PACE, DEMOCRAZIA E LAVORO, PER UNA NUOVA SINISTRA di Roberto Biscardini per Critica Sociale numero 3, 2023

04 luglio 2023

PACE, DEMOCRAZIA E LAVORO, PER UNA NUOVA SINISTRA di Roberto Biscardini per Critica Sociale numero 3, 2023

Ormai il giudizio è pressoché unanime: la sinistra che abbiamo conosciuto negli ultimi trent’anni non è strutturalmente una forza di sinistra. Un giudizio largo dell’opinione pubblica che la sinistra ha già pagato duramente con la perdita costante di consensi, con la disaffezione al voto di gran parte del suo elettorato, fino alla responsabilità di aver consegnato l’Italia ad un Governo di destra.
Certo, tutti i danni che il paese ha conosciuto negli anni della Seconda repubblica, non possono essere ascritti alla sola responsabilità della sinistra e del centrosinistra, ma buona parte sì. Con dei prodromi anche antecedenti al 1994. Come il sostegno della sinistra, ad eccezione del Psi, al referendum di Segni e Occhetto sulla preferenza unica nel 1991. Ed ancora il sostegno, ad eccezione del Psi e di Rifondazione Comunista, ai referendum del 1993 che con l'abrogazione della legge elettorale del Senato apriva la strada al sistema maggioritario contro il proporzionalismo costituzionale.
Ricordando che in quel pacchetto brillava il referendum per l’abolizione del Ministero delle Partecipazioni Statali, un segnale preciso a favore di quel disegno neoliberista che poi si realizzerà con assoluta perfezione negli anni successivi con la svendita delle principali aziende di Stato, nei settori più strategici della nostra economia.
Chissà se il partito di Occhetto allora se ne rese conto? Se lo fece consapevolmente o no.
Sta di fatto che di lì a poco, nel 1994, destra e sinistra stipularono un patto che aprì la strada al modello bipolare e al maggioritario, con tutto ciò che ne è conseguito.
La personalizzazione della politica, un complessivo stravolgimento delle regole democratiche figlie della Costituzione repubblicana, premi di maggioranza alle coalizioni vincenti, sistemi elettorali uninominali, perdita di valore del ruolo democratico dei partiti, elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di Regione. Sindaci manager, piccoli podestà, affiancati da assessori nominati. Riduzione del ruolo democratico delle assemblee elettive a scapito degli esecutivi a tutti i livelli. Riduzione del ruolo dei cittadini nel processo di formazione delle decisioni politiche.
Un disastro nel quale la sinistra non porta con sé solo la responsabilità di non essere stata in grado o di non aver voluto reagire alla destra, ma addirittura di essere stata essa stessa protagonista e ispiratrice, delle peggiori leggi elettorali.
L’Italicum, proposto dalla sinistra e votato nel 2015 con l’appoggio di Forza Italia, poi dichiarato parzialmente incostituzionale. E successivamente il Rosatellum, voluto sempre dal centrosinistra, votato nel 2018 con l’appoggio oltre che di Forza Italia anche della Lega Nord e con il quale, tra collegi uninominali, liste bloccate e soglie di sbarramento, è stata definitamente tolta ai cittadini la facoltà di scegliere i propri rappresentanti.
Oltre al grande impegno profuso dal centrosinistra per la modifica del Titolo V della Costituzione, dal quale, a cascata, sono state approvate ulteriori leggi truffa, come la riforma delle Province e l’istituzione delle Città Metropolitane. Nasce da lì la proposta di Autonomia differenziata, sostenuta apertamente anche dal Pd in occasione dei referendum consultivi di Lombardia e Veneto del 2017. Poi nel 2020 la grave responsabilità che il Pd si è assunto votando a favore della riduzione dei parlamentari. Un passo decisivo per la demolizione della democrazia parlamentare e rappresentativa. Ed ancora, oggi, la sostanziale disponibilità ad accontentare la destra sul terreno del presidenzialismo, del premierato o sindaco d’Italia. Per altro perfettamente coerente con la propensione dimostrata dal Pd, fino a poco tempo fa, di essere a favore del semipresidenzialismo.
