Documento SOCIALISMO o BARBARIE

03 dicembre 2018

Documento SOCIALISMO o BARBARIE

Care compagne e cari compagni,
vi inviamo questo documento con l’obiettivo di coinvolgere, nelle forme che saranno possibili, tutti coloro che  credono nella necessità di dar vita ad una "cosa  socialista", la cui natura, scopo e dimensione dipenderà dal processo e dalle azioni che ciascuno di noi saprà costruire. Non stiamo proponendo la ricostruzione di un altro partito di socialisti, né ci interessa un dibattito mirato ad approvare, contestare o modificare un testo. L'idea-base del documento è che il socialismo, nella sua dimensione concreta, non "appartiene" a nessuno; ma che ciascuno di noi si sente socialista come dovere politico e morale.
Vi inviamo questo documento non per chiedervi di firmare un testo ma di aderire ad un “appello” nel senso più ampio e forte del termine, per un nuovo corso socialista, cogliendone l’esigenza più profonda.
Fraternamente
Luciano Belli Paci, Alberto Benzoni, Roberto Biscardini, Paolo Borioni, Rosa Fioravante, Jacopo Perazzoli, Giovanni Scirocco, Francesco Somaini

SOCIALISMO O BARBARIE
Per un nuovo corso socialista.
Dal documento di Bad Godesberg,  che fu alla base delle migliori esperienze del socialismo europeo, si legge quanto segue: “Nello Stato democratico ogni potere deve sottostare al controllo pubblico. Gli interessi della collettività devono avere priorità sugli interessi del singolo. Nell’economia dominata dalla sete di profitto sono in pericolo la democrazia, la sicurezza sociale e la libertà personale. Per questo il socialismo democratico auspica un nuovo ordinamento sociale ed economico.”

Queste parole dicono qualcosa di essenziale per il socialismo di sempre: per quanto si ricerchi una via innovativa e non dottrinaria, chi crede nel socialismo autentico è e deve rimanere consapevole di almeno due questioni fondamentali: 1) senza intervento pubblico democratico il capitalismo prevale e distorce tutte le sfere della vita, pubblica come privata; 2) quando ciò accade il “profitto” mette in pericolo la democrazia.

Quindi ciò che vediamo accadere in Europa e altrove, risponde al sempre valido principio: “socialismo o barbarie”.

Molti sistemi politici e sociali sono preda della mercificazione crescente da un lato e del nazionalpopulismo dall’altro: è un degrado profondo, che va dalla instabilità anche di sistemi fino a ieri affidabilissimi (Germania e Svezia fra gli ultimi) al decadimento del linguaggio, della tolleranza e della qualità democratica.

Un importante dirigente della socialdemocrazia nordica diceva anni addietro parole che spiegano tutto questo: “se le persone smettono di avere fiducia nella eguaglianza, smettono di combattere per essa, e pensano solo a difendersi dagli effetti della diseguaglianza”.

Questo spiega la migrazione dei voti operai e della classe media dai partiti tradizionali alla nuova destra. I partiti nazional-populisti, oggi come un tempo, sono “imprenditori politici” di questa difesa (e della protesta che suscita) nella assenza di una forte offerta socialista. Di ciò sono colpevoli in buona parte i socialisti stessi e il PSE, che devono ritornare al proprio ruolo storico, di forza essenziale per la costruzione e il mantenimento di democrazie avanzate ed inclusive.

Di fronte all’aumento, a livello mondiale, di ingiustizie, diseguaglianze, guerre e povertà, bisogna essere consapevoli che solo il Socialismo rappresenta una risposta di segno opposto, e mai come oggi è una necessità dei popoli.

Ovviamente tutto ruota intorno al modello economico e sociale.

Se il nazionalpopulismo avanza anche in Baviera, la regione più ricca della Germania, ovvero lo Stato che maggiormente beneficia di questa Unione Europea, ciò significa che le dottrine economiche e le ideologie dominanti di questo capitalismo europeo sono ormai insostenibili.

Le diseguaglianze, la cui esistenza spiega la necessità stessa del socialismo, sono il portato diretto del corso economico attuale. Se l’unica fonte di crescita è l’esportazione verso altri Stati sottoposti a parametri restrittivi, ciò significa criminalizzare la domanda interna e quindi non ridistribuire i pure altissimi profitti di questa crescita: ma meno domanda interna e minore ridistribuzione dei profitti significa meno salario, meno stato sociale, meno scuole pubbliche e sanità. Non solo perché i capitali migrano (globalizzazione finanziaria), ma anche perché le scelte su come indirizzare quel motore di crescita che è la domanda interna sono l’essenza della democrazia stessa, che vive della differenziazione delle proposte su come usare le risorse e a beneficio ci cosa.

Sia chiaro: il Socialismo ha sempre anche riformato il capitalismo spingendolo alla innovazione ed al sapere e per decenni gli ha sempre meno consentito di fare profitti con lo sfruttamento delle persone.

