COVIT-19, A LUNGO NON SI REGGE di Roberto Biscardini da Jobsnews del 4 aprile 2020

04 aprile 2020

COVIT-19, A LUNGO NON SI REGGE di Roberto Biscardini da Jobsnews del 4 aprile 2020

L’emergenza sanitaria obbliga a concentrare l’attenzione sulla salute, sulla capacità di funzionamento dei diversi sistemi sanitari. Ci chiede di rispettare le direttive dei governi e dei medici, ma sappiamo che non basta.

Cresce nell’opinione pubblica la consapevolezza che in gioco ci sono almeno due altre grandi questioni. La prima riguarda il nostro futuro lontano, cosa possiamo già fare oggi affinché si possa uscire nella direzione migliore.

La seconda riguarda il nostro domani a breve, nella consapevolezza che qualcosa bisogna fare subito sul terreno della ripresa economica.

Sulla prima, di fronte all’ipotesi di una pericolosa involuzione democratica a livello internazionale e nei singoli Stati, la medicina alternativa non può che essere  la riscoperta delle regole fondamentali della democrazia liberale, rafforzata da un ruolo partecipato e dal basso di istituzioni locali, comuni, forze politiche assolutamente nuove e cittadini. Il ruolo dei cittadini attivi, che con il coronavirus sembrano aver riscoperto il valore della solidarietà locale e internazionale. Sembrano aver riscoperto la voglia di fare, di partecipare, di esserci ed anche di far valere le proprie profonde convinzioni ideali sul terreno della giustizia sociale prima di ogni altra cosa. Per la difesa della sanità pubblica per tutti, per la qualità dell’istruzione, per la difesa delle fasce più deboli, gli anziani in particolare. C‘è voglia cambiamento, partendo dalla necessità di fare cose concrete..

E poi si vuole capire in che direzione andrà lo scontro tra poteri. che il dopo coronavirus obbligherà a  rimettere in  ridiscussione a tutti livelli. I poteri dei governi, i poteri dei parlamenti, i poteri di controllo democratico delle popolazioni, i poteri dentro un modello cooperativo multilaterale tra Stati in alternativa alla sola contrapposizione di blocchi di interesse mondiali. Il potere della finanza. Il poteri degli Stati nella Unione europea, e quale Europa.

Così come c’è voglia di mettere in discussione i vecchi modelli di vita. Consumismo e mercato. Quel mercato, che da almeno vent’anni ha sopraffatto lo Stato, esce oggi massacrato, mentre la gente chiede più Stato. Perché ha toccato con mano che senza Stato non ci può essere  sviluppo economico, né sicurezza sociale, né libertà, né uguaglianza. Uno straordinario passo avanti, dopo anni in cui l’ideologia prevalente, e spesso silenziosamente condivisa, è stata liberismo e mercatismo.

Ma sul secondo fronte, il punto centrale è come riavviare a breve il ciclo virtuoso delle nostre attività economiche.  Perché a lungo così non si regge. Stare tutti in casa non basta. Un equilibrio tra emergenza sanitaria ed emergenza economica va trovato e al più presto. Avviando, al di là dei provvedimenti di sostegno alle imprese e alle famiglie già definiti dal governo, una programmazione attendibile per il ritorno al lavoro. Definendo i modi concreti per farlo, nelle forme che la tutela della salute consiglierà di fare.

Bisogna farlo, per una ragione molto semplice. L’emergenza sanitaria è una 'bomba' sociale per quel pezzo d'Italia che già faticava ad arrivare alla fine mese, ma anche per chi stava un po’ meglio e non vede più un futuro. Imprese e soprattutto le più piccole, artigiani, commercianti, liberi professionisti, che hanno perso la liquidità, gli ordini e il lavoro, ma anche per i singoli lavoratori, quelli in cassa integrazione e ancora di più per quelli che erano senza tutele. Rifar partire l’economia significa dare spazio al lavoro evitando una crisi occupazionale senza precedenti. Significa evitare l’allargarsi di aree di povertà, degrado e criminalità. Evitando una crisi sociale che potrebbe produrre più morti per fame di quanti non ne abbia fatti il coronavirus.

Ed è sbagliato lasciare solo alla Confindustria e alle associazione di categoria la richiesta affinché l’economia reale, le nostre manifatture, le nostre attività possano ripartire. Perché è un problema di tutti fare in modo che il blocco delle attività economiche termini al più presto. Perché se non ritorna presto il lavoro, se la crisi economica non si arresta, non reggeremo all’aumento della povertà. Bisogna farlo per non consentire che il coronavirus allarghi le diseguaglianze. E non è una sacrilegio ricordare che fare i conti con l’economia reale vuol dire fare i conti con il PIL, che rischia di calare in Italia del 5%.

Non è un sacrilegio ricordare che l’Italia è il Paese che ha la percentuale di poveri più alta d’Europa. Che ci sono 5 milioni di cittadini in condizioni di povertà assoluta e tra questi 1,3 milioni sono minori. Che ci sono 10,5 milioni che hanno difficoltà a fare un pasto proteico ogni due giorni, riscaldare la propria abitazione o pagare regolarmente l’affitto. Non è un sacrilegio ricordare che il 10% della popolazione del sud è povera. Tutti dati destinati a peggiorare, se non a raddoppiare, se non si creano le condizioni della ricostruzione senza aspettare la fine del coronavirus.

Se la pandemia la cura la scienza, l’economia la devono curare gli Stati e i loro governi. Quindi anche il nostro e subito.

 

 

 

 

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