblica Istruzione, pur appartenendo a un nuovo governo, contrapposto? Mantenere la sostanza di una riforma considerata valida dalla stragrande maggioranza della scuola – studenti, insegnanti, genitori – correggendone e migliorandone alcuni aspetti. Invece il ministro Moratti decise di cancellare in toto la nuova “maturità Berlinguer”. In primo luogo – questo è l’elemento fondamentale – la composizione delle commissioni d’esame.
La riforma della Moratti stabilì che le commissioni d’esame fossero formate dagli stessi professori interni del consiglio della classe esaminata presieduti da un unico presidente esterno della scuola; cui, però, ad impossibilia nemo tenetur, facevano capo più classi. Esattamente tutte le classi dell’istituto, così come era finora avvenuto nell’esame finale di licenza della scuola media inferiore.
L’effetto? L’obiettivo? Non certo quello di migliorare la qualità dell’esame e della scuola in generale, ma quello di favorire le attività delle scuole private, legalmente riconosciute e parificate per le quali con tale nuovo esame di stato veniva abolito ogni confronto con la scuola di stato, senza più alcun controllo di sorta né pubblico né esterno. Nello stesso tempo va sfatata la leggenda che tale mancanza di controllo abbia favorito la scuola privata cattolica, ché, questa, di seria e secolare tradizione, non potrebbe che avvantaggiarsi da un oculato controllo e confronto pubblico. Non a caso “L’Osservatore Romano” del 23 giugno 2005 boccia la nuova prova d’esame della Moratti perché “tradisce, anziché assolvere, i suoi fini, sia per quanto riguarda l’accertamento del grado di formazione individuale che per quanta riguarda la sua non trascurabile funzione educativa”.
Di fatto, non si comprende quanto scientemente il ministro Moratti abbia favorito le scuole private speculative; è stata così privilegiata unicamente una scuola che – escluse le poche lodevoli eccezioni – agisce come puro e semplice esamificio e diplomificio, presentando pressoché fasulli programmi e attestati di “recupero anni” (questo è lo slogan più diffuso).
Tali tipi di scuole, in difficoltà negli ultimi tempi, sono ripullulate fiorentissime in seguito a questa riforma, tanto che il ministro Moratti, resa più conscia da numerosi ricorsi e proteste, in seguito, ha dovuto promettere controlli più severi. Promessa non attuabile rimanendo vigente, come rimane, l’attuale esame di maturità nelle se procedure e attuazioni.
Ho voluto parlare a lungo dell’esame di stato considerata la sua fondamentale importanza per il “sistema scuola”; esso influenza tutto il larghissimo settore della scuola secondaria superiore che uniforma e informa pressoché tutto il proprio insegnamento a quell’obiettivo finale.
Un esame conclusivo superficiale e lassista non può non determinare una scuola sua fotocopia: superficiale, lassista, poco motivante.
Purtroppo le lacune della riforma Moratti non riguardano solo la fase conclusiva, ma sono numerose e diffuse.
Sul più importante si è espresso recentemente con molta chiarezza l’ex Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico della Liguria, Gaetano Cuozzo. Nel n. 451 di “Tuttoscuola” egli scrive che la riforma scolastica attuata dal governo Berlusconi “non ha come obbiettivo la formazione di tutti e la “promozione” dei talenti migliori, ma, al contrario, quello di discriminare e imporre ai nostri ragazzi una scelta precoce fra due sistemi: i licei e la formazione professionale, dove, come avveniva ai tempi delle scuole di avviamento, sarà il censo a fare la differenza”. Non solo, poco dopo Cuozzo aggiunge: “Chi sostiene che i due canali proposti della riforma Moratti sono coerenti, che hanno pari dignità e che, chi lo desidera, potrà transitare dall’uno all’altro dei sistemi attraverso le cosiddette “passerelle” è in mala fede e cerca di nascondere il vero obiettivo dell’operazione”, che – a detta di Cuozzo (ma non solo) – “è la discriminazione sociale dei figli dei meno abbienti”.
