ANDARE AVANTI di Roberto Biscardini

08 ottobre 2021

ANDARE AVANTI di Roberto Biscardini

Milano a pochi giorni dal voto. Se  mi fosse posta la domanda. Lo rifaresti? La risposta sarebbe netta, senza incertezze: “certamente sì, rifarei tutto”.
Per molte ragioni. Perché il bisogno di una proposta politica e di governo socialista, è questione non solo nazionale, ma anche milanese.
Perché il primo passo per rendere credibile una proposta di programma come questa, richiedeva  di  avviare concretamente e per la prima volta un processo di riunione di tutti coloro che si riconoscono oggi nella cultura socialista, su una posizione fortemente autonoma.
Terzo, perché se da un lato era necessario definire una proposta politica, liberandoci dall’idea che i socialisti fossero tutti a destra, dall’altro dovevamo con chiarezza marcare la distanza  da un centrosinistra che a Milano con la cultura socialista e della sinistra non ha nulla a che fare.
Anzi sostanzialmente di destra anche loro, nei contenuti, classisti nella sostanza, ben disponibili  a privilegiare di continuo i cittadini più abbienti, il capitale finanziario e immobiliare, espressione di quegli stessi interessi, nel totale disinteresse verso coloro che hanno più bisogno. Marcando più diseguaglianze che uguaglianze.
Chiusi nelle aree più centrali della città, lontano dalle periferie e dalle relazioni con il resto della grande area urbana, considerata ormai come il terreno degli “altri”, e persino dei più “poveri”, quelli che non  merito molte attenzioni. I pendolari che danno fastidio.
Un centrosinistra  a guida “bonapartista” nel metodo (come è stato giustamente fatto notare).
Ed è finita così: chi non voleva votare Sala  si è astenuto. E nel vuoto della politica, in un clima dove il sindaco uscente avrebbe comunque vinto (se non al primo al secondo turno)  e in un clima del “tanto con cambia niente “, che è comunque diverso dal “tanto sono tutti uguali”, per la prima volta nella storia della seconda repubblica milanese il sindaco è eletto al primo turno con un consenso del 57% dei votanti, ma pari al 26% degli elettori.
Situazione delicata e rischiosa.
Un sindaco dato per vincente cannibalizza tutto, e il maggior partito di riferimento, il Pd, cannibalizza la sua coalizione. Su tredici candidati sindaci, solo due entrano in consiglio.
In questa situazione, noi non potevamo disertare. Quindi passo dopo passo abbiamo costruito una proposta che è stata percepita non come la riproposizione nostalgica dei “vecchi socialisti”. Abbiamo individuato un candidato sindaco, Giorgio Goggi, al quale sono state riconosciute serietà, competenza e fermezza politica. Abbiamo dimostrato che le idee ci sono e le proposte di governo dei socialisti anche. I residui antisocialisti ci sono stati, ma più nella grande la stampa che tra i cittadini. Certo il silenziatore dei grandi giornali ha pesato.
Detto questo, non solo dovremmo rifare tutto ciò che abbiamo fatto, ma possiamo porci l’obiettivo di come dare immediata continuità di proposta a livello milanese e regionale. Contando sull’entusiasmo e sull’impegno dei candidati. Tutti alla prima prova. Espressione più della società e della cultura socialista, che di un partito. Con l’obiettivo di continuare, facendo fuori dal consiglio comunale ciò che  avremmo fatto se eletti, e guardando alle prossime scadenze. Perché, nonostante i soliti detrattori, il risultato certamente modesto non è l’ultimo anello delle sconfitte che i socialisti hanno conosciuto da tangentopoli ad oggi, ma il segno positivo di un nuovo inizio.  Non è il risultato di un operazione autoreferenziale, ma l’esatto contrario. E’ stata la prima vera occasione che abbiamo avuto di parlare alla città con la nostra voce. Senza intermediari. Avendo fatto della campagna elettorale non un uso interno verso la nostra comunità, ma un uso esterno verso la città e i cittadini, abbiamo anticipato i tempi. La Milano di  tutti e per tutti.
Coscienti che i nodi verranno al pettine, anche a Milano, e il bisogno di una forza socialdemocratica vera si farà sentire e sarà imposta dalle cose e dai conflitti. E ai più deboli non basterà l’astensione.

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