INTRODUZIONE ROBERTO BISCARDINI – Socialisti in Movimento, Roma 12 marzo 2017

14 marzo 2017

INTRODUZIONE ROBERTO BISCARDINI – Socialisti in Movimento, Roma 12 marzo 2017

Ringrazio tutti i presenti e i nostri osservatori esterni venuti qui oggi alla prima assemblea dei Socialisti in Movimento. A me tocca spiegare il senso di questa iniziativa, che non saremmo riusciti ad organizzare senza le tante sollecitazioni che abbiamo ricevuto in questi mesi da amici e compagni di diversa formazione politica, socialisti, socialdemocratici, laici e liberali, per dare avvio ad un nuovo percorso e ad un nuovo progetto. Ringrazio anche tanti che abbiamo avuto modo di sentire in questi giorni e che non hanno potuto per ragioni diverse essere qui.
Mi interessa sottolineare quindi che questa non è un’iniziativa di pochi promotori, ma il segno di tanti socialisti che dopo un quarto di secolo sentono il dovere di dare una risposta alternativa all’anomalia italiana.
Considero questo il punto di partenza del nostro ragionamento, la cornice entro cui chiarire il profilo politico di questo progetto: dare una risposta alternativa all’anomalia italiana che si è caratterizzata a sinistra, non solo con la progressiva cancellazione dei socialisti dalla scena politica, ma soprattutto dalla capacità con la quale il più grande partito della sinistra degli ultimi venticinque anni, dal Pds al Pd, ha saputo cancellare non solo il nome “socialista”, ma anche “la cosa e la sostanza”.
Ha cancellato il socialismo e quindi la sinistra è andata in difficoltà. Fino al punto non solo di avvallare ma anche di promuovere nel corso degli anni riforme di stampo liberista, profondamente contrastanti con in valori e le conquiste del socialismo e della sinistra.
E’ da questa amara constatazione e dall’analisi impietosa sulle tante riforme sbagliate degli ultimi decenni, e approvate con il consenso anche della sinistra, le tante riforme che sarebbero da cambiare, che possiamo e dobbiamo ripartire per ricostruire un’area socialista nuova, larga e unitaria, moderna, indipendente e distinta dall’attuale Pd, aperta a tutte le esperienze che i socialisti hanno fatto nei lunghi anni della Seconda repubblica.
Un movimento politico nuovo, inclusivo e non diviso, aperto soprattutto alle giovani generazioni, ai tanti giovani che sono socialisti senza saperlo per dare alla cultura socialista una nuova rappresentanza politica e per cogliere oggi, subito, il punto di svolta che sta di fronte a noi, la grande nuova opportunità. Il sistema politico italiano non è finalmente più bipolare, la crisi economica mette in evidenza la giustezza delle battaglie storiche del socialismo, la questione internazionale ed europea richiede una nuova azione della sinistra.
Ma ritorniamo al punto, dobbiamo continuare a domandarci e a capire perché e da dove viene l’involuzione della sinistra italiana, che ha reso possibile la riforma costituzionale per fortuna bocciata dagli elettori il 4 dicembre, l’Italicum bocciato dalla Corte, il Jobs Act e le riforme del lavoro contro le quali 3.000.000 di italiani hanno raccolto le firme per indire un referendum abrogativo o la Buona Scuola contestata dagli insegnanti.
E capire per quali ragioni la cosiddetta sinistra abbia sposato molte cause liberiste, si sia fatta comandare da forze economiche e finanziarie esterne e abbia fatto, senza colpo ferire, prevalere la logica del mercato contro l’idea classica che l’economia debba avere nello Stato un soggetto regolatore, unica condizione per potere intervenire consapevolmente ed in modo equo nella ridistribuzione della ricchezza prodotta.
Si è aperta così nel Paese oltre alla questione economica e del lavoro, la grande questione democratica, che ci consegna prima di tutto una società non democratica, ma che è soprattutto non democratica nelle istituzioni, da quelle centrali a quelle locali, ai comuni per esempio, che non sono più la sede della democrazia dal basso, della partecipazione e della libertà.