Superfluo su questo punto aggiungere altre parole a queste così amare e taglienti di chi è stato uno dei più impegnati, validi ed esperti dirigenti superiori del sistema della scuola statale. Vorrei solo sottolineare una questione collegata: perché mai, se i due settori – liceale e professionale – davvero si equivalgono, la riforma Moratti penalizza il sistema dell’Eda (Educazione degli Adulti), riconosciuto e valorizzato in tutta Europa, che dei due settori era ed è il naturale trait-d’union? E’ una risposta che dovrà pur essere data da chi succederà al ministro Moratti che, si dice, quasi certamente lascerà il Ministero per candidarsi alle elezioni del sindaco di Milano.
Un’altra scelta, questa organizzativa, della Moratti, sempre in merito alla scuola secondaria superiore è a dir poco disutile. Ella ha operato l’accorpamento di più scuole secondarie superiori in un unico istituto, l’Istituto Secondario Superiore, ISS, appunto. Il vantaggio sarebbe un certo risparmio nella spesa pubblica avendo un solo preside e una sola segreteria per più scuole. Ma gli svantaggi sono molto maggiori: intanto la vicinanza incongrua di scuole non affini (ad esempio un istituto alberghiero e un liceo scientifico, un liceo classico e un istituto per geometri) che invece di legare e generare sinergie, si è constatato generare rivalità, litigiosità e contenzioso, come era, del reso, immaginabile. Inoltre – ed è la cosa più importante – istituti scolastici con popolazione studentesca troppo disomogenea e numerosa, divengono spesso poco controllabili comportando degrado (dispersione, droga, bullismo ecc.). Un tempo anche la sinistra si è battuta per i cosiddetti poli plurifunzionali, che sono anche sorti in alcune grandi città (si veda ad esempio il Centro scolastico Parco Nord a Bresso, il polo di piazza Abbiategrasso a Milano). In seguito la stessa sinistra si era ricreduta e riconvertita alla positiva esperienza europea secondo la quale, nella scuola, “piccolo è bello” e funzionale.
Purtroppo il ministro Moratti e i suoi collaboratori hanno mostrato di ignorare quel dibattito e hanno preferito alla sicurezza e alla armoniosità del sistema, un ben misero risparmio. Vecchia tristemente nota ma mai desueta politica delle “nozze con i fichi secchi”.
Malgrado la signora Moratti vanti grandi doti manageriali, la sua politica di risparmio pubblico è costellata da numerose défaillance. Una di queste non è stata sufficientemente messa a fuoco dalla stampa.
Mi riferisco alla scelta, puramente nominalistica, di chiamare “liceo” tutta la scuola secondaria superiore. Tali licealizzazione nominale ha spinto le famiglie a iscrivere i figli ai due veri grandi licei tradizionali, il classico e lo scientifico, proprio perché la licealizzazione degli altri istituti superiori non è stato finora che un vano flatus vocis.
Ebbene ciò è costato una non piccola diminuzione di classi negli altri istituti secondari superiori a favore di un incremento corrispondente appunto nei licei tradizionali.
Il risultato nella gestione della spesa pubblica di questa ‘semplice’ operazione d’immagine? Aumento di insegnanti soprannumerari negli istituti tecnici, magistrali e professionali, aumento di personale docente nei licei tradizionali. Conseguente il balzo in alto della spesa pubblica.
Probabilmente nei prossimi anni, quando molti alunni che sono stati spinti oggi a iscriversi ai licei, si renderanno conto di non essere interessati o portati per tale tipo di studi, potrebbero effettuare una trasmigrazione numerosa in senso inverso. Aspettiamoci dunque un ulteriore rigonfiamento non trascurabile della spesa pubblica. E tutto ciò per nulla di sostanziale, ma, ripeto, per una questione di pura immagine.
Che osservare poi sullo spoils system determinato dalla cosiddetta legge Frattini? Questa legge è stata applicata unicamente nella scuola statale.
Per allontanare, forse, i dirigenti considerati “non allineati”? La legge Frattini ha in sé dei grani di follia: lo spoils system americano, del resto molto delimitato e per niente indiscriminato, funziona da più di duecento anni; in Italia è stato precipitosamente innestato, per criteri di bassa cucina politica, in un sistema amministrativo di antico impianto originario addirittura di era napoleonica: storicamente, dunque, l’opposto. Quale dovrebbe invece essere la politica scolastica di un eventuale futuro governo di centrosinistra? Quale dunque il programma elettorale in campo scolastico?