Perché ciò è stato possibile? In primo luogo, perché la sinistra si è illusa di poter allargare i propri consensi occupando il campo della destra. Secondo, perché il Pd ha pensato di poter rappresentare con vocazione maggioritaria l’intero campo della sinistra, compreso quello di una sinistra sociale, larga e popolare, che con quel disegno non era assolutamente d’accordo. Terzo, perché fin dalla sua nascita nel Pd hanno prevalso le sue componenti originarie, fondamentalmente centraliste e dirigiste.
Fin dalla fine degli anni ’70, quelle componenti non avevano capito che dietro l’esplosione civile degli anni ’60 e ’70 covava la questione istituzionale e democratica. Il tema venne colto, anche se in modo ancora confuso, solo dai socialisti che sollevarono la questione della “Grande Riforma”. Un progetto che morì sotto i colpi delle burocrazie dei due grandi partiti, Dc e Pci, così come il messaggio alle Camere di Cossiga del 1991 venne sommerso dall’accusa di tradimento costituzionale.
La Dc e il Pci non colsero in quel momento l’importanza di una domanda di partecipazione popolare che saliva dal basso, e non ebbero il coraggio di affrontare il tema della riforma organica della Costituzione, peraltro da tanti ritenuta necessaria. Non capirono che la società civile, in forte trasformazione, stava chiedendo alla politica non di difendere acriticamente “la costituzione più bella del mondo”, ma di essere coinvolta nel processo di revisione istituzionale e costituzionale del Paese, anche attraverso un’azione forte e una chiamata al voto. Così come fu decisiva, anche dal punto di vista civile e non solo politico, l’azione svolta dal popolo italiano con il referendum su monarchia o repubblica e con l’elezione diretta dell’Assemblea costituente del ‘46.
La sinistra non capì che dentro la partita istituzionale si stava giocando la grande partita democratica. E non capì che la democrazia incominciava ad essere messa in pericolo dallo stesso modello economico neoliberista, che aveva bisogno di sbarazzarsi della democrazia e della politica per avere un peso decisionale sempre maggiore.
La sinistra non comprese che così facendo stava realizzando il disegno politico della destra. Tradisce il suo mandato storico, rinnega i propri valori e i propri principi. Accetta un ruolo subalterno al pensiero dominante, alla logica del capitalismo, quello di prima e quello ancora più aggressivo degli anni successivi. Con l’accettazione del modello liberista, delle logiche di mercato, con la riduzione del ruolo dello Stato anche in economia, lascia campo libero all’iniziativa privata e alle successive politiche di privatizzazione. Contemporaneamente, ridotti gli spazi democratici, e con un sistema economico sempre più aggressivo, consente che il capitalismo, e in particolare quello finanziario, vinca la battaglia per avere uno Stato debole, per proteggere meglio gli interessi del profitto e della rendita.
Ed anche in questo caso sembra che la sinistra non capisca come il processo di abbruttimento del sistema democratico a partire dagli anni ’90, sostenuto in parallelo dalla demonizzazione della politica messa in campo da tangentopoli, avesse come fine ultimo il coronamento del disegno politico del capitalismo rampante. Non capì che tangentopoli era una rivoluzione di destra. E fa ancora peggio. Anziché reagire e farsi interprete della necessità di dare al Paese uno Stato più forte e autorevole, si fa paladina della battaglia per uno “Stato leggero”, tanto leggero da diventare il cavallo di Troia per la grande privatizzazione dell’economia italiana, diventata poi privatizzazione di tutto. Anche dei servizi, da quelli di trasporto, alla sanità, all’istruzione e persino delle strutture burocratiche delle istituzioni pubbliche, ormai appaltate a cooperative e imprese private, distruggendo il valore anche politico delle istituzioni e di una sua burocrazia.
Ma gli stessi errori si moltiplicano su altri versanti. Sulle politiche del lavoro, prima e dopo l’abolizione dell’Articolo 18 e l’introduzione del Jobs Act. Sulle politiche dell’immigrazione. Fino all’accettazione supina alla politica atlantica di fronte ad una realtà drammatica come quella della guerra e delle guerre.
Si potrebbe concludere che, in modo assolutamente incomprensibile, la sinistra e la sua classe politica sia stata letteralmente offuscata dalla grande capacità pervasiva della destra, dalle idee prevalenti dei suoi avversari, e si sia fatta sedurre fino ad interiorizzare i loro valori come valori propri. Quasi compiacendosi di essere stata considerata come la forza del sistema e del cosiddetto establishment.