Così come non è democratica nella politica, e nei partiti. Non lo è nella forma partito. Non è più democratica la gestione dei partiti che vorrebbero rappresentarla. Altroché come ha detto Renzi l’altro giorno: “chi spara contro il Pd indebolisce l’argine del sistema democratico”, semmai l’esatto contrario. Tutto ruota intorno ad una costruzione del consenso che fa rabbrividire e che viene prima di ogni altra cosa. Certamente prima degli interessi generali del Paese e di chi ha più bisogno. Una costruzione del consenso basata sulla minaccia e sulla paura della regressione, quello che abbiamo vissuto sulla pelle durante la campagna referendaria da parte del governo e dei sostenitori del Sì.
Vecchie teorie, una politica all’insegna del bullismo che fa ribollire idee nella vaghezza, tutto e il contrario di tutto, perché il capo, il leader deve disdegnare i programmi, è il più bravo di tutti per definizione, dei programmi non ha bisogno e non ha mandati di alcun genere da rispettare.
Come nei peggiori modelli autoritari dove la personalizzazione e l’identificazione del partito nella figura del leader fa sì che il leader non abbia alcun obbligo da rispettare.  Il leader è l’essenza carismatica del partito, quindi non può e non deve essere vincolato da nulla, né dal proprio partito, né da valori e principi. Questo virus che pensavamo tutto di destra, si è infilato nelle vene dei nostri partiti.
Per arrivare al punto centrale, quello più grave, il nodo dei nodi, sul quale nessuno sembra voler accendere una luce: il popolo della sinistra si sta inconsapevolmente saldando alla peggiore cultura della destra e mentre Renzi invita gli italiani ad essere “allegri e frementi”, gli italiani di sinistra, non per via istituzionale, non sulla base di accordi nazionali o locali tra sinistra e destra, non in nome di grandi coalizioni, ma nei comportamenti e persino nei sentimenti più profondi si associano a disvalori che non gli sono propri, a quelli dell’egoismo e dell’intolleranza. Sembrano infatti non funzionare i principi di cui erano portatori: giustizia, uguaglianza, solidarietà, dignità della persona, giustizia fiscale, stato di diritto, diritto al lavoro. Queste parole sembrano parole vecchie e c’è un popolo di sinistra che si avvicina e potrebbe votare Lega o M5S, favorendo la nascita di un governo della destra.
Di chi la responsabilità? Lo dico con molta serenità ai compagni del Pd, quando le “ditte” falliscono bisogna farne delle altre.
Le crisi vere non si risolvono con operazioni di facciata o con complicati tecnicismi. Quindi cambiamo passo e tutti siano disponibili a fra rinascere la sinistra su basi nuove. Ma ad una condizione, tutti devono partire alla pari e nessuno è in lista di attesa, ma nella consapevolezza che senza il socialismo, che è cosa ben diversa dai socialisti, una sinistra credibile non rinasce.
Noi ci impegniamo a metterci in movimento per interloquire con tutte le forze della sinistra democratica e riformista, per costruire una fase nuova della sinistra italiana coprendo uno spazio che si è aperto con la frantumazione, scomposizione e ricomposizione della sinistra.
Il bipolarismo è finito è questo è un bene. Dovrebbero saperlo anche coloro che con una certa ingenuità, mi riferisco anche all’amico Pisapia, invocano la riedizione di un centrosinistra unito. Ma quale centrosinistra, anche con Renzi?
Sarebbe un centrosinistra senza visione del Paese, una sorta di assemblea condominiale, senza rendersi conto che il Mattarellum, l’Ulivo, quello che consentì l’alleanza da Dini a Bertinotti, o da Mastella a Turigliatto, non c’è più.
Anche per questo è arrivato il momento perché tutti i socialisti incomincino a fare altro, a mettersi in gioco con generosità, senza egoismi, senza frenesia e senza pensare solo ad occupare posti.