Abolire intanto la legge Frattini, evitando nel contempo di tornare al sistema della Prima Repubblica, quando ministri democristiani e socialisti facevano a gara per sostituire chi andava in pensione con dirigenti di sicura fede partitica. Qui non c’è molto da studiare: basta prendere a modello lo splendido sistema francese dell’Ena.
In ogni modo il nuovo centrosinistra deve assolutamente evitare di cadere negli stessi errori della Moratti: fare tabula rasa, cioè, di tutto ciò che è stato fatto dal governo precedente per ripristinare in toto, un settario ‘berlinguerismo’.
A parere di molti la riforma morattiana della scuola secondaria superiore non può essere difesa in alcuna sua parte, quindi tanto vale azzerarla. Mentre nello stesso tempo andrebbero mantenuto alcuni cambiamenti positivi introdotti dalla Moratti nel sistema dell’Università e della Ricerca. Infatti, alcuni tentativi del Ministro di frenare degli eccessi dell’autonomia universitaria, che comportavano e comportano fenomeni gravi di nepotismo e dispotismo baronale, sono più che validi.
Il centrosinistra dovrebbe nel suo programma scolastico evitare di ripristinare totalmente le precedenti scelte del ministro Berlinguer. Molte delle iniziative da lui intraprese sono certamente valide: ben altra la qualità del ministero Berlinguer, di ben altro livello i collaboratori esperti da lui consultati. Ma non vanno ripetuti alcuni errori e imprudenze che pure ci sono stati. Non mi riferisco tanto al famoso ‘quizzone’ che determinò una rivolta dei docenti quasi totale, tale da convincere il Ministro a passare la mano. Certo quel decreto denotava l’esistenza di una mentalità dirigistico -autoritaria che a molti parve di stampo veterocomunista.
Penso soprattutto alla sottovalutazione dell’insorgere del fenomeno del bullismo giovanile. L’on. Berlinguer abolì il valore del voto di condotta, senza pensare che, attenuando la capacità della scuola di comminare sanzioni disciplinari, appunto valide solo nell’ambito scolastico, si esponevano i giovani devianti – in evidente crescita già allora – all’intervento delle forze dell’ordine e dei tribunali per i quali gli interventi repressivi finiscono per prevalere ovviamente su quelli educativi. Su questa materia intervenne utilmente il ministro Moratti: ecco un’altra sua iniziativa da mantenere in vigore.
Ma forse l’errore strategico più grande operato in questi anni da coloro che sono stati responsabili della pubblica istruzione in Italia, quindi anche dei governi di centrosinistra che si sono succeduti, fu quello di sotterrare un grande progetto di riqualificazione degli studi che va sotto il nome di Progetto Brocca, il cui spessore culturale non è certo inferiore a quello della riforma gentiliana, seppur, ovviamente, di segno ben diverso.
Il progetto Brocca, dopo anni di lavoro di numerose commissioni, era stato già approntato; la sua struttura, vale ricordarlo, era di alto valore didattico, tanto che tutta la pedagogia europea, lo ammirava invidiandocelo.
Solo in Italia si è capaci così, per semplice demagogia o superficialità, di sperperare le risorse di qualità che pure il Paese è in grado di produrre. L’ultimo ministro dell’istruzione che lavorò per l’applicazione del progetto Brocca fu Giancarlo Lombardi che faceva parte del gabinetto Dini. Poi, in questo senso, il nulla.
L’ingegner Lombardi, proveniente dal mondo imprenditoriale e da sempre esperto di formazione, sapeva benissimo – ben prima dell’era delle “tre I” – che per combattere la possibile incombente dequalificazione del lavoro giovanile, ma, aggiungo io, per combattere l’incipiente bullismo, sarebbe stato importantissimo riqualificare al più alto grado l’istruzione e la formazione professionale, sviluppandole entrambe in maniera simbiotica, ma mantenendone le funzioni separate, non intercambiabili.
