UN’EPINAY ITALIANA? di Alberto Benzoni

21 maggio 2019

UN’EPINAY ITALIANA? di Alberto Benzoni

Forse, ma a certe condizioni. Alla base del progetto francese c’era un problema da risolvere. Un problema che riguardava non solo i socialisti ma tutta la sinistra francese; ma c’erano nel contempo, nello stesso mondo socialista ma non solo, tutti gli elementi necessari e sufficienti per risolverlo.
E’ vero; questa sinistra era uscita con le ossa rotte dal 1968. Incapace di dare uno sbocco politico al movimento operaio e studentesco ma anche di guidarlo. Mentre la destra era uscita indenne dalla fine del ciclo gollista riciclandosi, almeno in apparenza, nel segno di un conservatorismo più o meno illuminato; e uscendo così nettamente vincitrice sia nelle politiche del 1968 che nelle presidenziali dell’anno successivo. In queste ultime il comunista Duclos non era arrivato al ballottaggio. Ma aveva comunque surclassato i due candidati socialisti: Defferre e Rocard; essi stessi espressione di due linee politiche radicalmente diverse e militanti in partiti diversi. Nel silenzio politico della Sfio, da tempo guidata dal suo leader Guy Mollet in direzioni via via sempre diverse; e, quindi, praticamente, in nessuna.
Pure, una via d’uscita c’era. Ed era chiara a tutti. Perché si collocava nettamente sull’asse tradizionale sinistra unita/destra (dopo l’intermezzo della quarta repubblica e di De Gaulle) e quindi della netta alternativa della prima rispetto alla seconda; perché collocava, di conseguenza, i socialisti a sinistra dei comunisti; perché era in grado di mobilitare grandi forze e grandi speranze nel futuro; e, infine, perché, dopo una serie di complicate peripezie, si incarnava nella figura di un grande federatore: Mitterrand.
In questo quadro l’anello mancante era proprio la stessa Sfio; un partito in cui coesistevano, paralizzandosi a vicenda, pulsioni unitarie e chiusure settarie, sinistrismo e nostalgie centriste, dogmatismo e opportunismo, il tutto sotto la leadership ondivaga dello stesso Guy Mollet. E allora il partito andava conquistato. E in un congresso; e utilizzando manovre che avrebbero fatto impallidire anche gli stessi protagonisti del Midas.
Questo fu Epinay (1971). Nessun “incontro di culture” come vengono definite, del tutto abusivamente, le varie intese elettorali e/o unificazioni fiorite in Italia ai giorni nostri. Piuttosto la presa d’assalto di un partito da parte di un leader (formalmente) esterno; e in nome di un progetto già ampiamente definito nelle sue grandi linee.
Ma, in questo caso, il mezzo sarebbe stato ampiamente giustificato dal fine. Perché, dopo circa tre anni, avrebbero aderito al partito, ora Psf, gran parte del mondo cattolico, l’allora sinistra socialista di Rocard e, infine, il mondo dell’associazionismo “democratico e repubblicano” nato (sotto l’egida dello stesso Mitterrand) sull’onda del’68 . Tutto ciò avrebbe cambiato, e radicalmente, la carta politica e soprattutto elettorale della Francia, segnata, e per decenni, dalla sua egemonia.
E dunque Epinay come tappa di un progetto; e come condizione per associare altri alla sua realizzazione. E, a questo punto è lecito anzi doveroso chiederci, come socialisti operanti nell’Italia di oggi, tre cose: qual è il progetto; quali sono le forze da coinvolgere; e in qual modo queste forze possono essere coinvolte.
Il progetto dovrebbe essere scontato: l’Italia e la sinistra, fatto unico in tutta l’Europa occidentale, hanno cancellato dal loro orizzonte non solo i socialisti ma anche il socialismo; con le conseguenze disastrose che sono sotto gli occhi di tutti. Si tratta dunque di ristabilire la presenza politica dei primi in funzione del secondo.
La mia personale opinione è, però, che un progetto tutto chiuso nell’universo dei socialisti, targati come tali, sia votato, in partenza, alla sconfitta. Per acquisita e dimostrata sterilità. Nessuno delle 30 e più delle formazioni formalmente esistenti è stata in grado di assorbire o di marginalizzare le altre. Nessun partito socialista è in grado di superare la soglia del prefisso telefonico. Nessuna delle innumerevoli invocazioni recenti a costituire liste col simbolo ha avuto il minimo risultato. Nessun leader, dopo anni di insuccessi e di reciproche recriminazioni, è in grado di alzare una bandiera e di dire “seguitemi”. Nessuna rievocazione dei fasti e/o delle personalità del passato può aiutarci nel presente.
Tutte queste cose le sappiamo benissimo. Ma non ne traiamo le necessarie conseguenze in un senso o nell’altro. E continuiamo ad andare avanti, in un senso o nell’altro, come se nulla fosse. C’è chi si colloca su di uno strapuntino in qualche camioncino elettorale di passaggio, senza nemmeno interrogarsi sulla sua destinazione. C’è chi rievoca, senza particolare fretta, gli appuntamenti del passato senza spiegarci minimamente in che modo possano aiutarci nel presente e nel futuro. c’è chi scrive documenti, appelli, mozioni, risoluzioni: con l’intima convinzione che si tratti di tante bottiglie lanciate in mare. E c’è infine, oserei dirlo, chi ritiene che siamo rimasti soli e pochi perché siamo i migliori.
Siamo, collettivamente, entrati in una specie di pozzo senza fondo in cui, a furia di guardarci l’ombelico e di questionare tra noi abbiamo perso di vista il mondo esterno e il cielo che è sopra di noi. Dobbiamo uscirne al più presto. E non per noi ma per gli altri. E cioè per tutte quelle persone e collettività che, in assenza di una forza socialista che le rappresenti e le difenda, patiscono le disuguaglianze, la precarietà, l’assenza di tutele e di pubblici servizi, le conseguenze del mancato sviluppo e, infine e soprattutto, le crescenti minacce di guerra in un mondo sempre più torbido e ingiusto.
E però, in politica, come in economia, senza offerta non c’è domanda. E l’offerta socialista (leggi di tipo socialista) non è percepita; perché non esiste e perché i socialisti non esistono.
Pure, una via d’uscita c’è. Ma deve essere sperimentata in tempi rapidi; e a determinata condizioni. La prima è quella di costituire, qui ed ora, un partito (ripeto, partito) socialista di sinistra; e con chi ci sta. La seconda, e più importante, è di avere, nella formazione stessa di questo partito, il concorso determinante di forze esterne di qualsiasi origine e di ogni ordine e grado e con il solo requisito comune di riconoscere come propri gli ideali del socialismo democratico e di concorrere con noi per affermarli e difenderli.
E’ se vogliamo Epinay. Con la sola e non banale differenza che, allora, i socialisti erano i protagonisti e gli animatori del mondo della sinistra mentre oggi sarà il mondo esterno e il suo bisogno di socialismo a guidare noi.

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