LA PASSIONE POPOLARE SCONFIGGE L’AVIDITA’ DELLA SUPERLEGA di Enrico Landoni

23 aprile 2021

LA PASSIONE POPOLARE SCONFIGGE L’AVIDITA’ DELLA SUPERLEGA  di Enrico Landoni

Rabbia, sconcerto, disappunto e più di una punta di disgusto. Con questi sentimenti non solo i tifosi ma anche i semplici appassionati di calcio hanno accolto la notizia della costituzione della Superlega europea, in realtà subito naufragata. Tutto merito della fifa, che non vuol dire, in questo caso, federazione calcistica internazionale, bensì paura. Quella di perdere una valanga di voti, nel caso soprattutto dei governanti di Francia e Inghilterra. E di essere duramente contestati e boicottati dai tifosi giustamente indignati, con riferimento invece ai vertici di Milan e Inter in particolare, visto che Agnelli è stato tra gli ultimi a capitolare. 

D’altra parte, la scelta di dare vita inopinatamente ad una Superlega europea rappresentava una sorta di pugnalata, sferrata a tradimento dai più ricchi nella schiena degli avversari meno attrezzati sul piano economico, ma non per questo disposti a farsi calpestare o, peggio ancora, a farsi da parte, senza giocare la loro partita.

Diciamo allora che i potenti del dio calcio ci hanno provato, ma si sono dovuti arrendere. Questo tuttavia non significa che i magnifici dodici della tramontata Superlega non continuino a sentirsi altrettanti “Marchesi del Grillo”, pronti a giustificarsi, dicendo: “Me dispiace, ma noi siamo noi e voi nun siete un c…o”. E non significa soprattutto che costoro non pensino veramente che la rivelazione Atalanta non abbia ragione di esistere, perché, così come ama ripetere Agnelli, a vincere sono e devono essere sempre gli stessi da 80 anni. O non ritengano che il miracolo compiuto dal Leicester di Ranieri nella stagione 2015-16 sia destinato a rimanere poco più di un incidente della storia. E che, ancora, non giudichino il legame indissolubile tra un club, un territorio e le persone reali roba da inguaribili romantici, condannati a camminare con la testa rivolta all’indietro e a rimpiangere maglie e calzettoni di lana.

Di fronte a tutto questo, le formali proteste di capi di stato e di governo trovano piena giustificazione. Meno apprezzabili sono invece le intemerate di UEFA e FIFA, che provano, nonostante tutto, a difendere l’esistente. Proprio qui sta infatti l’equivoco. Per condannare quell’autentico obbrobrio rappresentato dalla defunta Superlega, non si può proprio pensare di difendere quell’inaccettabile sistema, che è alla base del progetto multimiliardario, provvisoriamente tramontato, dei grandi del pallone. Juventus, Milan, Inter, Real Madrid, Barcellona etc. non hanno fatto altro che portare alle estreme conseguenze il turbocapitalismo finanziario, che da tempo costituisce il vero motore del calcio e che fa ormai acqua da tutti i buchi. Attenzione dunque all’indignazione di quelle vestali dell’attuale sistema che, lungo la direttissima Zurigo-Nyon (sedi rispettivamente di Fifa e Uefa), provano a difendere i valori della meritocrazia, dell’equo confronto sul campo e della sportività, senza fare nemmeno un plissé di fronte alle aberrazioni da loro stesse generate. Tra le tante, il cosiddetto fair play finanziario, che vale per molti ma non per tutti (vedasi sceicchi ed emiri di Francia e Gran Bretagna), i Mondiali di Russia e Qatar, alla faccia della democrazia e dei diritti umani, e la continua crescita del numero di gare e competizioni, alla spasmodica ricerca di entrate derivanti dai diritti televisivi.

Questo qui sopra descritto, che fotografa l’esistente, non può dunque essere il modello da mantenere e contrapporre al progetto Superlega. Non è credibile e presenta soprattutto elementi di ipocrisia tali da far brillare di coerenza i vari Agnelli, Perez etc, che pure si sono dovuti arrendere alla ragion di stato e alla furia della piazza.

Per arginare l’avidità dei potenti sembra assai più utile semmai un progetto di vera alternativa e sostanziale rottura col sistema attuale, basato su tre capisaldi fondamentali: la gente, il territorio e lo stadio. Dacché si è pensato di sublimare nella trasmissione televisiva il calore e la passione delle persone sedute sugli spalti, ritenendone sostanzialmente marginale la presenza nei piccoli grandi campi di gioco, il calcio ha iniziato a stare male. E se mai il dio del pallone dovesse morire in futuro per via di una nuova e incombente Superlega dei potenti, difficilmente potrà poi risorgere dopo tre giorni grazie al provvidenziale intervento di chi lo ha voluto di fatto accompagnare al supplizio.      

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