Riscoprire i valori del policentrismo regionale per un territorio di tutti. Le prossime elezioni in Lombardia: l'ultima chiamata prima del disastro.. di Roberto Biscardini del 23 novembre 2022

23 novembre 2022

Riscoprire i valori del policentrismo regionale per un territorio di tutti. Le prossime elezioni in Lombardia: l'ultima chiamata prima del disastro.. di Roberto Biscardini del 23 novembre 2022

Riscoprire i valori del policentrismo regionale per un territorio di tutti. La programmazione come strumento della politica degli interventi.
Intervento di Roberto Biscardini al workshop del gruppo "A New iIdustrial Strategy" del 21 novembre 2022

Faccio una premessa di non poco conto che riguarda la crisi di sistema e la crisi istituzionale della Lombardia, augurandoci che il dibattito che si aprirà in occasione delle prossime elezioni sia un dibattito che vada al fondo dei problemi.
Per dirla con Pietro Nenni, dopo 28 anni di governo monocolore di centrodestra, siamo “all’ultima chiamata” prima del disastro finale.
La questione di fondo è quella di avere o non avere una visione unitaria e chiara della Lombardia:
- come realtà istituzionale di grande rilevanza nazionale
- come grande realtà territoriale, economica e culturale per rispondere alle aspettative dei suoi cittadini.
A. Sul primo punto primeggia la questione democratica.
Viviamo in una realtà che sembra non conoscere più nemmeno la democrazia dell’alternanza.
Alla luce di ciò che è successo dal ‘95 a oggi, potremmo riconsiderare il giudizio dato al sistema, così detto malato e bloccato, della Prima repubblica.
Al confronto quel sistema era molto meglio di quello che abbiamo conosciuto in questi anni in Lombardia. Quel sistema era meno malato e meno bloccato di questo.
Perché ciò è potuto accadere?
Perché chi avrebbe dovuto più di altri avere a cuore la grande intuizione regionalista degli anni ’70 ha consentito ogni forma di degenerazione dell’istituto regionale, riducendo la Regione ad un ente amministrativo e burocratico, anziché guardare al passato migliore. Per contrapporsi al centralismo romano ha costruito un centralismo regionale per certi versi ancora peggiore.
1. Le Regioni sono nate con una funzione legislativa e di programmazione economica e territoriale per partecipare (dico io) in modo paritario alla crescita e allo sviluppo del paese (quindi con un ruolo assolutamente di valenza nazionale). Rifiutando la logica (poi voluta da tutto il sistema politico centrale fino alle ultime modifiche costituzionali) dell’attribuzione alle Regioni delle sole competenze separate e pietrificate.
Con l’aggravante, al di là delle apparenze, delle norme introdotte dalla Riforma costituzionale del 2001, sia per quanto riguarda l’individuazione delle materie concorrenti, sia per l’articolo perverso sull’autonomia differenziata. Una nuova forma strisciante di vera meridionalizzazione dell’istituto regionale.
Un regalo solo apparente che le ha indebolite e provincializzate.
2. Ad aggravare la situazione, la Regione Lombardia ha approvato una legge elettorale, la meno democratica possibile, un ibrido mondiale, mezza presidenziale e mezza parlamentare, che prevede l’elezione diretta del Presidente della Regione, che è anche Consigliere regionale e che ha facoltà di trascinare con sé la sopravvivenza o meno dell’intero Consiglio. Il famoso simul stabunt, simul cadent. Con ciò, anziché esaltare il ruolo politico della rappresentanza popolare, lo si è ridotto ad essere alle esclusive dipendenze dal potere monocratico del Presidente.
Per giunta, l’ultimo obbrobrio: con l’ultima correzione, la coalizione che vince con meno del 40% ottiene una maggioranza del Consiglio del 55%, chi vince con più del 40% ha una maggioranza del Consiglio pari al 60%.
Basta questo per dichiarare la mia disponibilità a sostenere quel candidato o quella coalizione che metteranno al primo punto del loro programma la modifica della legge elettorale regionale e la ridefinizione del ruolo istituzionale della Regione.

B. Sulla questione territoriale.
Molti di noi si sono battuti per anni per riconoscere la Lombardia, come unica grande area urbana, unica grande città policentrica, affinché a questa visione fossero orientate tutte le politiche conseguenti. Quindi Lombardia come unica città (così come ce l’ha restituita la storia dei suoi insediamenti) contro due visioni ugualmente sbagliate che hanno prodotto guai e danni per tutti i  lombardi.
Mi riferisco da un lato all’idea di Lombardia patria di tanti localismi, territorio di tante realtà locali non interconnesse tra loro e dall’altro all’idea di una Lombardia sottomessa al predominio di Milano, città metropolitana che mortifica tutto il resto e impedisce che tutti i cittadini lombardi vivano il territorio in un’uguale condizione d’uso.
Affinché i cittadini abbiano gli stessi diritti, il diritto alla mobilità (non è giusta la disparità di offerta tra la qualità dei trasporti urbani e quelli regionali), il diritto alla salute, il diritto all’istruzione, alla cultura. Quindi la qualità dell’ambiente, la difesa del suolo e l’uso intelligente delle risorse idriche. La città di Lombardia che garantisce a tutti i suoi abitanti (10 milioni) uguali diritti indipendentemente da dove vivono e da dove lavorano.
E una Regione che abbia come preoccupazione fondamentale quella di dare a tutti i cittadini lombardi le stesse opportunità per ridurre le diseguaglianze.
 
Ecco ancora il riferimento “all’ultima chiamata” prima di una guerra “civile” che potrebbe scatenarsi, come conseguenza logica, tra i cittadini dell’intera regione contro le grandi città e contro Milano in particolare (molti segnali ci sono già).
Milano è già vissuta come città nemica dal suo hinterland, Milano e il suo hinterland, cioè grossomodo la Città metropolitana, sono vissuti come nemici da tutti gli altri.
In un momento in cui concretamente, in una logica di centri concentrici, il centro storico di Milano si chiude rispetto al resto della città, la città si chiude al resto della Città metropolitana e la Città metropolitana si chiude rispetto al resto della Lombardia.
Uno scontro tra cittadini che, fuori dalla grande Milano, godono di minori servizi e hanno tendenzialmente un welfare meno efficace e più costoso a parità di condizioni di reddito.
Chi non vive nelle grandi città si sente più povero:
- deve sostenere costi maggiori per la mobilità, supporta maggiori costi di trasporto pubblico usufruendo di servizi minori
- sostiene maggiori costi per la formazione e la cultura
- non ha le stesse opportunità di accesso alla rete dei servizi sanitari e sociali.
Il messaggio che arriva da Milano: la città ricca, la città dei 15 minuti che marcia su due ruote, la città dell’urbanistica tattica, non solo lì non arriva ma produce rabbia e indignazione.
Alle prossime elezioni regionali potrà vincere chi, meglio di altri, saprà contrapporre a livello economico e territoriale, un modello alternativo al cosiddetto modello Milano.
Come? Solo il ritorno alla programmazione degli interventi alla grande scala regionale, può rafforzare il modello policentrico regionale contrapposto a quello metropolitano e può valorizzare il necessario pluralismo politico.
Il ritorno alla programmazione come strumento per creare le condizioni di una Regione per tutti.
Insieme a una pratica di governo che chiami alla partecipazione “reale” tutte le istituzioni locali, utilizzando gli accordi di programma come pratica per la progettazione e attuazione coordinata delle politiche regionali.

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