Istruzione per tutti fino al diciottesimo anno; riqualificazione della formazione professionale rendendola atta ad essere ristrutturata nella direzione di due obiettivi: in primo luogo in corsi agili e brevi – possibilmente ricorrenti - a livelli sempre più alti – rivolti, non solo ai lavoratori che abbiano bisogno di approfondire o riconvertire professionalità, ma anche agli studenti delle scuole secondarie superiori che potranno far precedere e/o seguire periodo di stage in azienda con corsi professionali ad hoc, da frequentare preferibilmente il pomeriggio.
Il secondo tipo di formazione professionale potrebbe consistere negli attuali istituti professionali di Stato, spesso dotati di una ricca tradizione culturale che non va abbandonata.
Tali istituti professionali, al fine di applicare gli artt. 117 e 118 della Costituzione, siano pure gestiti dalle Regioni, che però utilmente si dovrebbero avvalere della collaborazione dello Stato, che è stato l’istitutore e il gestore pluridecennale degli istituti stessi. Solo alla luce di tale collaborazione istituzionale tra Stato e Regioni, gli istituti professionali potrebbero essere titolari dell’esame di Stato conclusivo del corso quinquennale alla pari degli altri istituti secondari superiori.
Sarebbe altresì opportuno rivisitare tali istituti professionali affinché siano in grado di far fronte alle nuove professionalità. Solo per fare un esempio, sarebbe auspicabile la istituzione di un istituto professionale che venga incontro alle esigenze di multiprofessionalità del lavoro autonomo, vista l’inarrestabile tendenza verso quel settore da parte di un numero sempre crescente di giovani e giovanissimi.
Una conferenza triennale Stato-Regioni dovrebbe essere istituita permanentemente non solo per definire, di volta in volta, i molteplici rapporti tra istruzione e formazione professionale, bensì anche le problematiche del diritto allo studio e l’Eda (Educazione Degli Adulti). A questo proposito il centrosinistra dovrebbe inserire nel suo programma elettorale l’intenzione di considerare il settore dell’Eda come unitario, composto dai corsi di alfabetizzazione, di licenza media, ma anche dalle scuole secondarie superiori serali; e dovrebbe impegnarsi a favorirne lo sviluppo del sistema.
Forse oggi sta rinascendo la coscienza che bisogna opporsi urgentemente alla decadenza culturale del Paese, che dalla scuola in grandissima parte dipende.
Scrive il Rettore dell’Università Bicocca di Milano, prof. Marcello Fontanesi (vedi “Corriere della Sera” del 30 maggio 2005): “ Se togliamo un 15% [di studenti universitari] che non ha problemi, la fascia media ha difficoltà ad esprimersi e a comprendere i testi”. Persino i testi! Ugualmente Giovanni Gobber, docente di linguistica generale alla Cattolica di Milano sostiene che ai giovani “piace fare schemi, ma poi non li sanno sviluppare. Non riescono a elaborare un pensiero astratto, a categorizzare” (ibidem).
Questa è la voce del maestro Riccardo Muti, intervistato dallo stesso quotidiano (vedi la pagina della cultura del 19 giugno), ha reso esplicita la sua allarmata dichiarazione: “Nei paesi civili, è vero, tutti possono comprare libri, andare ai concerti, visitare i musei, ma le grandi risorse vengono sempre più messe a disposizione del divertimento senza pensiero. Per quanto riguarda la scuola so che la parola sacrificio si accompagna oramai raramente allo studio…
Mi sembra che la scuola stia cercando di informare più che di formare. Inoltre cercare di equiparare i conservatori alle università o moltiplicare le categorie dei licei sono provvedimenti che vanno alla ricerca più delle cornici che della sostanza”.
Eppure l’Italia si era dotata di un progetto di riforma che riqualificava altamente gli studi. Che cosa dunque dovrebbe fare, a mio modesto avviso, un eventuale futuro governo di centrosinistra? Nessun volo pindarico, nessuna rincorsa, partire dal buono già esistente, togliere un pò di polvere al progetto Brocca, ricalibrarlo senza snaturarlo.
Ci sono alcune scuole statali che hanno sperimentato il progetto Brocca, alcune lo continuano a sperimentare. C’è qualcuno che ha verificato i risultati della sperimentazione? Non sarebbe male farlo. Così non sarebbe male affidare la guida di viale Trastevere a chi quel progetto aveva compreso, portato a termine e difeso.

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