PRIVATIZZAZIONI, IMPRESE PUBBLICHE E LE CONCESSIONI PUBBLICHE IN MATERIA DI AUTOSTRADE di Francesco Bochicchio

07 settembre 2018

PRIVATIZZAZIONI, IMPRESE PUBBLICHE E LE CONCESSIONI PUBBLICHE IN MATERIA DI AUTOSTRADE di Francesco Bochicchio

La vicenda del crollo del Ponte Morandi di Genova apre una luce inquietante, ma anche interessante, sulle privatizzazioni dei primi anni ’90, e, di riflesso ed in via speculare, sul possibile ritorno (di un ruolo centrale) delle imprese pubbliche, il tutto con particolare riferimento alle concessioni autostradali ed alle concessioni di servizi pubblici e di appalti di opere pubbliche.
Le privatizzazioni furono effettuate nei primi anni ’90, sgretolando il maestoso e complesso sistema delle imprese interamente pubbliche e soprattutto di quelle a partecipazione statale maggioritaria, sulla base dell’assunto dell’efficienza delle imprese private.
Per essere completi, l’assunto era l’inefficienza delle imprese pubbliche ma quale riflesso dell’efficienza delle imprese private, anzi dell’impresa privata “tout court”, unica efficienza possibile e pertanto considerata tale per antonomasia ed addirittura ipostatizzata.
Ebbene, tale efficienza si è non solo rivelata ma anche dimostrata del tutto assente: e ciò costringe a rivedere il paradigma.
Ma non è solo problema di revisione di paradigma: è necessità di cambiamento di politica economica, cambiamento che è invece escluso dall’agenda dell’intero Occidente: il crollo del Ponte Morandi è il crollo di un modello intero.
Chi si trincera dietro il garantismo per parlare di responsabilità effettua un’indebita commistione di piani. Una cosa sono le responsabilità personali, che richiedono accertamenti rigorosi e senza mai inficiare la presunzione di innocenza, altra la certezza della presenza di un inadempimento, visto che un Ponte così centrale che collegava tutte le parti di Genova e della Liguria e che era interno ad una delle città più importanti d’Italia non poteva non essere oggetto di un  monitoraggio continuo, come il ponte di Brooklin: addirittura, i  sospetti generalizzati di pericolo di disastro creano i presupposti per uscire da un piano di mera colpa, pacifica, per entrare direttamente in uno di dolo. Ma questo è un discorso da giudizio penale. Quello che è chiaro è che la responsabilità civile ha dei presupposti molto solidi. In ogni caso, l’inefficienza è pacifica e la destinataria della più importante delle qualificazioni ha fatto un vero “flop”. Continuare a parlare di efficienza dell’impresa privata come unica possibile e di questa come modello è un vero e proprio falso storico.
Respingere ogni intervento pubblico e limitarsi a consentire la sola presenza di uno Stato quale mero regolatore è una mera fuga dai problemi, in quanto lo Stato è del tutto disarmato nei confronti delle imprese private, soprattutto grandi, che sono queste, e solo queste, a dettare le regole.
Che il profitto comporti di per sé la soddisfazione dell’interesse pubblico e sociale è una mera petizione di principio: manca addirittura l’elemento medio, l’efficienza economica, visto che il profitto diventa motore di uno sviluppo rovinoso e con profili illeciti ed addirittura delinquenziali non più circoscritti e ristretti.
L’intervento pubblico, non solo regolatore ma anche correttivo e programmatorio, è necessario.
Per inciso, anche il quello dell’inefficienza delle imprese pubbliche è un mero mito: le banche, soprattutto quelle grandi, ma anche quelle territoriali, quando erano imprese pubbliche, erano sane. Più in generale, l’IRI ha avuto un ruolo propulsivo necessario.
L’impresa privata punta al profitto ed alla sua massimizzazione che nel capitale finanziario è segno di inefficienza e di distruzione di risorse.
Come configurare il ruolo del pubblico non è agevole: la nazionalizzazione comporta risorse finanziarie e mezzi che forse non vi sono attualmente. Ma un ruolo propulsivo, dirigistico e di indirizzo con coordinamento e correzione è necessario, non solo in termini di fatto, ma addirittura in termini di principio. Il modello liberistico è fallito: si deve fondare l’alternativa, in cui il pubblico ed il sociale rivestano un ruolo fondamentale.
Vi è un discorso ulteriore: i contratti di concessione prevedevano un risultato utile garantito abnorme: il profitto senza rischio diventa il paradigma di un volto del capitale ad un tempo predatorio ed assistenziale. Vi è una situazione di mero privilegio, senza logica economica e senza efficienza.
Manca il mercato e manca un capitalismo produttivo: è necessaria una politica economica penetrante e non ancillare rispetto all’impresa privata.
Se il ruolo centrale dell’impresa privata porta ad una situazione di privilegio, senza alcuna efficienza, il ruolo propulsivo pubblico deve, per forza di cose, configurare un assetto diverso ed alternativo: occorre superare il ruolo vetusto dell’intervento pubblico e dell’impresa pubblica quale ristretto agli ambiti e settori in cui il privato non è in grado di operare e di gestire proficuamente: all’esatto contrario il ruolo pubblico deve essere autonomo ed indipendente e tale da configurare un modello alternativo  idoneo a porre le basi anche per la correzione delle distorsioni endemiche dell’operatore economico privato e, più radicalmente, dell’economia privata.

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