IL GENIO AMERICANO DI TEODORI FA A PUGNI CON LO SPIRITO DEL TEMPO. NON VINCERÀ IL PULITZER, PER FORTUNA di Mattia Ferraresi del 21 giugno 2020

21 giugno 2020

IL GENIO AMERICANO DI TEODORI FA A PUGNI CON LO SPIRITO DEL TEMPO. NON VINCERÀ IL PULITZER, PER FORTUNA di Mattia Ferraresi del 21 giugno 2020

Nel suo ultimo libro, edito da Rubbettino, l’autore abbraccia e sviluppa un'ipotesi intorno all’essenza dell’America che è il rovescio di quella che, al momento, abilita a vincere il massimo premio giornalistico esistente

Roma. Per fare a Massimo Teodori il miglior complimento possibile: il suo ultimo libro, Il genio americano. Sconfiggere Trump e la pandemia globale, non vincerà il Pulitzer. Non lo vincerà non tanto per le ragioni ovvie, cioè che l’insigne americanista italiano scrive nella sua lingua natìa e il breve volume è pubblicato qui, dall’editore Rubbettino, ma perché l’ipotesi intorno all’essenza dell’America che l’autore abbraccia e sviluppa, facendola reagire con l’oggi, è il rovescio di quella che, al momento, abilita a vincere il massimo premio giornalistico esistente. In breve: per Teodori esiste un “genio americano” ed è fondamentalmente benigno e liberale; questo genio originario ha convissuto e convive con la gran mole di contraddizioni del vissuto americano, dalla schiavitù e il razzismo fino alle disuguaglianze e agli istinti egemonici sul piano internazionale, ma questi gravi incidenti della storia hanno ferito, senza tuttavia pregiudicare, quel nucleo ideale fondamentale, che poi è il portato della modernità illuminista e liberale.

 

Questa impostazione non quadra con lo spirito del tempo. Quest’ultimo, invece, postula che l’esperimento americano sia stato costruito sui pilastri del male, sull’iniquità e il sopruso, e che questi siano l’essenza, non il portato incidentale, dell’intero progetto. Alle origini dell’America non c’è un genio ma un demone, anzi un demonio, per togliere al termine l’ambiguità del daimon, che in greco non è né buono né cattivo. Una delle più compiute rappresentazioni giornalistiche e saggistiche di questa visione è il “1619 Project” del New York Times, ambizioso progetto editoriale diventato strumento educativo in diverse scuole americane, che retrodata la “vera” fondazione degli Stati Uniti all’infame anno in cui la prima nave carica di schiavi è approdata sulle coste della Virginia, allora colonia inglese. “Gli ideali fondanti della nostra democrazia erano falsi quando sono stati scritti”, è l’esordio del saggio di Nikole Hannah-Jones, vincitrice del Pulitzer, che articola la necessità di correggere le storture e gli errori fondativi su cui è stato innalzato l’edificio americano, e che i Padri fondatori hanno poi cristallizzato in un sistema fatto di valori a parole nobili, ma tragicamente traditi nei fatti già ab origine. La rinnovata foga con cui oggi i manifestanti si accaniscono sui simboli dell’oppressione razziale, programmaticamente trascurando il contesto storico in cui sono emersi e si sono affermati, sembra testimoniare il prevalere di questa ipotesi interpretativa. L’America non è nata da un’intuizione illuminata che si è mischiata, e financo sporcata, con le inevitabili contraddizioni e ipocrisie della realtà, ma da un peccato originale che va confessato ed espiato, per usare una terminologia religiosa estranea alla formazione radicale di Teodori.

 

 

L’autore scrive che il genio americano sono i “fondamenti della democrazia liberale che hanno reso gli Stati Uniti un unicum nel mondo contemporaneo”, e il motivo dell’unicità risiede essenzialmente nell’assenza di un vissuto premoderno sul quale disegnare una nuova civiltà, la possibilità meravigliosa e vertiginosa di progettare una nazione per quanto possibile sgravata dai fardelli del passato, cosa che ha fatto dire a Thomas Paine una frase rimasta celebre: “Abbiamo il potere di ricominciare il mondo daccapo”. Il genio americano di cui scrive Teodori si esprime dunque nel trasferimento diretto dell’immaginario liberale in una realtà istituzionale che emerge nella storia non come riformulazione o compromesso, ma come progetto.

 

L’America è “l’articolazione nazionale di Locke”, diceva il grande politologo Louis Hartz, e da quel nucleo lockeano originario “si è snodato un filo rosso che ha inanellato nuove garanzie individuali conquistate in nome dei principi sottoscritti dai Costituenti duecentotrenta anni or sono e rimasti a lungo disattesi”, scrive Teodori. L’idea, dunque, è che il corretto svolgersi delle premesse del genio americano nella storia è anche il rimedio alle pagine disonorevoli, la cura di mali storici che l’autore non cospira certo a tacere. Con vocabolario puntualissimo e appoggiandosi su una poderosa impalcatura di letture, costruite nel corso di una lunga carriera, Teodori spiega che l’ideale regolativo dell’America è antitotalitario, tende all’uguaglianza, contiene in potenza gli elementi per il riscatto dalle proprie colpe ed è dotato dell’energia (termine decisivo per la genesi della nazione) necessaria per risolvere le contraddizioni interne e auto-riformarsi, per dir così. Il genio, tuttavia, è incappato in un suo potenziale distruttore: Donald Trump. Perché questo, è evidente fin dal titolo, è un libro su Trump e sulle necessità della sua sconfitta elettorale e dannazione storica per evitare un danno irreparabile. La sua elezione si può leggere, come fa Teodori, come anomalia e cortocircuito, impazzimento passeggero, ma un’eventuale rielezione testimonierebbe che il malanno ha un tratto cronico, forse addirittura incurabile. Fra l’elezione e la rielezione c’è la differenza fra l’errare il perseverare, questione non da poco che Teodori ha l’abilità di analizzare coniugando freddezza dello storico e il calore dell’uomo politico. Sullo sfondo delle attuali circostanze il saggio assume però un significato anche più profondo della dialettica fra trumpismo e antitrumpismo. L’omicidio di George Floyd a Minneapolis e i tumulti di queste settimane hanno rinfocolato il dibattito intorno alla natura stessa del genio americano, riproponendo un’alternativa radicale: se cioè all’origine del progetto americano ci sia un genio liberale che va continuamente riscoperto e rinnovato, oppure un idolo demoniaco da smantellare, assieme a tutti i suoi simboli.

 

Vai all'Archivio