Felice Besostri commenta l’articolo di Luca Beltrami Gadola, direttore di Arcipelago Milano, del 3 novembre 2020 “IL CROLLO DELLA CITTA’ METROPOLITANA”

04 novembre 2020

Felice Besostri commenta l’articolo di Luca Beltrami Gadola, direttore di Arcipelago Milano, del 3 novembre 2020 “IL CROLLO DELLA CITTA’ METROPOLITANA”

Concordo con le analisi di Beltrami Gadola e  con le proposte  di Santagostino. Nella situazione attuale l'approvazione della deforma Renzi-Boschi non sarebbe stato un passo in avanti, perché si toglievano le province, ma ci si dimentica che  le Città Metropolitane sono  già in costituzione e precisamente nell'art. 114 Cost., nominate,  al pari di Comuni,  Province, Regioni e Stato, come parti costitutive della Repubblica. quindi si poteva mettere mano alla loro riforma senza attendere la riforma delle Province.

Soprattutto c'era una cosa che si poteva fare subito: l'elezione diretta degli organi della Città metropolitana. Il vero difetto sta nella coincidenza del Sindaco di Milano e del Sindaco Metropolitano nella stessa persona, che però è eletta dai soli cittadini milanesi e che risponde al solo consiglio comunale di Milano. L'art. 22 della legge n. 56/2014 è una mostruosità giuridica per giungere ad una elezione diretta generalizzata. Per fortuna c'è una norma speciale applicabile a Milano " In alternativa a quanto previsto dai periodi precedenti, per le sole città metropolitane con popolazione superiore a tre milioni di abitanti [ nota:solo Milano e Napoli superavano la soglia] è condizione necessaria, affinché si possa far luogo ad elezione del sindaco e del consiglio metropolitano a suffragio universale, che lo statuto della città metropolitana preveda la costituzione di zone omogenee, ai sensi del comma 11, lettera c), e che il comune capoluogo abbia realizzato la ripartizione del proprio territorio in zone dotate di autonomia amministrativa, in coerenza con lo statuto della città metropolitana."  (art. 22 ult. periodi l. cit.). Certamente ci vuol sempre la legge elettorale nazionale, ma se c'era una volontà politica si poteva almeno dare inizio al procedimento. Nella XIII legislatura fu presentato il ddl per norme speciali per la Città metropolitana di Milano da me redatto, che fu ripresentato da senatori milanesi nella XIV legislatura. Tuttavia, se l'elezione diretta non la vogliono né il Comune di Milano, né la Regione Lombardia, non si poteva fare, perché un sindaco metropolitano eletto direttamente in rappresentanza dei 3.038.420 abitanti metropolitani (censimento 2011) , metterebbe in ombra il sindaco di Palazzo Marino, ma anche il Presidente della Regione Lombardia. Questa è la situazione, imputare al solo sindaco di Milano, prima Pisapia e poi Sala la responsabilità è sbagliato. Ci sono le forze politiche  metropolitane, regionali e nazionali  che li hanno espressi e che costituivano la maggioranza di governo dal 2014 ad oggi, salvo il periodo dal  1º giugno 2018 al 5 settembre 2019, per un totale di 461 giorni, ossia 1 anno, 3 mesi e 4 giorni su 5 anni interi (2015-2019), 18 mesi ( 8 del 2014 e 10 del 2020) e 26 giorni dalla sua entrata in vigore al 4 novembre 2020. Possiamo anche pensare all'indifferenza dell'opinione pubblica metropolitana e dei mezzi di informazione che dovrebbero rappresentarla. Un pensiero va dedicato anche  alla magistratura milanese, la stessa per la quale il Porcellum e l'Italicum erano leggi perfettamente costituzionali ( fatto smentito da due sentenze della Corte Costituzionale, la n. 1/2014 e la n. 35/2017, che ha respinto i ricorsi che eccepivano la legittimità delle elezioni dela Città Metropolitana e della contrarietà della n. 56/2014 ai principi del voto universale e diretto, elementi essenziali della repubblica democratica, come definito dall'art. 1 della Costituzione e di cui le Città Metropolitane sono parte costitutiva, l'unica i cui organi rappresentativi non siano eletti ai sensi dell'art. 48 Cost..

In compenso questo Parlamento, eletto con una legge che spero sia dichiarata incostituzionale prima che regoli la prossima elezione del Parlamento, ha equiparato le province autonome di Trento e Bolzano alle Regioni per il Senato: un privilegio ad enti, che non sono parti costitutive della Repubblica, a differenza delle Città metropolitane.

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