UNIVERSITA', CI PENSA IL MERCATO? di Antonio Banfi dal Rifromista del 15 dicembre 2011

18 gennaio 2012

UNIVERSITA', CI PENSA IL MERCATO? di Antonio Banfi dal Rifromista del 15 dicembre 2011

Qualche tempo fa la Commissione UE rispondendo a un’ormai famosa lettera, ha chiesto al precedente governo delucidazioni circa gli strumenti da adottare per favorire la competizione nel sistema universitario. Niente da dire, una sana competizione per primeggiare è cosa lodevole. Non è detto però che al di fuori della cucina ricette semplici producano buone pietanze. Il linguaggio dominante intravede nella concorrenza il farmaco di molti mali: ciò induce a qualche riflessione sulle implicazioni pratiche dell’uso di simili concetti al di fuori del loro ambito naturale di applicazione. La rappresentazione canonica della concorrenza, prevede che la competizione fra attori nel mercato produca, in assenza di distorsioni, benefici per il produttore così come per il consumatore. Con l’applicazione, soprattutto a partire dagli anni ’80, di linguaggi e paradigmi interpretativi della realtà di concezione liberista anche al di fuori dell’ambito strettamente economico, lo stimolo alla concorrenza si è venuto costituendo come una sorta di panacea di tutti i mali. Per quanto riguarda l’Università, già da anni si tende a interpretare il rapporto fra studenti e atenei alla stregua di un qualsiasi rapporto fra domanda e offerta: la concorrenza fra atenei stimolerà i migliori studenti a scegliere l’offerta formativa più adeguata (che si rivelerà in futuro la più remunerativa) premiando così gli atenei più virtuosi. Di qui l’ampio dibattito intorno alle tasse universitarie e al valore legale del titolo di studio. Anche se il ragionamento sembra filare, è necessario qualche caveat: tutto funziona solo se i “consumatori” sono davvero in grado di operare correttamente le loro scelte. Si deve tenere presente che è interesse nazionale che l’intera popolazione possa godere di un innalzamento dei propri livelli di formazione: l’idea che il mercato provvederà a distinguere atenei migliori e peggiori non è detto che possa funzionare in assenza di un’informazione adeguata fornita al “consumatore”. Anzi, in questo caso con ogni probabilità ci troveremmo davanti a una situazione di asimmetria informativa, specie per i livelli meno elevati di formazione: di qui l’importanza del modo in cui sono regolati i sistemi di valutazione e pubblicizzati i loro risultati. Inoltre, perché questi meccanismi possano funzionare correttamente, occorre una consistente mobilità degli studenti che richiede investimenti significativi in strutture di accoglienza; ancora, in questo peculiare “mercato” non devono inserirsi distorsioni causate da atenei che competono slealmente consentendo, per esempio, agli studenti di raggiungere con minor sforzo (con minore formazione) l’agognato titolo di studio. Non si pensi che una cosa del genere non possa accadere. In Inghilterra è di recente esploso uno scandalo relativo agli exam boards legati alle Università, che a quanto si è scoperto offrivano esami facili per ottenere un maggior numero di iscrizioni. Analogamente negli USA esistono Università a fini di lucro (for profit Universities) che cercano in tutti i modi, anche al limite del lecito, di attirare studenti pur offrendo scarsa qualità didattica e scientifica (il che non ha loro impedito di ottenere l’accreditamento nazionale). Così pure, è sano che i ricercatori competano fra loro, ma è chiaro che se non si effettua un’accorta regolazione del sistema (particolarmente riguardo ai parametri per la misurazione della competitività), la mera competizione fra atenei per attrarre fondi per la ricerca potrà avere effetti negativi, favorendo automaticamente gli atenei più grandi, orientando la ricerca verso filoni di impatto rapidamente verificabili in termini di ricaduta economica, a scapito della ricerca pura e riducendo il pluralismo, cosa esiziale per la ricerca scientifica. E’ vero che il modello humboldtiano di università è ormai morto, ma se abbiamo a cuore la scienza, con tutte le sue ricadute anche impalpabili in termini di sviluppo sociale, culturale, etico e politico occorrerà badare a che il paese, sperando di arricchirsi non finisca per impoverirsi. Ben venga dunque la competizione, ma cum grano salis.

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