Una specie di zombificazione della politica, che negli ultimi anni ha attraversato strati consistenti della società. Esattamente come i lavoratori sfruttati, talmente sfruttati da non riconoscere più le ragioni dello sfruttamento e le responsabilità dello sfruttatore. Essi conoscono l’ingiustizia, ma lasciati soli non trovano né la forza né le ragioni della protesta e della contestazione perché assumano le regole del mercato come una variabile indipendente del sistema. Come immutabili e immodificabili.
Su un altro versante, e non a caso, è proprio la sinistra e il suo partito maggiore, che dopo la caduta del Muro di Berlino, rifiutando in un momento cruciale della storia italiana l’opzione socialista, sceglie il modello americano come modello di riferimento su cui definire la nuova organizzazione del partito, primarie comprese. Dando con ciò un contributo ulteriore all’indebolimento dei partiti e al valore democratico che la Costituzione attribuisce loro.
Sono gli anni in cui inizia inesorabile ad aprirsi quella forbice che ben conosciamo ancora oggi. La forbice tra gli interessi della politica e la vita reale delle persone, in un momento in cui a fronte di un bisogno di ribellione e di contestazione crescente, prevalgono invece, nella povertà della politica, disaffezione, sfiducia e rassegnazione.
Per una ragione semplice. Perché il tradimento e gli errori che la sinistra ha compiuto, facendo proprie le regole del liberismo e del conservatorismo, hanno ridotto ogni sua naturale capacità di contrapposizione al sistema, in netta contraddizione con la storia e le ragioni del socialismo, nato sulla base della analisi critica del capitalismo e dell’ingiusta distribuzione della ricchezza prodotta dallo sfruttamento del lavoro. Accettando di fatto un modello secondo il quale nella società deve prevalere l’individualismo e non la solidarietà, questa sinistra perde in questi ultimi lunghi anni ogni possibile credibilità.
Un giudizio così impietoso potrebbe non lasciare margini. Ma la domanda è un'altra.
Questa sinistra, la sua classe politica, fatta di nomi e cognomi, i suoi partiti, tutte le sue componenti, è ancora in condizioni di costruire un progetto alternativo alla destra? Può trovare il coraggio di ammettere di aver sbagliato, di aver commesso una serie infinita di errori? O meglio, ancora, troverà il coraggio di ammettere che non aveva capito cosa stava succedendo? E ammetterà di non aver capito dove stava andando il mondo?
Avrà il coraggio di ammettere che l’ubriacatura liberista, di cui alcuni di loro oggi iniziano timidamente a parlare, è stata proprio la loro ubriacatura? Con tutti i danni che ciò ha arrecato alla classe lavoratrice, alle persone più deboli ed economicamente più fragili. Con le violazioni che sono state arrecate ai diritti di giustizia, di uguaglianza e fraternità.
O è necessario iniziare a lavorare subito per costruire una nuova sinistra? Tanto più che allo stato attuale tutte le forme di opposizione, con questa sinistra, appaiono insufficienti ad ottenere alcun risultato significativo sul terreno della rottura degli equilibri tra i poteri e le classi. Debolissima è l’opposizione politica, debolissima quella parlamentare, non gode di buona salute quella sindacale e la sinistra sociale, che più di altri ha saputo mostrare maggiore vitalità e capacità di reazione, è stata lasciata sola.
Una sinistra da costruire sulle cose. Perché le cose sono unificanti e mobilitano le persone. Perché dalle cose e dalla partecipazione intorno ad alcuni obbiettivi si possono aggregare cittadini, circoli e movimenti di diversa formazione. Trovare fiducia e coscienza collettiva.
Oggi tre grandi questioni sono all’ordine del giorno: la Pace, la Democrazia e il Lavoro.
Tre battaglie politiche da perseguire con coerenza affinché una nuova sinistra possa trovare le ragioni della propria esistenza. Possa trovare le ragioni di giustizia, di uguaglianza e di solidarietà per cui agire e riscoprire le ragioni del socialismo. Come all’origine. Dalle cose e dal basso.
Una risposta forte contro la devastazione in atto da parte della destra.

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