LE DONNE CI TRAGHETTERANNO OLTRE IL PIL. Per una reale economia del benessere di Giuseppe Longhi da Arcipelago Milano del 25 gennaio 2022

25 gennaio 2022

LE DONNE CI TRAGHETTERANNO OLTRE IL PIL. Per una reale economia del benessere di Giuseppe Longhi da Arcipelago Milano del 25 gennaio 2022

Come spesso è successo nella nostra storia recente, l’Italia nei momenti chiave si mette, come si suol dire, “nel passo dove non passa nessuno”. Si può leggere così l’indifferenza con cui sono accolti gli insistiti inviti della comunità scientifica internazionale e della stessa Comunità europea ad abbandonare la crescita quantitativa dell’economia, e quindi il PIL quale strumento della sua misurazione, a favore di uno sviluppo sostenibile, misurato attraverso indici di sviluppo. 

Al quotidiano resoconto della stampa nostrana che documenta il nostro arrancare nel tentativo di recuperare il PIL a livelli pre-pandemia, si contrappone il parere “Oltre il PIL per una riuscita della ripresa ed un’economia dell’UE sostenibile e resiliente” del Comitato economico e sociale europeo: “Il Comitato economico e sociale europeo ritiene inevitabile passare da un sistema economico in cui il motore principale è rappresentato dalla crescita a un modello in cui viene privilegiata la sostenibilità. […] Il Comitato ritiene che occorra sviluppare un quadro di valutazione “oltre il PIL”, da integrarsi nel quadro di valutazione per il Green Deal europeo, che tenga conto dello sviluppo sostenibile del capitale umano, sociale, naturale, oltre che della qualità della vita. Questo quadro sarà essenziale sia nel creare opportunità per le imprese di oggi, che nello stimolare in futuro occupazione, ricchezza e crescita sostenibile”. 

Secondo il CESE, è indispensabile andare oltre il PIL, adottando indicatori che dovrebbero diventare strumenti che non si limitano a monitorare e a misurare, ma che servono anche a fornire informazioni sull’elaborazione delle politiche, a migliorare la comunicazione e a incoraggiare la definizione degli obiettivi. Questa posizione è alimentata da un sistema di centri di ricerca di eccellenza: negli USA dall’ASH Center for Democratic Governance and Innovation dell’Università di Harvard, in Germania dal Wuppertal Institut, dal Postdam Institut for Climate Impact, dallo ZOE Institut for future-fit economies, in Gran Bretagna dall’Institute for Innovation and Public Purpose della UCL, in Svezia dallo Stockolm Environmental Insitut, in Nuova Zelanda ed Australia da ANSZOG Schhool of Government…

Questo flusso intellettuale ha trovato sintesi operativa in una rete di governo, la Wellbeing Economy Governments (WEGo), sostenuta anche dall’OCSE, cui aderiscono le Prime ministre di Finlandia (35 anni), Scozia (52 anni), Islanda (45 anni), Nuova Zelanda (41 anni) ed il Primo ministro del Galles (68 anni). Questa rete, il sostegno dell’OCSE ed un vasto consenso da parte delle autorità pubbliche di tutto il mondo evidenziano una crescente propensione verso logiche post-crescita, che mettono il benessere umano ed ecologico – invece della crescita economica fine a se stessa – al centro del processo decisionale. 

Con la creazione dei Wellbeing Economy Governments, grazie al supporto della Wellbeing Economy Alliance (WEAll), una rete internazionale di organizzazioni della società civile, si è creato una sorta di G7 composto da paesi che hanno adottato come quadro di riferimento politico l’economia del benessere, attuando politiche che mirano a sostituire la crescita del PIL come obiettivo principale delle loro economie nazionali, a favore di un approccio più olistico per offrire benessere prendendosi cura dell’ambiente, della salute delle persone (compresa la salute mentale) e delle relazioni sociali. 

La giovane Prima Ministra della Nuova Zelanda, ad esempio, ha lanciato il “Bilancio del benessere”, un quadro macroeconomico per la progettazione e la valutazione delle politiche articolato in cinque aree prioritarie per migliorare il benessere dei cittadini: salute mentale, benessere dei bambini, sostegno agli indigeni e alle aspirazioni dei diversi gruppi etnici, costruzione di una nazione produttiva attraverso innovazione ed opportunità sociali, e transizione verso un’ economia sostenibile a basse emissioni. Il “Bilancio del Benessere” nasce dalla consapevolezza che la crescita del PIL non garantisce miglioramenti del tenore di vita, non misura la qualità delle attività economiche e non valuta chi ne beneficia, chi ne è escluso o chi è rimasto indietro. 

Principi sostenuti anche dalla Prima Ministra scozzese, che si è impegnata ad allontanarsi dalla crescita come obiettivo centrale e dal PIL quale strumento principale per la valutazione economica. L’Islanda si sta muovendo rapidamente nella stessa direzione; ad esempio, per guidare le politiche economiche nazionali ha adottato un dashboard di 39 indicatori di benessere, che comprendono livello di istruzione, salute mentale e costi ambientali delle attività economiche. Anche la Prima Ministra finlandese sostiene un miglior equilibrio della vita lavorativa, proponendo l’introduzione di una settimana lavorativa di 4 giorni, i cui benefici, in termini di miglioramento della salute delle persone e della qualità del lavoro, nonché di riduzione dell’impronta di carbonio, sono ampiamente dimostrati.

A livello internazionale, l’OCSE, nel suo documento “L’economia del benessere”, riporta come: “il benessere è maturato da agenda statistica e di misurazione a rilevante ‘bussola’ per la politica, grazie alla crescita del numero di paesi che utilizzano le metriche del benessere per guidare il processo decisionale e informare i processi di bilancio”

A questo punto sono evidenti le difficoltà del nostro governo tecnocratico: l’incerto impianto del nostro PNRR (soprattutto rispetto agli scopi che lo informano) si dimostra sostanzialmente asimmetrico rispetto agli obiettivi di sviluppo sostenibile, sia della Comunità europea che dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’ONU. Esso ignora i ripetuti inviti ad un “cambiamento di sistema” che provengono dall’Unione europea. Ignora anche l’ammonimento del mondo scientifico, il quale avverte che di fronte ai cambiamenti dirompenti che stiamo vivendo è indispensabile abbandonare gli strumenti e le logiche ereditati dall’illuminismo a favore di logiche darwiniane di lunghissimo momento.

Così il PNRR avrebbe dovuto consapevolmente prendere atto che, storicamente, per uscire dalla pandemia la metrica dello sviluppo deve essere alimentata da una indispensabile creatività, come ci insegna Leonardo Da Vinci che propone, dopo la peste del 1480 una “Città ideale” fondata sull’armonia tra sviluppo sociale e utilizzo delle risorse. Una città quindi i cui valori fondativi sono l’acqua e l’aria.

La storia ci insegna che la pandemia impone una nuova visione urbana fondata sul rispetto di tutte le risorse, non sulla loro estrazione; le giovani ministre, con la loro insistenza per il rinnovo culturale ci insegnano che il motore della nuova città sarà un sapere informato allo sviluppo dell’equità, non del prodotto lordo distribuito a pochi. Senza questi ingredienti non avremo mai né una ripresa economica, né l’uscita da un’emergenza istituzionale che si prolunga da troppo tempo.

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