07-08.02.1998 - ASSEMBLEA COSTITUENTE DEI SOCIALISTI DEMOCRATICI ITALIANI - PARTITO FEDERALISTA, PAESE FEDERALISTA - Hotel Ergife, Roma - intervento di Roberto BISCARDINI

01 gennaio 2000

Questa Assemblea Costituente segna un passaggio decisivo verso la nascita del nuovo Partito dei socialisti italiani, da costituirsi, con coraggio in tempi brevi e al quale dovranno partecipare tutti coloro che lo vorranno.
Nel nuovo partito potranno convivere posizioni politiche diverse, così come fin dalla nascita del movimento socialista democratico è stata possibile la convivenza nello stesso partito di tradizioni politiche molto differenti tra loro, anche in contrapposizione dialettica, in conflitto spesse volte sulle tattiche, ma saldamente unite sui valori, sui principi e sulle strategie
Come nello statuto del primo Partito socialista, il nuovo Partito non chiederà ai propri “militanti l’adesione ad un credo filosofico o religioso" ne farà pro ve del sangue, ma l’unico vincolo è l’adesione ai principi ideali di giustizia e libertà.
La maggioranza dei compagni vogliono avere in tempi rapidi un partito nuovo, il più grande e unito possibile, per andare nel mare aperto della politica, per presentarsi già con il nuovo simbolo e il nuovo nome al confronto delle prossime elezioni amministrative.
Un partito che guarda al futuro ed ai problemi della società italiana ed europea nel nome dell’unità socialista e della propria autonomia si deve porre obiettivi ampi per guardare oltre il recinto dell’attuale contingenza politica
D’altra parte non si costituisce un partito per decidere dove si sta, ma per quale politica e per chi.
Non si fonda infatti un partito socialista nè pensando a Prodi e neppure in modo rigido a questa maggioranza, ma si tratta di guardare avanti oltre l’attuale fase politica, oltre questo governo ed oltre questo Parlamento. Il partito del nuovo socialismo dovrà essere fortemente federale, non centralista, al pari di come vogliamo che sia l’organizzazione del nuovo Stato, contrapponendoci a quanti si dichiarano federalisti quando parlano di riforme, ma ripropongono modelli centralisti nella propria organizzazione interna.
Organizzarci da subito in partito federalista significa far nascere nuovi gruppi dirigenti regionali e locali, costruire leadership diffuse, proseguire nell’allargamento del gruppo dirigente nazionale ed evitare che la vecchia logica centralista, caratterizzata spesso da insignificanti personalismi, possa ancora rappresentare un freno al processo di crescita e di continuo rinnovamento.
Chi in questi anni da socialista ha rifiutato di confluire nel Pds e di fare gli opportunisti nella Cosa 2, chi ha lavorato in questi anni per tenere in vita un partito dei socialisti, non lo ha fatto per tenere in vita un partitino, ma per costruire una prospettiva e una politica nuova.
Lo ha fatto pensando che sia possibile andare oltre l’attuale bipolarismo, peraltro già fortemente in crisi, e come abbiamo prospettato per primi circa un anno fa, qui a Roma al palazzo della Fiera, che sia possibile una scomposizione e ricomposizione degli attuali schieramenti per favorire la nascita di un diverso centro sinistra e di una nuova aggregazione politica.


Questo non significa uscire da questa maggioranza di governo, nè domani nè dopodomani, ma di starci con le nostre idee, le nostre proposte, finchè le condizioni lo consentiranno. Si tratta di promuovere un’iniziativa in grado di rispondere nei fatti a ciò che molti nostri iscritti, ma in particolare il nostro elettorato, sentono come una contraddizione, e cioè di essere in quanto socialisti forza di sinistra, ma di non sopportare un’alleanza con questo Pds.
Le distanze con questo Pds non sono solo politiche ma culturali, riguardano la concezione dello Stato che per noi deve essere liberale, non autoritario e non conservatore, riguardano il valore che noi attribuiamo alla libertà collettiva e individuale, riguardano il rifiuto di una cultura di governo in cui riemergono abilmente coniugati l’assistenzialismo della vecchia sinistra DC e gli interessi del
grande capitale oggi rappresentati proprio dal Pds.
Altro che Sec onda Repubblica: questa è esattamente il contrario, questa è il compimento sublime e solenne della Prima, quella che ha preso corpo con il compromesso costituzionale De Gasperi-Togliatti, che ieri chiamavamo
cattocomunista e che oggi potrebbe trovare gli opportuni aggiustamenti nel compromesso politico e istituzionale tra post fascisti e post comunisti.
Un compromesso ormai per certi versi chiaro, fatto per non cambiare niente e per conservare tutto.Per non realizzare nè il federalismo, nè la riforma dello Stato e quindi salvare quelle forme di centralismo statalista che la nostra Costituzione ha purtroppo ereditato dallo Stato ottocentesco e liberalfascista. Per non modificare l’attuale sistema del potere giudiziario, adeguandosi supinamente alle posizioni conservatrici e corporative della maggioranza dei magistrati (altro che voto di scambio, questo è scambio e basta, tu mi salvi e io ti salvo, e l’equilibrio dei poteri tanto decantato va farsi benedire).
Per questo non si è voluto un’ Assemblea costituente eletta direttamente dal popolo, separata dai condizionamenti e dai ricatti parlamentari che affrontasse
alla radice anche le contraddizioni della prima parte della Costituzione e non solo
della seconda. E’ infatti solo con la modifica della prima parte della Costituzione che può nascere la seconda repubblica.
Modificare la prima parte della Costituzione deve diventare l’obiettivo del nuovo partito socialista, per fare a 50 anni di distanza ciò che allora non riuscì alla cultura liberale e socialista, messa fuori da quella Costituzione, nella quale prevalse la sintesi fra l’esigenza dei cattolici a difesa dello “sviluppo della persona umana” e quella dei comunisti di garantire la partecipazione dei “lavoratori” e con l’art.7, là dove si riconosce la Chiesa cattolica come Chiesa di
si mise fuori dalla Costituzione la libertà.
alle questioni istituzionali dobbiamo ricostruire una parte importante della nostra identità perché le questioni dello Stato e della democrazia sono
intimamente legate al problema più generale delle libertà.
Siamo per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, ma non può essere eletto un Presidente della Repubblica senza attribuirgli poteri significativi; una politica di questo genere è una politica che imbroglia gli elettori e riduce il peso del loro voto riducendo il peso della democrazia. Siamo per il federalismo e per le trasformazioni dello Stato in senso federale contro le posizioni dei vecchi statalisti e contro ogni resistenza del Parlamento.
Per noi socialisti e liberali federalismo significa stare dalla parte di uno Stato che deve essere articolato in modo paritario tra uno Stato centrale, tra uno Stato delle regioni e uno Stato dei comuni.
Il nostro modello federalista si appoggia sul ruolo delle Regioni, ma soprattutto sul ruolo dei comuni, di tutti i comuni, non solo di quelli grandi. Per questo non siamo dalla parte del ridicolo partito dei sindaci che vogliono diventare governatori delle Città metropolitane. Allo stesso modo delle Province, le città metropolitane devono rimanere pertanto fuori dalla Costituzione.
Le questioni costituzionali sono questioni politiche.
A distanza di vent’anni possiamo nuovamente riusare Proudhon, padre socialista del federalismo radicale “chi dice libertà, dice federalismo o non dice niente, chi dice repubblica, dice federalismo o non dice niente, che dice socialismo dice federalismo o non dice niente”.

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