Quindi il Socialismo ha agito sempre su due motori di crescita: da un lato la capacità competitiva “buona”, quella del sapere, che rendeva le società capaci di esportare, dall’altro la domanda interna (welfare e migliori salari), che aumentava globalmente la domanda disponibile ad assorbire le esportazioni altrui.

La via alla competizione va quindi indirizzata alla qualità sociale del reddito, al suo impiego sociale tramite anche esperimenti di autogestione e/o di partecipazione agli utili e alla gestione delle imprese, favorendo così non solo lo sviluppo della libertà di (di intraprendere, di muoversi non solo fisicamente, di disporre liberamente della propria esistenza), ma anche la libertà da (dal bisogno, dall’ignoranza ecc.), per quella “società diversamente ricca” tanto cara alla storia del socialismo italiano.

Ecco l’Europa dell’equilibrio sociale e internazionale, capace di combattere la barbarie.

Del resto un’Unione europea basata su questi tipi di capitalismo regressivo non potrà tenere. Lottare per cambiare questo capitalismo europeo è utile per l’immediato, ma anche perché di un’integrazione fra Stati a democrazia sovrana ci sarà sempre bisogno, anche se andasse in pezzi l’attuale Unione Europea. Impegnarsi, dunque, servirà comunque ad affermare che può reggere solo una integrazione dei diritti sociali, in cui la competizione non sarà sfruttamento e il commercio internazionale aperto sarà trainato da salari, investimenti e welfare di qualità. Invece, purtroppo, oggi il metodo di competizione tende ad abbassare le tutele di ampie fasce popolari, e quindi i costi del proprio sistema produttivo per spiazzare gli altri. Chi crede in una interdipendenza virtuosa, socialista e democratica (europea e non solo) deve sapere che alla lunga non può tenere un’Unione come l’attuale.

Il Socialismo per buona parte del ‘900 ha fatto la differenza fra la barbarie e la civiltà: la competizione era a vantaggio di tutti gli Stati, mentre, all’interno degli Stati, questo creava una crescita della inclusione ampia, una mobilità spesso impegnativa ma gratificante e ascendente, laddove oggi si offrono solo una flessibilità alienante e maggiore sfruttamento.

Infine, si creava una Europa della interdipendenza, fra la sovranità democratica degli Stati (che non è nazionalismo) e la comunità integrata dell’Europa (che non è guerra agli Stati mediante la guerra ai diritti sociali alle decisioni delle democrazie).

Da questo quadro di riferimento, l’alternativa alla barbarie è il socialismo democratico, cioè un movimento che, pur accettando l’economia di mercato come contesto entro cui curare gli interessi di larghi settori della popolazione, ha comunque come fine ultimo un orizzonte di eguaglianza e di libertà.

Del socialismo c’è dunque bisogno, è una necessità per garantire più giustizia economica e sociale, per ridare dignità al lavoro e alle persone, per combattere lo sfruttamento, per difendere l’ambiente e contenere le politiche liberiste di questo capitalismo.

Ma l’antidoto al degrado nazionale può avere risposte efficaci solo se affrontato a livello internazionale attraverso politiche comuni a tutte le forze che si richiamano al socialismo.  La dimensione dello Stato nazionale è in larga misura inadeguata ad affrontare i grandi problemi del nostro tempo (l’ambiente, i mutamenti climatici, le grandi diseguaglianze, lo strapotere della finanza globale ecc.), ma proprio per questo motivo questa Europa deve essere radicalmente riformata.

Il socialismo non può stare dalla parte di questo capitalismo e non può stare quindi dalla parte di questa Europa.

Si è europeisti solo se con la forza del socialismo si ha il coraggio di cambiare profondamente questa Europa senza bisogno di uscirne.

Ciò significa credere nell’Europa che volevano i nostri padri, spazio di libertà e di civiltà, realmente federale, pacifica, aperta, disponibile a costruire rapporti equi con i propri vicini verso est e nel Mediterraneo. Essere autenticamente europeisti significa essere contro tutti coloro che, in nome dell’unità europea, la stanno distruggendo sull’altare della austerità e della difesa dei confini.

Ma quali sono le condizioni per rilanciare una politica socialista in Italia e in Europa?

Riunendo tutti coloro che  si riconoscono a livello nazionale e locale nei valori socialisti – così declinati. Costruendo la prospettive di un socialismo largo, che cammini sulle gambe dei giovani. Unendo attraverso un patto federativo (come alle origini del socialismo italiano) associazioni e formazioni politiche, in rapporti stretto con i corpi sociali, con i sindacati, con il mondo del lavoro, della cultura e della conoscenza Per ricostruire una comunità che si impegna a promuovere una politica socialista coerente a questi principi.

 

 

Vai all'Archivio