LA “RIVOLUZIONE” DI SALA. UN TEATRINO ELETTORALE? di Luca Beltrami Gadola da Arcipelago Milano del 5 gennaio 2021

05 gennaio 2021

LA “RIVOLUZIONE” DI SALA. UN TEATRINO ELETTORALE? di Luca Beltrami Gadola da Arcipelago Milano del 5 gennaio 2021

 Sperando che il Covid ci lasci votare presto.

Cominciare l’anno nuovo senza un commento alla lunga intervista che il Sindaco ha rilasciato a la Repubblica il 15 dicembre dello scorso anno sarebbe sbagliato, vi è un annuncio che merita attenzione: “Mi candido per fare una vera rivoluzione”.

Se la “rivoluzione” sono le intenzioni contenute nell’intervista mi vien da dire che di rivoluzionario non c’è proprio nulla perché la rivoluzione è ben di più: la rivoluzione vera è quella che porta ad un diverso assetto sociale. Forse è proprio quello che Sala non vuole.

Eppure di atteggiamenti rivoluzionari possibili ce ne sarebbero molti, senza spargimenti di sangue, non proprio da barricadieri ma da riformisti, persino tiepidi.

Cominciamo dal concetto di “Città bene comune”, concetto dalle mille sfaccettature, basta guardare il sito della Casa della Cultura che sotto questo titolo elenca una serie di pubblicazioni che possono esaurire qualunque curiosità ma anche l’articolo di Giuseppe Longhi che abbiamo pubblicato dal titolo MILANO, DECLINO E AGGRESSIONE AI BENI COMUNI .

Per parte mia, rozzamente e semplicisticamente, direi che il bene comune di una città è tutto quello che vi si trova di materiale e immateriale che non sia di proprietà privata e che possiamo dunque considerare di proprietà legittima dei cittadini intesi come civitas.

Dunque strade, piazze, edifici pubblici, scuole, università anche se statali – con dunque l’eccezione della Cattolica e della Bocconi – perché nella mia testa ho sempre considerato che anche i beni demaniali o di pubblica proprietà ricadenti nei confini amministrativi del Comune quantomeno siano in comproprietà dei milanesi in quanto “civici” ma anche certamente dei cittadini italiani.

Questa tesi è quella che ho sempre sostenuto a proposito della questione “scali ferroviari”: ho perso la mia piccola guerra personale, non solitaria, ma non è detto che basti perdere una battaglia per perdere una guerra.

Nella categoria beni comuni rientrano ovviamente tutte le società il cui capitale sia di proprietà del Comune e le partecipazioni societarie del Comune stesso. Parere generalmente non condiviso vedi alla voce “privatizzazioni”.

Sin qui ho parlato di beni materiali o che hanno, anche se indirettamente, una loro fisicità, parliamo adesso dei beni immateriali.

Il principale bene immateriale è il capitale umano della città.

Copio da Wikipedia la definizione: “l’insieme di conoscenzecompetenzeabilitàemozioni, acquisite durante la vita da un individuo e finalizzate al raggiungimento di obbiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi”.

Nello stesso modo suggerisco di aprire la voce “Capitale umano” di Wikipedia andando ai capitoli Capitale umano e crescita economica, Capitale umano ed esternalità produttive, Capitale umano e rendimento, perché dell’insieme di queste cose vorrei parlare e non saprei sintetizzarle meglio.

Dunque il capitale umano è un bene immateriale della città, ma al riguardo Milano non può dimenticare il capitale umano che portano con sé i city users, i pendolari, che arrivano tutti i giorni e qui dovremmo riaprire il capitolo Città Metropolitana ma sarebbe troppo lungo.

Non è solo il capitale umano il bene immateriale della città ma certo anche la sua cultura, le sue tradizioni, quello che entra nel cosiddetto Brand Milano, ma anche, e certo non ultimo, la sua capacità edificatoria, il terreno prediletto degli estrattori di ricchezza: un capitolo a parte del quale si deve parlare diffusamente per la sua trasversalità.

Quando i cittadini eleggono un sindaco gli affidano i beni comuni perché li tuteli, li accresca e li difenda senza mai venir meno ai principi democratici, così come un sindaco deve tutelare la salute dei cittadini e, se di sinistra, ridurre le disuguaglianze tra i suoi concittadini.

L’aggressione ai beni comuni – l’estrazione di ricchezza – è da sempre il cancro che ha stremato i territori e quindi la difesa dei beni comuni deve essere il primo obbiettivo (rivoluzionario?) di un sindaco.

