AI COMPAGNI SOCIALISTI di Alberto Benzoni

10 gennaio 2019

AI COMPAGNI SOCIALISTI di Alberto Benzoni

Avete risposto in centinaia e centinaia al mio post sul congresso di Milano del 1989 e sul disegno internazionale di Bettino Craxi. Mi avete commosso e vi ringrazio. Non solo per l’apprezzamento. Ma anche perché, nella vostra reazione così grande e così intensa vedo non solo la rivendicazione del nostro passato e delle nostre benemerenze storiche- in polemica contro la “damnatio memoriae”di cui siamo stati e siamo tuttora le vittime - ma qualcosa di più. Qualcosa che riguarda il nostro presente; e le nostre prospettive future.

Era la reazione che attendevo. Perché vivo, assieme a voi, la tensione drammatica e potenzialmente autodistruttiva tra la nostra condizione di divisione e di paralisi e la volontà di ripartire, mai così forte mai così diffusa ma che non ha ancora trovato la via per rompere il muro di silenzio e di incomunicabilità che ci separa, all’interno del nostro piccolo mondo e rispetto al mondo esterno.

So bene che nessuno di noi ha la ricetta per  abbattere questo  muro.  Che ciascuno di noi ha contribuito a costruire pietra dopo pietra con i nostri personalismi, i nostri riti propiziatori, le nostre attese subalterne nei confronti di vendicatori/protettori, i nostri fallimenti e i nostri rancori. Fenomeni e comportamenti che non hanno niente a che fare con inferiorità individuali o collettive; ma con il fatto che vivere divisi in uno spazio chiuso è, di per sé, foriero di disastri. E so anche bene che, a venirci in soccorso, non c’è nessuno che possa alzare una bandiera e dire “seguitemi”; e nessun Evento o Iniziativa sembra suscettibile di segnalare in modo credibile la nostra esistenza.

Cosa rimane allora ? Rimane qualcosa che è al di sopra di noi. Che non è patrimonio di nessuno ma obbligo politico e morale per tutti. Che non si può chiudere in una logica e in confini puramente nazionali perché o è, sin dall’inizio, internazionalista o non è ( questo è, tra l’altro, il messaggio che ci hanno lasciato i nostri grandi del passato da Jaurès a Turati, da Nenni, Lombardi e Craxi sino a Brandt e Palme). E che non ha bisogno di invocazioni rituali ma di azioni solidali per essere riportato alla luce.

Sto parlando del socialismo democratico. E del grande sogno del 1989: la riunificazione dell’Europa sotto il segno del socialismo, della libertà e della pace; l’unità della sinistra sotto le sue bandiere; un nuovo ordine mondiale basato sulla riconciliazione tra Est e Ovest e su nuovi rapporti tra nord e Sud del mondo.

Nel 1989 la realizzazione di questo sogno appariva ed era a portata di mano. E fu solo una concatenazione di eventi, in parte imprevisti, assieme alla cecità dei protagonisti, a far sì che la caduta del muro venisse percepita come la vittoria, addirittura finale degli Stati uniti, dell’Occidente, della Germania e dell’ordoliberismo.

Quello che è accaduto dopo è noto. E’ accaduto che il sogno dei vincitori – che era poi anche il nostro- di un nuovo ordine mondiale all’insegna dei valori ( e degli interessi…) dell’Occidente si è trasformato in incubo. Un incubo con i connotati della barbarie: disuguaglianze, guerre di tutti contro tutti e condotta con ogni mezzo; ricerca costante del nemico come responsabile di ogni male, prevalenza della forza sul dialogo, assenza di regole e di concertazione nella soluzione dei conflitti, disgregazione della società e della stessa possibilità di governarla. Ed è accaduto anche che in questo nuovo mondo il socialismo democratico stia lentamente scomparendo dalla scena; per una serie di fattori oggettivi ma anche per responsabilità proprie.

E allora, le prossime elezioni europee possono essere, alternativamente, o un punto di non ritorno o l’inizio della nostra ripresa. Ad imporci questa scelta saranno gli altri: quelli che ritengono che nell’Europa così com’è non ci sia né spazio né futuro per l’antagonista socialista e che ci richiamano alla difesa dell’Europa  senza se e senza ma. Obbedire a questo richiamo vorrebbe dire rinunciare per sempre alla nostra identità; mentre dire no ha un senso solo nell’intento di ricostruirla su nuove basi e in una nuova dimensione europea. Sarebbe il ritorno dei sogni di allora. Una scommessa piena di rischi. Ma anche l’unica a nostra disposizione; l’unica con un forte valore unificante.

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