A PROPOSITO DI CORBYN di Alberto Benzoni

11 dicembre 2017

A PROPOSITO DI CORBYN di Alberto Benzoni

Zapatero, Tsipras e poi, Marx ci perdoni, persino Hollande: tre personaggi di cui ammirato i successi; anche nella più o meno esplicita convinzione che, come dire, la strategia politica che li aveva determinati potesse essere riproposta con successo nel nostro paese.
Zapatero era la nuova frontiera della sinistra: non più attenzione all'economia e al conflitto di classe, sostituiti dalla modernizzazione della società e dai diritti civili.
Tsipras era il riscatto della sinistra nel confronto con Bruxelles, la Germania e i loro diktat.
Hollande, infine, era il vincere facile: "pas d'ennemis à gauche" ma, nel contempo, il minimo di impegni concreti: il modello cui si è, un anno dopo, ispirato lo sventurato Bersani.
Tre modelli e tre fallimenti: Zapatero travolto dalla crisi dell'immobiliare e dei relativi mutui, Tsipras rimasto solo, prima e dopo la resa del 2014, a subire i diktat europei e tedeschi, in attesa di un accordo sul debito più lontano che mai.
Hollande e con lui il partito socialista elettoralmente più forte d'Europa (al punto di controllare tutte, dico tutte, le istituzioni rappresentative francesi) sembrano alla vigilia della scomparsa.
Rimangono alllora sula scena, Corbyn e Sanders. Due personaggi che più "vecchi"(anche dal punto di vista anagrafico) non si può. Due personaggi operanti in paesi che dell'affermazione del sistema capitalistico erano il simbolo. Ma anche, ohibò, due personaggi leader, contro ogni logica, ogni analisi e ogni previsione, di schieramenti politici e sociali a vocazione maggioritaria.
Stupisce, allora, anzi non stupisce affatto che questi due personaggi siano ammirati ma assai poco studiati, almeno in Italia. E non stupisce affatto perché, alla base dei loro successi, presenti e futuri ci sono dei comportamenti politici e delle situazioni socioeconomiche e istituzionali molto diversi da quelli esistenti nel nostro paese.
Così Corbyn (di lui e del suo paese stiamo parlando qui) è uno che da quarant'anni a questa parte, ha sempre detto le stesse cose. Il che lo rende un leader credibile; un requisito che manca alla quasi totalità dei leader della sinistra italiana.
Ancora, Corbyn, fermo e coerente nelle sue convinzioni socialiste, non si è mai sognato di abbandonare il suo partito, magari per fondare un partitino di sinistra gioioso della sua purezza e della sua diversità e, naturalmente, minoritario per vocazione. Non che il Labour non sia stato vittima di scissioni anche consistenti, ma queste scissioni, dagli anni venti agli anni settanta e ottanta sono sempre avvenute a destra. E da parte di gruppi che del Labour non sopportavano, ebbene sì, i connotati di classe, insomma lo stretto legame con gli umori, le idiosincrasie della classe operaia, quella vera, incarnata dai personaggi dei film di Ken Loach; e non quella costruita a freddo dagli strateghi della sinistra nostrana e, successivamente, completamente persa di vista.
Ora, un partito di classe, quale è sempre rimasto il Labour era, proprio per questo, contendibile. Mentre non lo sono, da noi, né i partiti personali né quelli legati ad esigenze di potere e a vocazione minoritaria.
Il Nostro non si è presentato per concorrere alla leadership mosso da un suo preciso disegno. E' stato presentato perché mancava un concorrente della sua area nella competizione per la leadership, dopo le dimissioni di Milband in conseguenza della sconfitta del 2015.
Dopo di che la sua vittoria è stato il frutto di una miracolosa congiunzione tra offerta e domanda politica (diciamo una fusione a caldo). Da una parte un signore con quella sua faccia, ripeteva la narrazione classica del socialismo inglese; dall'altra una platea, interna ed esterna al partito che sentiva questa narrazione come propria; perché vissuta a partire dalla propria dalla sua storia personale e collettiva.
Nulla di estremista e men che meno di radical chic in tutto questo. Ad irrompere sulla scena non sono stati soltanto i sindacati traumatizzati dal thatcherismo duro degli anni ottanta ma anche delusi da quello dal volto umano dell'esperienza blairiana. Ad essi si è aggiunta una classe media proletarizzata: quella che non è riuscita a salire sul carro delle privatizzazioni e della finanziarizzazione dell'economia; mentre risente sempre più dei disagi dell'ordo liberismo, come affittuari di case, come disoccupati e precari, come abitanti nelle zone abbandonate del paese.
Infine un ultimo e decisivo aspetto: quello della rivendicazione della democrazia: siamo passati nel giro di poco più di due anni non solo dal 30% al 40% dei voti, ma sono triplicati anche gli iscritti. Tutti ansiosi di decidere, di contare ma anche di discutere e di cercare nuove vie; mentre, a fare resistenza è rimasto il vecchio ceto politico-parlamentare.
Una storia esemplare. Favorita dal fatto, occorre dirlo, dal fatto che dopo il referendum indetto dai conservatori, la questione sovranista è opportunamente scomparsa dalla scena... Distruggendo, nel suo percorso non i laburisti che avevano avuto in materia un atteggiamento molto equilibrato e internazionalista ma i conservatori.
Una bella storia. Almeno nel senso che conferma l'attualità della narrazione socialista. Per il resto, che ognuno la esamini traendone le conseguenze che crede.

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