UN CONTRIBUTO PER L’INCONTRO DI LIVORNO di Roberto Biscardini

19 marzo 2018

UN CONTRIBUTO PER L’INCONTRO DI LIVORNO di Roberto Biscardini

1. Sul terreno pratico la situazione politica, per quel che ci riguarda di più, può essere così sintetizzata: la sinistra che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni è morta.
Una nuova sinistra può nascere solo intorno ad una piattaforma socialista.
In questo senso l’incontro di Livorno può rappresentare un primo passo in questa direzione. Un contributo del mondo socialista per il socialismo e la sinistra.
Quindi non il superamento della diaspora nella prospettiva della ricostruzione di un nuovo partito socialista e basta, ma molto di più: l’inizio di un percorso nel quale i socialisti partecipano al processo di ricostruzione di una sinistra che non c’è più.
Una sinistra che è stata abbandonata dal suo popolo e che ha perso per strada le sue ragioni fondative.
L’obiettivo di ricostruire una sinistra revisionista internazionalista e riformista del terzo millennio, così come fecero i nostri nonni nel 1892, non è solo un problema dei socialisti, ma di tanti, animati dal bisogno di giustizia e uguaglianza e dal senso del pericolo per come la situazione si è andata via via involvendo a livello nazionale e internazionale.

2. Se il voto del 4 marzo ha segnato la sconfitta di tutte le forze della sinistra italiana, quella sconfitta non è figlia di un solo giorno. Essa ha ragioni lontane ed è maturata per i gravissimi errori compiuti negli ultimi decenni.
Dietro la sconfitta di tutta la sinistra c’è in primo luogo la sconfitta della sinistra  Seconda repubblica. La sinistra di Mani pulite che ha pensato di poter sopravvivere e crescere senza fare i conti con la questione socialista, nonostante la morte del comunismo avrebbe dovuto indicare quella come l’unica strada possibile.
E’ quindi la sconfitta della sinistra non socialista e antisocialista, che mette la pietra tombale sull’idea che la sinistra possa ancora essere rappresentata da un centrosinistra come pura alleanza delle forze postdemocristiane e postcomuniste.
Muore l’Ulivo e la pretesa sempre coltivata di esercitare una sorta di permanente supremazia culturale, quindi anche elettorale, sulle forze della destra, o  sovraniste o “populiste”.
Ma la cosa ancora più chiara è che quella sinistra non avrà più alcuna possibilità di giocare un ruolo significativo nel panorama politico italiano e internazionale. Potrà occupare ancora qualche spazio ma sarà residuale.
E’ la sconfitta che molti di noi avevano previsto ed anche temuto, ma che è andata ben oltre le peggiori previsioni.
E’ in primo luogo la sconfitta rovinosa del Pd, che perde in quattro anni più di 5 milioni di voti, insieme all’insuccesso di LeU, che non è riuscito a trattenere la slavina pidiessina.
E’ la sconfitta di una sinistra che avendo perso l’orizzonte ideale e politico del socialismo, dal 1994 in poi ha consegnato la propria anima al capitale privato, ha perso il senso della parola “pubblico”, ha teorizzato “meno Stato e più mercato”, ha fatto propria le logica delle privatizzazioni senza liberalizzazioni e concorrenza, senza gare, si è consegnata ai privati e alla finanza internazionale, si è consegnata all’Europa e ai vincoli di bilancio, ha accettato il pareggio di bilancio in Costituzione, la cessione di sovranità senza negoziare, si è consegnata alla magistratura, ha abbandonato la sua gente per essere garante del sistema e dei poteri più o meno forti.
Ha praticato l’austerità, ha imposto sacrifici senza dare spiegazioni e senza dare nulla in cambio. Ha praticato politiche per sostenere i consumi senza puntare ad aumentare gli investimenti e quindi l’occupazione. Ha fatto politiche di destra e alla fine si è immedesimata con i valori della destra.
Si è resa responsabile di riforme che hanno dirotto gli spazi di democrazia diretta, indiretta, parlamentare e rappresentativa, a livello centrale e locale, sui quali si era retto il nostro paese dopo il 1945.
Ha accettato la distruzione dei partiti di massa per scimmiottare modelli altrui.
Ha cavalcato il nuovismo, ha ceduto alla logica della personalizzazione della politica e del leaderismo.
E’ la sinistra della Seconda repubblica, che paga il prezzo di politiche sbagliate sul piano interno, insieme all’incapacità di rappresentare gli interessi del proprio popolo di riferimento, di chi aveva più bisogno, con redditi più bassi o senza redditi, per cedere ai disvalori della globalizzazione neoliberale.
Così ha perso il suo popolo, e il suo popolo si è staccato da lei.
Perde il suo popolo antisovranista e popolare, per consegnarlo al sovranismo e al popolulismo.
E’ diventata via via sempre più elitaria, e non solo borghese, espressione dei pochi e non di molti, assumendo le caratteristiche peggiori dell’elitarismo aristocratico e verticistico dei centri storici delle grande città.

