08 febbraio 2003 - Le due anime della sinistra e la rifondazione socialista di Piero Ostellino

08 febbraio 2003

La costituzione di un Comitato per il programma dell'Ulivo, di cui non facciano parte i segretari dei partiti che lo costituiscono, come ha voluto Cofferati, è la formalizzazione della dichiarazione di resa dei segretari medesimi. Per quanto riguarda, poi, la dirigenza dei Democratici di sinistra, essa è puramente e semplicemente un suicidio. Perciò, questa volta, non assocerò al nome di Fassino il tradizionale «forza» perché non me la sento di incoraggiarlo a consegnarsi ai suoi avversari, a Cofferati e ai suoi alleati girotondini che, per parte loro, un programma l'hanno già varato con il contributo (è tutto dire) degli ayatollah della magistratura. Cofferati non uscirà mai dal partito (i Ds), ma neppure vi entrerà, se non dopo a verlo espugnato. Se ci entrasse ora sanzionerebbe il successo dei suoi avversari, Fassino e D'Alema, al congresso di Pesaro; se ne uscisse formalizzerebbe la propria sconfitta di allora. Era, quindi, privo di costrutto inseguirlo nelle sue scorribande extraparlamentari come ha fatto finora Fassino in nome di una unità che non c'è. Le adunate fondamentaliste hanno un senso per lui, che sta fuori sia dal partito sia dal Parlamento e fa politica solo in piazza. Non ne hanno alcuno per chi è alla testa di un partito e deve fare politica anche in Parlamento. E' senza senso, ora, consentirgli di redigere il programma dell'Ulivo, in assenza dei diretti interessati istituzionali, i segretari dei partiti. Cofferati può permettersi il lusso di non riconoscere legittimità al governo, perché non è istituzionalmente obbligato ad averci a che fare e tanto meno a risponderne a qualcuno. I dirigenti dei Democratici di sinistra e dell' Ulivo non si possono comportare allo stesso modo perché altrimenti verrebbero meno alla propria funzione istituzionale di opposizione parlamentare e dovrebbero farsi politicamente carico d'essere saliti sull'Aventino. Se, dunque, i dirigenti diessini vogliono evitare di essere spazzati via da Cofferati, nonché se non vogliono che il loro partito sia marginalizzato all'interno dell'Ulivo, devono anch'essi affrontare il mare aperto. Non si sconfigge il movimentismo, né si contiene l'avanzata degli ex democristiani dell'Ulivo e dell'ala fondamentalista della sinistra, tenendo ambiguamente il piede in due scarpe: facendo politica, nella scarpa realisticamente riformista e parlamentare; facendo demagogia, nella scarpa fondamentalista e utopistica della piazza per abbandonare, poi, l'identità politica dell'Ulivo nelle mani di chi ti vuol fare fuori. C'è un solo modo di opporsi al «secessionismo continuo» di Cofferati: con «Rifondazione socialista», una sorta di definitiva secessione alla rovescia rispetto al proprio passato. Fassino, D'Alema e tutt o il gruppo dirigente uscito vittorioso al congresso di Pesaro si buttino alle spalle la secessione comunista di Livorno (1921), tutto ciò che essa ha rappresentato e affrontino Cofferati sul suo stesso terreno. Che, sia pure in un contesto sociale e politico diverso e con protagonisti lontani da quelli di allora, è lo stesso del ' 21: l'eterno conflitto fra due anime della sinistra. Ugualmente legittime, e tuttavia incompatibili in una prospettiva europea e di governo. Fassino, D'Alema e i riformisti della sinistra ex comunista saranno sempre prigionieri del fondamentalismo di un Cofferati di turno, e finiranno col diventare subalterni agli ex dc, se non prendono atto che l'anomalia della sinistra italiana consiste oggi nella pretesa (che aveva una sua logica ai tempi dei due blocchi Usa- Urss e del «compromesso» comunista con la democrazia italiana) di continuare a essere, al tempo stesso, partito di governo e movimento palingenetico anche dopo la caduta del Muro di Berlino e la crisi del comunismo internazionale. La scomparsa del Partito socialista, al di là delle responsabilità di Craxi e del suo gruppo dirigente, è stata la tragica sanzione di tale anomalia; la sua rifondazione ne sarebbe la definitiva soluzione. Giuliano Amato, se ci sei, batti un colpo.
Corriere della Sera

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