Lascio la parola a Paolo Cacciari*: “…… Si tratta di una lotta squisitamente di potere, cioè politica, su chi decide quali risorse comuni mettere a valore, con quali modalità e a favore di chi. Si tratta di riuscire a dimostrare che i flussi economici (anche quelli monetari) che vengono nell’attuale sistema economico estratti lungo la catena di valorizzazione dei beni e dei servizi prodotti e venduti nella città non arricchiscono, né migliorano la vita degli abitanti, nemmeno ricapitalizzano il bene sottostante, ma fluiscono altrove e accelerano l’entropia del sistema urbano. Pensiamo ai redditi immobiliari da compravendite, che molto spesso sono solo “tesaurizzazioni” di surplus monetari di società di capitali, come si fa un quadro di valore da tenere nel cavò di una banca. Pensiamo ai redditi da affittanze intermediate da agenzie su piattaforme planetarie. Pensiamo ai redditi da attività commerciali gestite da grandi catene organizzate. Pensiamo ai redditi da sfruttamento dell’immagine dei luoghi – vero costrutto del marketing pubblicitario… Quali sono le effettive ricadute sul territorio dell’attuale industria turistica? Qualcuno sa quanto spendono di assicurazione per danni le compagnie delle meganavi da crociera per entrare in bacino di San Marco? Sapremmo finalmente quanto vale sul mercato Venezia! ……”.  (Da Liberacittadinanaza)

L’estrazione di ricchezza dai beni comuni ha un connotato subdolo: i cittadini, l’uomo della strada, la casalinga di Voghera, non se ne accorgono, anzi qualche volta se ne compiacciono perché son travestiti da “sviluppo”, da crescita, da attrattività della città – vedi i recentissimi accordi per lo sviluppo del quartiere Rubattino e prima gli scali ferroviari, San Siro … – e non si rendono conto che sono stati loro sottratti beni comuni con accordi “asimmetrici” tra cessioni di beni comuni benefici privati.

Questo è il meccanismo che contribuisce alla concentrazione in poche mani della ricchezza di pochi e l’impoverimento del 90% della popolazione.

Un amico che bazzica le grandi multinazionali commentando l’attrattività di Milano mi ha detto: “la ragione è che in nessun altro posto al mondo in questo momento il capitale umano è così eccellente e a buon mercato come a Milano”, altro tipico esempio di “estrazione” e senza voler scomodare il tema marxiano della riproduzione della forza lavoro (anche intellettuale).

Si può contrastare questa estrazione? Si può evitare?

Bisognerebbe inventare nuovi strumenti di ricupero della ricchezza costituita dei beni comuni, a cominciare dall’equità fiscale o dal ricupero della evasione – logoro e inattuato proposito – ma, per restare nell’ambito della ricchezza costituita dalla capacità edificatoria, basterebbe essere meno generosi nelle convenzioni o applicare strumenti già presenti nelle norme di legge. (**)

Di queste mancate occasioni ne ha parlato su ArcipelagoMilano Roberto Camagni in due articoli: SENTENZA SUGLI SCALI E FISCALITÀ PUBBLICA e IL MISTERO DEL “CONTRIBUTO STRAORDINARIO”.

Dunque il sindaco Sala non può lamentarsi più di troppo delle scarse risorse comunali come fa nella sua intervista.

Quanto all’ambiente il sindaco non si è sbilanciato molto ne ha parlato en passant come servizio di base:” la scuola, l’anagrafe, la cultura, l’ambiente vanno pensati come servizi di base che devono essere a portata di mano.”.

È la prima volta che vedo classificare l’ambiente come servizio, anche se forse l’esegesi dei testi delle interviste non dovrebbe essere così pignola, però visto il costume dei politici di parlare più per interviste che per interventi nelle sedi opportune, ci accomodiamo così.

Già che ci siamo a parlare di ambiente non possiamo non dire qualcosa sul Piano Aria (dal 5 prossimi affisso all’albo pretorio per le osservazioni) che il Comune ha approvato da qualche giorno e che magari ci sarebbe sfuggito se non fossimo stati bombardati da comunicati stampa e messaggi WhatsApp, ovviamente di tono apologetico, com’è ovvio.

Verrà il momento di una analisi approfondita ma ci diamo il tempo per leggere i documenti: un pacchetto di 17 slides e un documento di 968 pagine (2). Ne parlano anche Giorgio Goggi e Giampaolo Corda. Il mio primo e sommario commento è che in troppe parti del documento ci si dimentichi del Covid-19 e delle sue conseguenze e del fatto che non ne siamo ancora usciti: anzi.