3. Se è vero che sul campo sono rimaste solo macerie, dalle quali sembra difficile intravedere a breve delle vie di uscita, è anche vero che il momento potrebbe essere però propizio per fare i conti con gli errori del passato e per fare ciò che i decenni alle nostre spalle hanno impedito.
Ricostruire cultura socialista, fare emergere ovunque si può il socialismo sommerso che è nel sociale, costruire una nuova prospettiva intorno ad una piattaforma socialista, contando sulla capacità di elaborazione e di lavoro di tanti, ognuno per la propria parte.
Da questo punto di vista non interessano nuovi partitini, né quelli socialisti, né quelli altrui, non bisogna essere autoreferenziali, ma semmai trovare i luoghi e gli strumenti larghi, sia a livello centrale che locale, per aprire di fatto la riflessione socialista sulle macerie del Pd. Contando su tutte le energie disponibili e mettendosi a disposizione per elaborare insieme. Infine accompagnare le parole ai fatti.
Ben sapendo che l’unica via possibile per la sinistra di rinascere in Italia è muoversi in un quadro di nuove relazioni internazionali.
Costruire un nuovo pensiero europeo e un’idea di società socialista, intorno a tre questioni prevalenti: la democrazia (con l’annessa questione di come accettare di perdere sovranità nazionale in cambio di conquistare nuova sovranità internazionale), l’immigrazione (quali politiche per l’integrazione), ed infine il tema del lavoro e di tutte le politiche che devono affrontare di petto le questioni del sottosalario (lo sfruttamento, la schiavitù, i rapporti di lavoro senza tutele).
Una piattaforma socialista, che non è solo proposta programmatica, ma è direzione di marcia, è conoscenza della realtà, è l’individuazione di battaglie comuni anche a livello internazionale, è iniziativa, eventi e organizzazione.
E’ ricostruzione di un rapporto con il sociale e con il sindacato che va stimolato ad essere diverso.
Rimettendo insieme le forze dove esse si trovano e dove sono da subito disposte a lavorare insieme. Ritornando ad avere un rapporto con la gente, con la propria gente, per trarre da lì le migliori conoscenze e forti relazioni con la realtà, ma anche nuove energie e orientamenti di fondo. Si tratta di ricostruire un rapporto con il popolo che si riconoscerà nella sinistra quando avrà conquistato coscienza in se stesso.
Quel popolo che non ha trovato a sinistra alcuna sponda al suo bisogno di cambiamento, di lotta e di ribellione.
I socialisti possono avere in questo momento un ruolo importante. Quello che non hanno avuto la possibilità di esercitare nel recente passato.
Possono partecipare e promuovere iniziative con chiunque dimostra l’interesse a muoversi nella nostra stessa direzione di marcia.
Se l’obiettivo della  nascita di una nuova sinistra è largo e condiviso, tutto ciò che si costruisce oggi attraverso comitati, movimenti, costituenti di idee e di lotta, riviste, circoli, associazioni, blog e persino liste locali, andrà nella direzione obbligata di un unico e grande partito socialista e del lavoro.


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