Come ha detto Nicola Cariglia in un articolo che ci ha inviato per l’occasione di oggi, di fronte ad un processo di forte inquietudine “bisogna guardare avanti senza più recriminare” costruire un’area politica che sa interloquire con tutti e che può dare un grande contribuito ad una nuova sinistra socialista e liberale.
Dobbiamo operare nel concreto così come abbiamo fatto quando ci siamo trovati davanti il referendum costituzionale.
Abbiamo dato vita ai Comitati socialisti per il No in tutta Italia, abbiamo girato il Paese in lungo e in largo, abbiamo ritrovato vecchi compagni, non abbiamo chiesto che tessera avessero in tasca e per la verità la maggioranza di loro non ne aveva in tasca nessuna. Abbiamo incontrato tanti giovani, quelli che il 4 dicembre sono stati decisivi per far prevalere la bilancia a favore del No.
E con i tanti socialisti senza saperlo, così come con i compagni più anziani, ci siamo ritrovati uniti, non sulla nostra storia o sui nostri ricordi, ma su una battaglia politica concreta.
Così dobbiamo continuare, individuando battaglie concrete e iniziative da condurre insieme.
Dall’esperienza dei Comitati socialisti per il No, che nei mesi scorsi abbiamo deciso di non abbandonare, siamo arrivati all’assemblea di oggi, che è l’assemblea di tutti coloro che ci stanno e ci credono e che hanno deciso di mettere tutte le loro energie dentro questo progetto.  
Dovremmo concludere questa assemblea con un appello che si rivolge a tutti i socialisti, laici e liberali, delle più diverse appartenenze, ma anche a coloro che ritengono di dover rimanere nelle loro “case”, associazioni, partiti e circoli, e non intendono abbandonarle, ed anche a tutti coloro che hanno intenzione di iniziare con noi un percorso nuovo per fare insieme “cose” nuove.
Dobbiamo farlo oggi, perché le condizioni sono favorevoli oggi. Per senso del dovere, non solo per noi stessi e per i tanti nostri compagni chiusi da anni nella propria autoreferenzialità, ma per dare ai socialisti un ruolo nuovo nella politica e nella società italiana.  
Non un partito, ma un movimento di iniziativa politica, che, con un Comitato promotore nazionale, sappia organizzarsi soprattutto a livello locale, su tutto il territorio nazionale in Comitati regionali, provinciali e municipali, sede dell’iniziativa politica dei socialisti a livello locale.
Naturalmente ci saranno da affrontare anche le elezioni, e un vero movimento politico non esiste se non sa mettersi alla prova anche dal punto vista elettorale. Per questo bisogna costruire le condizioni perché i socialisti ritornino a partecipare con la propria identità alle competizioni elettorali nazionale e locale.
Vi propongo di dare mandato al Comitato promotore nazionale di insediare al più presto due commissioni, la prima con il compito di affrontare gli aspetti organizzativi del movimento compreso la scelta del nome e di un eventuale simbolo da presentare alle prossime elezioni, la seconda con il compito di organizzare momenti di approfondimento, non per fare un programma di 250 pagine come quello di Romano Prodi, ma per individuare le due o tre battaglie sulle quali i socialisti decidono di impegnarsi concretamente.
Due battaglie sono già di fronte a noi, la prima riguarda la grande questione del lavoro. Il nostro primo impegno è quello contro il Jobs Act per sostenere i referendum promossi dalla CGIL. Inoltre ci dobbiamo impegnare ad appoggiare la Petizione nazionale per restituire la sovranità agli elettori, per garantire l’approvazione da parte del Parlamento di una legge elettorale di tipo proporzionale che escluda ogni forma di premio maggioritario, che abolisca i capolista bloccati e le candidature multiple.
Quindi la proposta di oggi è un movimento con un forte ancoraggio ai nostri principi e ai nostri valori, che può rappresentare un fatto importante per tutta la sinistra. Non è un’iniziativa che dobbiamo vivere nell’isolamento e men che meno nel solco della storia passata. Il nostro compito è portare alla luce oggi il bisogno di socialismo prima ancora che il bisogno dei socialisti.

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