Esiste un problema di fondo al quale bisognerà dare una risposta: il carico antropico dell’area milanese che riguarda il problema dell’inquinamento ma soprattutto il problema del CO2 e di chi lo produce.

I dati è facile trovarli su Internet e ne cito solo due a caso: Ipotizzando di parlare di un albero (di specie arborea di alto fusto) in clima temperato situata in città (quindi un contesto di stress ambientali più elevati rispetto ad un contesto naturale) possiamo pensare che l’albero stesso possa mediamente assorbire tra i 10 ed i 30 kg CO2/anno. É stato calcolato che una partita di calcio emette 820 tonnellate di CO2, in pratica un quinto di quanto emette uno shuttle in partenza.

Tutte le nostre attività provocano emissioni di CO2, persino un click sul PC, di molte delle quali non si parla nel Piano Aria Clima, dunque è risibile pensare di mettersi l’animo in pace piantando un albero – con fotografia sui giornali – ma non è certo un alibi per tagliare quelli esistenti (Parco Bassini).

L’inquinamento è il prodotto di decine di fattori e quando lo si affronta bisogna indicare quanto di ognuno di essi contribuisce al tutto e fare dunque una scala di priorità che incroci la scala dei costi per il singolo contenimento e la sua efficacia.

Il verde non serve solo ad assorbire CO2 e questo lo sappiamo: tutte le altre funzioni vanno sostenute ma inserite in un quadro generale di contenimento dell’inquinamento.

Chi però non ha capito la complessità del problema è Pierfrancesco Maran che sul Corriere di domenica ha detto di voler far tornare i milanesi in città.

Nel 1989 costituii un consorzio di imprese per fare ricerca sull’inquinamento indoor e nello stesso anno venni nominato Coordinatore responsabile della Sottocommissione Tecnologica per i problemi dell’inquinamento interno del Ministero dell’Ambiente. La commissione era divisa in due sottocommissioni, una tecnologica e l’altra sanitaria (questa coordinata dal professor Fara) ed entrambe sotto la presidenza del professor Umberto Veronesi. Le due commissioni hanno prodotto numerosi rapporti di ricerca rimasti nei cassetti ministeriali: le nostre conclusioni non piacquero ai costruttori e ai produttori di vernici.

Facemmo nostro l’adagio degli esperti mondiali di allora: “The solution to pollution is dilution”. (la soluzione dell’inquinamento è la diluizione). Adagio valido anche oggi: addensare la popolazione è controproducente. E forse questo Maran non l’ha capito.

Qualche giorno fa la Lega ha trovato un suo candidato a sindaco di Milano, anche loro si affidano ad un uomo che non viene dalle file di un Partito, a conferma che i Partiti non sono in grado di formare leader locali e anche a livello nazionale non c’è da far festa.

Marco Vitale ricordando il sindaco Formentini lo descrive come un sindaco che aveva una “visione” della città e del suo futuro, forse l’ultimo.

Oggi dobbiamo scegliere tra Sala e Roberto Rasia dal Polo, centrodestra, che viene da mondo della comunicazione, scelta non banale e che la dice lunga su cosa serva oggi per governare.

Beppe Sala viene dal mondo del management, è e fu un ottimo manager ma non un politico e da manager portò al successo di Expo.

Un manager è chi “nell’organizzazione aziendale, guida, cura, dirige gli interessi di un’impresa come amministratore”. Dunque chi viene scelto da un Consiglio di amministrazione per queste sue capacità.

In molti abbiamo avuto il sospetto che il vero Consiglio di amministrazione di Sala non sedesse a Palazzo Marino.

Ora la riconferma di Sala lo mette in una situazione di grande vantaggio: il secondo quinquennio è quello vero, libero dalle preoccupazioni di una rielezione e dagli “obblighi” verso chicchessia, quello che dà le mani libere, forse per lui il tempo della politica vera, quella del bene comune.

Si stanno riorganizzando le liste e i candidati a suo supporto: è lui che li deve scegliere.

Da questa scelta dipende molto del suo auspicabile successo elettorale, dallo spazio che darà alle voci critiche di una sinistra non cortigiana.

Ma queste voci ora più che mai devono farsi sentire.

* Paolo Cacciari. Fratello di Massimo Cacciari, è stato consigliere comunale e vicesindaco di Venezia e deputato al parlamento tra le fila del PRC.

 

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